Cronologia Resistenza in Val Sangone

fine-fascismo PREMESSA:  CRISI E CADUTA DEL FASCISMO

La delusione per i disagi quotidiani e le sconfitte militari ha rivoltato l’opinione pubblica contro il fascismo. Già gli scioperi di marzo avevano avuto, nonostante intimidazioni e repressioni, una vasta adesione. Lo sbarco alleato in Sicilia dava il colpo decisivo al traballante prestigio del Duce ed al regime fascista.

Alle 22.45 del 25 Luglio 1943 la radio dava la notizia della caduta del fascismo con due successivi comunicati del re e di Badoglio. Esplodeva la gioia popolare; a Giaveno, Trana, Coazze ed Avigliana la gente festeggiava fino a tarda notte, le piazze si riempirono di folla plaudente e talmente entusiasta da dimenticare la drammatica frase del proclama “La guerra continua”. Alla caduta del fascismo era collegata infatti l’idea di pace e di cessazione dell’emergenza alimentare; l’arrivo degli anglo-americani avrebbe ripristinato l’ordine e la sicurezza nella vita quotidiana. L’entusiasmo fu però’ di breve durata: la realtà negativa del governo dei quarantacinque giorni, il vuoto di potere creato dalla fuga della monarchia e la constatazione che nulla cambiava in molti cominciò ad insorgere il timore che si stesse entrando in una nuova fase del conflitto, più drammatica della precedente.

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L’ARMISTIZIO IN UN PAESE DISORIENTATO (8 settembre 1943)

La notizia dell’armistizio dell’8 Settembre non venne accompagnata da scene d’entusiasmo e l’arrivo, poche ore dopo l’annuncio, dei primi soldati “sbandati” nella valle tolse definitivamente ogni illusione. Finiva la guerra a fianco della Germania ed iniziava quella contro la Germania.

La posizione strategica della Val Sangone, vicina a Torino e prossima alle grandi vie di comunicazione, la linea ferroviaria che la collegava con la città, il territorio prevalentemente montuoso e ricco di boschi furono un naturale richiamo per chi fuggiva dalle caserme per timore dei reclutamenti fatti dai tedeschi. Nel settembre del ’43 molti furono gli sbandati che giunsero nella valle; avevano bisogno di tutto: viveri, abiti, nascondigli, mezzi per sopravvivere.

La loro presenza generò numerose manifestazioni di solidarietà che non sono da interpretarsi come adesione ad una ideologia antifascista o sostegno ad una inevitabile lotta armata, ma come spontaneo moto del cuore: nello sbandato le madri identificavano il figlio che viveva in un altro luogo la stessa esperienza, i religiosi un fratello da soccorrere, l’autorità civile un italiano da aiutare.

Non solo l’esercito era allo sbando, senza comandanti né ordini, ma la stessa popolazione e le autorità delle istituzioni locali avvertivano il vuoto di potere: occorreva agire da soli, senza ordini e indicazioni dati dalla monarchia e dal governo ed ogni scelta comportava un rischio per i civili, i militari, il podestà, il clero.

Per un resoconto narrativo più approfondito del susseguirsi degli avvenimenti della Resistenza in Val Sangone si veda la tesi di Andrea Mortara.

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NASCE LA RESISTENZA   (Settembre – Ottobre 1943)

Sotto la guida del Maggiore degli Alpini Luigi Milano il 9 settembre si raccolgono nella vallata i primi gruppi partigiani. Affluiscono, fra gli altri, i giovani ufficiali Cantelli  e  Bertolani (con i carri armati), Giulio e Franco NicolettaEugenio FassinoSandro MagnonePaolo MorenaFrancesco Caparello, ed ex prigionieri alleati (sovietici e inglesi).

Inizia una feconda, attiva partecipazione dei civili alla costruzione della Resistenza nella Valle. Per Coazze la figura preminente è Enrico Valobra, per Giaveno Guido Teppati. Anche il clero locale in modi diversi fornisce un valido contributo.

Il 23 settembre i tedeschi effettuano il primo rastrellamento; nei venti mesi successivi ne effettueranno 27!

Le prime vittime degli attacchi tedeschi sono il pittore giavenese Maurizio Guglielmino, ucciso nella sua casa di villeggiatura al Colletto di Forno, e una valligiana, Evelina Ostorero, che non si era fermata all’intimazione di alt di una pattuglia. Questi primi episodi di barbarie suscitano nella popolazione una ondata di sdegno contro l’invasore e consolidano estendendoli i sentimenti di solidarietà verso i partigiani.

