“La Val Sangone raccontata ai ragazzi …” dalla bisnonna Livia Picco

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Livia Picco l’ho purtroppo conosciuta tardi, ma con un’altra preside prestigiosa, Maria Laura Tizzani, ho collaborato nel trasformare il suo dattiloscritto nel libro che racchiude il suo testamento culturale La Val Sangone raccontata ai ragazzi … dalla bisnonna.

Maestra di affabulazione, Livia racconta ai giovani, il suo pubblico ideale, la sua vita, le sue esperienze, le sue conoscenze. Li porta ai suoi tempi e dà ampio spazio alla guerra, vissuta da adolescente tra Coazze e Torino, scampando fortuitamente al bombardamento del trenino del gennaio del 1945. Le esperienze personali non sono mai fini a se stesse, ma occasione per delineare i loro contesti culturali e storici: il mondo contadino in cui è nata, il fenomeno dell’emigrazione, la scuola del ventennio, la trasformazione industriale del dopoguerra, i viaggi e le nuove esperienze. Se nella prima parte del libro Livia traccia un panorama storico ambientale di ampio respiro temporale, nella seconda parte si concentra sull’avvenimento più sconvolgente che ha vissuto, la Seconda guerra mondiale. Il titolo del romanzo che le ha dedicato Gente sul filo del rasoio esprime benissimo lo stato d’animo suo, dei suoi famigliari e della gente in generale, senza diritti, senza certezze, senza tutela. Ne La Val Sangone raccontata ai ragazzi, la guerra viene raccontata in una prospettiva diversa, non romanzata ma con abile intreccio dell’esperienza personale con le vicende contestuali, arrivando ad allargare lo sguardo ad un lucido quadro complessivo.

Se la cultura e la storia locale godessero di maggior attenzione e maggior tempo nei programmi scolastici, il lavoro di Livia Picco sarebbe da adottare come libro di testo. Il volume, uscito nella collana degli Ahcartari (quaderni) dell’Ecomuseo dell’Alta Val Sangone nel 2015 per i tipi dell’Echos Edizioni, ha comunque incontrato il favore del pubblico anche adulto ed è oggi esaurito e introvabile.

Ho pensato quindi di riproporlo in questa pagina, capitolo dopo capitolo come succedeva per i romanzi d’appendice. Spero che Livia lo apprezzerà, lei che prima come insegnante e preside e poi come testimone è andata nelle scuole, mossa dall’instancabile desiderio di educare i giovani e di diffondere “virtute e conoscenza”.    

Livia Picco 1929-2022

È nata a Coazze, in borgata Tiglietto, l’11 settembre 1929. Da bambina frequentò le scuole di borgata Rosa e del capoluogo e conobbe la vita dura e insieme serena dei valsangonesi, ma l’8 settembre 1943 il suo piccolo mondo andò in frantumi, oppresso dalla paura, dall’orrore e da privazioni impossibili. Adolescente sconvolta restò a guardare, ma i ricordi rimasero indelebili e divennero il romanzo dedicato alla Resistenza Gente sul filo del rasoio (2003) e diedero inizio alla presente opera. Nel dopoguerra, prima di laurearsi all’Università Cattolica di Milano in Pedagogia a indirizzo filosofico, fu educatrice al Convitto Casa del sole del Comune di Milano, poi lavorò alla Biblioteca Civica della città. In seguito ai concorsi insegnò italiano e storia nell’lstituto Tecnico Hensemberger di Monza e infine Filosofia e Pedagogia per molti anni negli Istituti magistrali di Saluzzo e poi di Pinerolo. Da pensionata andò nelle scuole a raccontare le vicende e le qualità della gente della sua valle, perché nessuno dimenticasse. L’interesse e le domande dei ragazzi hanno spinto l’autrice a raccogliere gli appunti e ad allargare le ricerche ed è nato questo libro.

Colophon
Dedica e ringraziamenti ai fotografi e ai collaboratori

Parte Prima

COM’ERA LA VALLE PRIMA DELLA GUERRA … TANTO TEMPO FA!

INTRODUZIONE – Istruzioni per l’uso

Cari ragazzi e ragazze della Valsangone, nati o venuti qui da vicino e da lontano, vi saluto come si salutava una volta a Coazze:” Aléghe!” (“sii allegro, state allegri”).

