Napoleone ed Ermengarda, un’affinità non solo metrica.

Alessandro Manzoni, avuta la notizia della morte di Napoleone nella villa di Brusuglio, colto da un attacco nervoso e da un’incontenibile febbre creativa, fra il 18 e il 21 luglio 1821 stende di getto  Il Cinque Maggio, un’ode in strofe doppie di 6 settenari legate dalla rima dell’ultimo verso tronco.

Alcuni mesi dopo adotterà la stessa formula metrica per il II Coro dell’”Adelchi”, dedicato alla morte di Ermengarda, ripudiata dal marito Carlo Magno. L’affinità tra i due personaggi va oltre la scelta metrica.

“Ei fu”

È la fine di un uomo e di un’epoca. Manzoni e il mondo rimangono attoniti, sospesi sulla consapevolezza d’una svolta epocale, sospensione ben resa dall’enjambement “sta/muta”. Si delinea così il pregio di questa poesia. A dispetto di inversioni sintattiche e arcaismi lessicali ostici al lettore moderno, l’ode ha una potenza espressiva, un’intensità semantica e un ritmo che catturano. Afferrati dal fulmineo incalzare dell’azione storica di Napoleone, ci coglie impreparati la sua uscita di scena: “e sparve”. Ma entra in scena l’uomo, un naufrago sballottato dalle onde che lo sollevano per poi trascinarlo a fondo in un fallimento e in un’impotenza tale da portarlo alla disperazione. Se ha retto per lunghi anni “chiuso in sì breve sponda”, secondo Manzoni, è solo perché lo sorresse la fede.  

giace la pia

Profondamente diversa la personalità che Manzoni assegna ad Ermengarda, principessa longobarda della tragedia Adelchi”. Costruisce il personaggio su labili basi storiche, anche il nome è inventato, ne fa la vittima degli alterni rapporti tra Carlo Magno e il padre Desiderio. Una naufraga che l’onda politica porta sul trono di regina dei Franchi per poi sommergerla nella vergogna del ripudio e della cacciata. Una parabola simile a quella di Napoleone, dall’altare alla polvere, che Ermengarda però non riesce ad accettare, consuma i suoi ultimi giorni arsa dall’amore per Carlo Magno. Fugace il conforto della preghiera, perché solo “fuor della vita è il termine” del suo lungo soffrire. 

Oppressi ed oppressori

Manzoni è nato nel secolo dei Lumi e dell’ottimismo, ma la sua mente razionale lo porta invece ad una visione pessimistica dell’agire umano. La conversione del 1810 gli offre un conforto che sarà negato al pessimismo di Leopardi: la provvidenza divina. Le contraddizioni, le ingiustizie, gli scherzi del destino rientrano in un disegno di Dio, che ha compimento non sulla Terra, ma nell’Aldilà. In questa prospettiva il comune sentire viene rovesciato. I potenti e vincenti, gli “oppressori”, che sembrano avere tutto dalla vita, si danneranno l’anima, gli “oppressi” che hanno dovuto subire ingiustizie e prepotenze saranno portati a cercare conforto nella fede e si salveranno.  Napoleone ed Ermengarda diventano “exempla” o, direbbe Auerbach, “figure” di questa visione provvidenziale della storia, che era stata tipica del Medioevo e di Dante.

Napoleone, in cui Dio ha infuso il “creator suo spirito”, ha cambiato il mondo e inseguito la gloria terrena. Se fu “vera gloria” lo diranno i posteri, Manzoni dà la sua risposta: rispetto alla salvezza dell’anima  “è silenzio e tenebre / la gloria che passò”. L’imperatore ha dovuto essere messo in ginocchio dagli uomini per inginocchiarsi davanti a Dio e ha  trovato nella sconfitta terrena la chiave del Paradiso.

La dicotomia oppressi-oppressori non sembra avere alternative in questa fase del pensiero manzoniano. Ermengarda, che appartiene alla “rea progenie / degli oppressor” viene collocata dalla “provida / sventura in fra gli oppressi”. Definire provvidenziale una sventura sarebbe un ossimoro nell’opinione comune, ma per Manzoni è attraverso il rovesciamento dei ruoli che Napoleone ed Ermengarda (solo in punto di morte) hanno capito che l’ambizione ed i “terrestri ardori” tormentano e non appagano  e che è la fede in Dio  il viatico alla eterna felicità. La loro parabola dalla “superba altezza” all’umiliante sconfitta è esemplare, funzionale a quell’utile insegnamento morale che Manzoni pone a fondamento della sua poetica, come scriverà nella famosa lettera al marchese Cesare d’Azeglio del 22 settembre 1823.

Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769 e morto in esilio nell’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821, 200 anni fa.
Ermengarda confortata dalle suore su questa copertina dell’Adelchi, che Manzoni scrisse chiedendo consulenze sui luoghi.
Introduzione alle tragedie manzoniane “Il Conte di Carmagnola” e “Adelchi”.

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