Le prime bande partigiane si dispongono al Ciargiur, sede del comando del Magg. Milano, alla Dogheria (Cantelli – Bertolani), al Palé ( Nicoletta – Fassino).

La cattura del Maggiore Milano (22 ottobre) non interrompe i riusciti attacchi ai presidi e depositi tedeschi che rispondono col duro rastrellamento del 13 novembre.

FF2RIO1 LA RIORGANIZZAZIONE DELLE BANDE  (Novembre – Dicembre 1943)

Arriva, inviato dal CLN il nuovo comandante Maggiore Torchio, ma i partigiani uniti in un solo gruppo guidato da Giulio Nicoletta, hanno dovuto trasferirsi in Val Susa a Monte Benedetto. Dopo alcune settimane rientrano in valle ed a Ca’ Tessa si ripartiscono in quattro gruppi. Tre giovani ufficiali degli Alpini, che erano stati chiamati dal loro comandante di Battaglione, Magg. Milano, prima della cattura, assumono il comando di tre gruppi ed il quarto resta a Nicoletta. Nascono le bande Sergio” (De Vitis)Nino” (Criscuolo)Carlo” (Asteggiano), che si associano, e “Nicoletta“.

Si estende nella valle l’influenza delle bande, sorrette dall’attiva partecipazione dei gruppi di Resistenza civile. Lo stesso podestà di Giaveno Luigi Zanolli svolge un ruolo di mediazione per tutelare la popolazione  dalle ritorsioni nazifasciste. L’anno si chiude con un infruttuoso rastrellamento.

QUADRO29 L’INVERNO IN MONTAGNA   (Gennaio – Febbraio 1944)

La vallata è ormai sotto il controllo delle Forze di Liberazione dopo l’eliminazione di gruppi di rapinatori e di squadristi fascisti.

I partigiani, a cui si è nel frattempo aggregato Guido Quazza, futuro comandante della Brigata “Vitrani”, si dislocano sulle montagne di Cumiana (zona Moncalarda, Verna e Morelli) ed iniziano operazioni anche nella pianura del Pinerolese.

rancio partigiano I “COLPI” PER EQUIPAGGIARE E SFAMARE I PARTIGIANI SEMPRE PIU’ NUMEROSI  (Marzo 1944)

Ingrossate dall’afflusso dei renitenti alla leva fascista, le bande raggiungono la consistenza di centinaia di uomini ed includono gruppi di ex prigionieri sovietici, polacchi, cecoslovacchi e qualche angloamericano: esempio significativo di unità sovranazionale della Resistenza.

Il maggiore Torchio viene sostituito dal tenente di vascello Paventi (“Argo”) nel comando ufficiale delle formazioni della valle.

I problemi organizzativi, di alimentazione, di equipaggiamento ed armamento diventano sempre più gravi, ma la giustezza della politica del CLN di sottrarre uomini alla guerra fascista impone di risolvere i problemi nella giusta direzione. Già da febbraio si susseguono i “colpi” rapide incursioni a sorpresa in caserme, depositi, ammassi, stabilimenti per procurarsi armi, munizioni, equipaggiamento e cibo.

 L’appoggio agli scioperi del marzo 1944 da parte delle formazioni della Val Sangone è rilevante.

piazzaVecchiabruciata I MORTI DI CUMIANA  (Aprile 1944)

Vengono intensificate e diventano sempre più efficaci le azioni di guerriglia in pianura con colpi di mano,  imboscate e prelievi di materiale nemico.

Fra le ritorsioni la più inumana è l’eccidio di Cumiana  del 3 aprile. I tedeschi, con l’aiuto di SS italiane, assassinano 50 civili ed un partigiano pochi minuti prima dell’arrivo del parlamentare partigiano (G. Nicoletta) da loro stessi invitato per lo scambio. Lo scambio avviene purtroppo soltanto con i superstiti ostaggi, ma il battaglione di SS italiane, dopo il recupero dei prigionieri, si sfascia completamente per l’impatto con la realtà della Resistenza e con la ferocia dei nazisti.