Sono una coazzese carica di anni come una bisnonna. Spesso i giovani mi chiedono di cose vecchie: persone e avvenimenti. E un giorno mi è passato per la mente che, forse, potevo scrivere (che vuol dire raccontare a molti) qualcosa dei tempi andati, convinta che gli alberi del presente stanno in piedi grazie a radici, lunghe ed intricate, affondate nel terreno antico. Tuttavia non racconterò tutto per due motivi: non ho conosciuto tutto e poi i miei ricordi stanno sbiadendo. Moltissime cose le ho dimenticate, altre le ripesco a fatica come ‘iceberg’ dalla nebbia. Per raccontare la nostra valle ci vorrebbe un librone o più libri come quelli delle enciclopedie.

Ragazzi, volete aiutarmi a colmare i vuoti? Interrogate le persone che hanno conservato la memoria, come stanno facendo i ragazzi delle scuole di Coazze e di Giaveno, con ottimi risultati. Io aspetto da voi un altro libro: “ La Valsangone raccontata dai ragazzi alla bisnonna”. Ma fate presto, per favore.

Se leggerete questo libro, non aspettatevi un racconto ordinato secondo i luoghi o secondo il tempo. Infatti al centro della narrazione stanno gli avvenimenti degli anni immediatamente prima della guerra, e poi quelli della guerra e del primo dopoguerra. Ma gli avvenimenti vissuti dalla bisnonna richiamano fatti, usanze, persone che risalgono all’Ottocento e addirittura al Settecento. Vi troverete sballottati tra i ricordi dei nonni, dei bisnonni e le notizie tramandate dai libri e dai giornali. Un vero torcicollo.

Fatevi coraggio, perché non è tutto. Vi troverete scaraventati nelle vie di Giaveno, nelle duecento e più borgate della valle e, fuori dalla cerchia delle montagne, a Torino, in Valsusa, in Francia, in America. Spero che non vi giri la testa. Non sono stata capace di raccontare le storie di un luogo separate da quelle di un altro e ho combinato un pasticcio.

La varietà degli argomenti disorienterà qualcuno; altri, che sanno benissimo come stavano e stanno le cose, protesteranno per l’infinità di particolari risaputi. Molti vostri coetanei però non li conoscono. Ad esempio non sanno come si preparano le “tume”, forse non sanno nemmeno che cosa siano. Non sanno che le patate non si seminano, si piantano. I contadini di Coazze dicevano “bűtè ‘l trífule”, quelli di Giaveno “bűtè ‘l patate”. E “bűtè” vuol dire “mettere” i pezzetti di patata nei solchi,

A proposito di dialetto e di parlate che distinguono gli abitanti delle varie zone, vi assicuro che è un bel rebus. E poi come si scrivono e si leggono i dialetti valsangonesi e il piemontese di Torino?

Esistono dei vocabolari (Es. Brero, Vocabolario piemontese italiano e italiano piemontese, Editrice Piemonte in bancarella, Torino, 1982) e grammatiche. Esiste addirittura l’Alepo, Atlante linguistico del Piemonte occidentale, Regione Piemonte, Torino, 1984. Ma i ragazzi di oggi che non parlano il dialetto e magari hanno poca familiarità con il francese, si troverebbero in difficoltà. Per es. capelli si scrive “tchavèi” e si legge press’a poco “ciavèi”.

Allora ho dovuto rinunciare alle sfumature esatte e scrivere le parole nel modo più simile alla pronuncia italiana come ad es. ciavèi.

Tuttavia nel piemontese e nei dialetti della nostra valle esistono suoni che nell’italiano non ci sono. Esempi:

ё non si pronuncia, è muta come nel piemontese bёrgé (pastore) o bёrgna (susina)

ő come in piemontese e in francese feu e bleu (fuoco e blu)

ű come in piemontese gűcia (ago) o in francese dur (duro) e mur (muro).

Ho poi distinto la pronuncia nasale della “n” e quella palatale della “s”:

ń come in piemontese ancői (oggi) o in italiano banco

come in italiano rosa

Inoltre troverete dei segni:

davanti a una consonante indica una vocale che non si pronuncia, come ad e. ‘l fèie ‘d Gian ‘d Peru, le pecore di Giovanni (figlio) di Pietro.

la lineetta serve a separare le lettere del dittongo sc quando sono davanti ad i ed e, per pronunciarle dure: s-c si legge sch; l’italiano sci diventa schi.