QUADRO3 IL MAGGIO DI SANGUE   (Maggio 1944)

Il mese delle più gravi perdite subite dalla Resistenza militare e civile in Val Sangone. Il rastrellamento del 10 – 18 maggio ha proporzioni mai viste in precedenza, le truppe nazifasciste del generale Hansen attaccano in forze dalle valli di Susa, del Chisone e dal fondovalle.

Gli scontri più duri avvengono sotto il Col della Roussa (Alpeggio Sellerì e Villa Sertorio), al Col Bione, nell’alta valle dell’Indiritto, ed al Pontetto.

Alla fine della battaglia dei nove giorni e nel prosieguo dell’ultima decade di maggio le mani amiche e fraterne dei valligiani, guidati da don Busso, raccolgono un centinaio di caduti nei combattimenti, per fucilazione, in parte – 23 – nascosti in una fossa comune a Forno, in parte prelevati dalle Carceri  Nuove di Torino (provenienti da rastrellamenti anche nella valle del Chisone e nel Canavese) e fucilati alla Bonaria – 11, a Valgioie – 10, a Giaveno – 10, e a Coazze – 10. I nazifascisti si abbandonano a violenze inenarrabili, culminate nel cannoneggiamento delle borgate Selvaggio e San Pietro.

cippo prese sangano polveriera CADE DE VITIS, NASCE LA DIVISIONE  AUTONOMA    (Giugno 1944)

La crisi delle formazioni viene superata in breve tempo. A Coazze il 12 giugno viene eletto comandante della “ Brigata Autonoma Val Sangone ”, che raggruppa le formazioni della valle, Giulio Nicoletta e affluiscono nuove leve che rifiutano l’arruolamento nella GNR, l’esercito fascista. Riprende l’iniziativa partigiana nella pianura in concomitanza delle grandi vittorie militari alleate: liberazione di Roma e sbarco in Normandia.

Le formazioni della Val Sangone, nel quadro di un piano coordinato con le formazioni della Val Susa, attaccano la polveriera di Sangano ed i presidi di Avigliana. Il comandante De Vitis, dopo la conquista della polveriera e la cattura dell’intero presidio, sostiene il contrattacco tedesco e con un nucleo di coraggiosi cade per consentire la ritirata della sua formazione. Il suo posto di comando della formazione verrà preso da Giuseppe Falzone. I prigionieri di Sangano vengono scambiati a San Bernardino con 50 ostaggi, presi dai tedeschi col rastrellamento di Trana, e con tre partigiani fra cui Eugenio Fassino, catturato gravemente ferito ad Avigliana.

QUADRO10 LA LUNGA ESTATE PARTIGIANA   (Luglio – Settembre 1944)

Le azioni di guerriglia (colpi, le imboscate, i sabotaggi e controsabotaggi) diventano numerosissime. Gli effettivi delle bande superano il migliaio, l’organizzazione diventa eccezionalmente efficiente, tutta la vallata è di fatto sotto il controllo partigiano e i collegamenti con le altre formazioni e col Comando Regionale si fanno ampi ed intensi. La popolazione nei suoi vari ceti ed il clero locale partecipano con entusiasmo all’opera delle bande. La vicinanza alle grandi strade di comunicazione con la Francia e al grande centro strategico di Torino permette di operare con notevole efficacia bellica sul sistema militare nemico e di compiere anche audacissime spedizioni contro le caserme torinesi, alla Fiat, negli stabilimenti, depositi e presidi della “cintura”, di catturare gerarchi fascisti e altri ufficiali tedeschi, di proporre scambi di prigionieri, di risolvere, insieme col CLN e con l’ausilio di gruppi di donne guidate da Mimi Teppati, problemi amministrativi e logistici della popolazione.

Numerose sono tuttavia anche le puntate nemiche, in una delle quali, il 16-17 agosto avviene la cattura di “Campana” (Felice Cordero di Pamparato), impiccato a Giaveno con tre compagni. A comandare la Brigata Campana viene chiamato il Professore Guido Usseglio. Nella zona di Cumiana si dislocano a fine agosto anche gruppi di partigiani della Val Chisone che, assieme a lusinghieri successi, registreranno purtroppo pesanti perdite fino alla liberazione.

Nella vallata, presso il comando di divisione, c’è ospite la missione alleata  “Zur” (guidata dal capitano O’Regan) ed il comando della IV Zona Piemonte (Pellice, Chisone, Susa e Sangone). Presso la Campana” c’è ospite la  missione alleata  “Silvio” (Segre), un’altra missione alleata, “Ferret”, si occupa dell’assistenza agli ex prigionieri inglesi.

L’influenza e l’iniziativa delle formazioni della Val Sangone si estendono su tutta la pianura da Airasca lungo il Sangone fino a Torino e persino all’interno del capoluogo regionale.

giaveno strage IL TRAGICO AUTUNNO    (Ottobre – Dicembre 1944)

nazifascisti hanno iniziato una serie di grandi rastrellamenti su tutta la fascia alpina in Piemonte per liberarsi le spalle del fronte francese.

Le formazioni della Val Sangone hanno grossi scontri con colonne e reparti nazifascisti in movimento.

A Sangano viene catturato un intero reparto fascista i cui feriti vengono fatti curare nell’Ospedale di Giaveno. A Trana viene distrutta una colonna tedesca di salmerie.

Gli scontri, dovuti alla vasta operazione di rastrellamento del 27 novembre, sono tenuti con molta abilità di manovra dalle formazioni partigiane e con perdite non gravi. Purtroppo il lancio massiccio di armi destinato a tutta la IV Zona Piemonte, concordato sulla zona della Maddalena in situazione di calma e non di rastrellamento, viene effettuato irresponsabilmente all’improvviso, mentre i nazifascisti sono ancora in Giaveno. Il loro arrivo in zona è immediato e rafforzato con una mobilitazione imponente di carri armati e artiglierie. I nazifascisti decidono di mettere presidi permanenti in molte delle cittadine e borgate della valle ed iniziano uno stillicidio di azioni terroristiche contro civili e partigiani catturati.

In valle restano due brigate di appoggio (“S. Magnone” e “Campana”) con cecoslovacchi e sovietici; tutte le altre formazioni si dislocano in pianura dove continuano a riorganizzarsi.

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PRIMAVERA DI LIBERAZIONE  (Gennaio ­ Maggio 1945)

Le formazioni partigiane della Val Sangone estendono la loro influenza sulla popolazione con la quale vivono in simbiosi sia in montagna, sia in pianura. Realizzano 4 lanci nella pianura di None (zona Pipine) per tutta la IV Zona Piemonte ed hanno occasione di assistere per oltre un mese e portare in zona di imbarco aereo dieci aviatori americani atterrati con l’aereo in panne ad Airasca.

Si infittiscono i rapporti con le rappresentanze politiche delle città della zona e si accentuano le differenze tra le diverse formazioni. La “Campana“ si scinde ed una parte fa una scelta GL al comando del professor Usseglio, la “Carlo Carli” Garibaldina è parte delle formazioni unificate della Val Sangone; tutte insieme riconoscono l’unità del Comando di Valle, anche se nella fase finale, che culmina nella liberazione di Torino, la “Divisione GL Campana” opererà autonomamente con obiettivo il centro di Torino (Palazzo Campana) e la Brigata “C. Carli“ opererà inquadrata nella 46ª Divisione Garibaldi della Val Susa con obiettivo la zona Rivoli – Aeronautica. I collegamenti sono tenuti con grande attenzione e meticolosità dai comandi delle nove unità in cui si articola la Val Sangone.

Il 25 aprile, nel quadro delle operazioni disposte dal Comando IV Zona Piemonte, la Val Sangone partecipa con mille partigiani alla liberazione di Torino.

Superata la linea delle colonne tedesche che dal sud del Piemonte risalgono verso la zona ad est di Torino, la Val Sangone entra in Torino nella zona Mirafiori Lingotto.

A Santa Rita la “S. Magnone” si scontra con una formazione corazzata e subisce 5 morti e vari feriti, ma rimane padrona del terreno. Nella notte il presidio nemico scappa verso Milano e Torino è libera, anche se permangono sacche di resistenza terroristica fascista.

La Val Sangone viene schierata a difesa delle porte di Torino da Moncalieri a Beinasco, per impedire l’attraversamento di Torino alle truppe del gen. Schlemmer, che riversano la loro rabbia sugli inermi abitanti di Grugliasco e Collegno, con l’eccidio di 66 vittime civili.

Dopo venti mesi di dura, cruenta guerra le formazioni partigiane consegnano tutti i poteri militari e civili al CLN di Giaveno.

In tutta Italia crolla l’esercito nazifascista. È la libertà. È la fine della guerra civile in Italia.