Inoltre non spaventatevi se inciampate in ‘magna’ ‘barba’ ‘cé’: sono zia, zio, nonno.

Come mai parlate così differenti tra luoghi così vicini?

Coazze, e soprattutto le borgate alte, più isolate e lontane dalle influenze del piemontese di Torino, hanno conservato meglio l’antico dialetto francoprovenzale (che non è un miscuglio di francese e di provenzale, ma una lingua autonoma, nata come le altre lingue neolatine dallo sfaldarsi dell’impero romano.

Giaveno, più esposta agli scambi con Torino, ha modificato in parte il francoprovenzale.

Infine l’italiano imparato a scuola e diffuso da radio e TV sta sostituendo o italianizzando l’antico dialetto. Es. invece di “armanàch”, “caraviùń ”, “papèi” si dice calendari, matita, carta.

Ai tempi della bisnonna scolara i ragazzi di Coazze parlavano il coazzese francoprovenzale, capivano e, in qualche occasione, parlavano anche il giavenese, capivano e parlavano il piemontese, specie con i villeggianti (i “patachíń”).

Nessuno scriveva il dialetto, strumento secolare di comunicazione orale.

I documenti, le lettere infatti erano scritte dapprima in latino, poi in francese ed infine in italiano. Per es. gli Statuti Comunali di Coazze (1553) sono scritti in latino medioevale, però sotto la vernice e le declinazioni del latino si trovano le parole dialettali che indicano cose di cui racconterò più avanti. Esempio: FOLEAS, BUSAS, TRAPONIBUS, GARBINA, BEALERIAS (foglie, buse =sterco di vacca, fasci di fieno, gerla, bealere =canaletti per l’irrigazione) e, così la frutta della valle: POMIS, PIRRIS, CASTANEIS, NUCIBUS, CERESIS,

DALMASĺNIS (una qualità di susine).[1]

Tra paese e paese, tra borgate, tra borgate e capoluoghi non esistono solo differenze di vocabolario ( “buà, strabì, stala” per stalla), ma anche di pronuncia con molte sfumature diverse. Es. la casa può essere la “chë” oppure la “chè”. La esse di “Festa” nelle borgate si pronuncia con varie gradazioni di aspirazioni: “ fehta”, fino a diventare “festa” nel capoluogo. A Coazze il parlare piemontesizzato si diceva “parlé biënch” parlare bianco, cioè raffinato. E non sempre era un elogio: poteva significare ‘darsi delle arie’.

 Il francoprovenzale non è una specialità della Valsangone, è una parlata storicamente presente nella Svizzera Romanda, nel sud est della Francia e nelle  vallate alpine italiane nordoccidentali: Valle d’Aosta, valli Orco e Soana, valli di Lanzo, Val Cenischia e  Valsusa da Chiomonte in giù. Nella parte alta della valle invece si parla provenzale come in Val Chisone e nelle valli del Cuneese.


[1] Ostorero Guido, Coazze…Ognuno a suo modo, Edinfolio, Torino,1980, p. 29 p. 31).

INTRODUZIONE – Per saperne di più

Ecco alcuni libri che danno notizie e illustrazioni riguardanti gli argomenti del racconto della bisnonna e tanto altro ancora. Quasi tutti riportano una bibliografia che è un elenco di opere che riguardano la nostra valle. Buona lettura e non solo: incantatevi sulle fotografie e ancora di più sulle cose fotografate!

– AA.VV., Giaveno e i suoi personaggi, La grande storia di un borgo divenuto città, Aghepos, Torino, 2006.

– Baggio Paola- Giardino Marco- Mercalli Luca, Valsangone: clima e forme del   paesaggio. Da due milioni di anni fa ad oggi, SMS, Torino, 2003 (importante opera scientifica)

– Barone-Capello, Trana, Lazzaretti, Trana, 2008.

– Baronetto Ennio, Ahcrivei,ahscrivei. Për pa dmantiè!, Alzani, Pinerolo, 2008.

– Baronetto Ennio, Si, am suvinat, űra am suvìnat!, Alzani, Pinerolo, 2001.

– Bergeretti Luigi Abele, S. Michele di Provonda. Piccola Sacra di Giaveno, Briciole di storia d’la Valada dl’Armireu, Giaveno, 2009.

– Bevilacqua Elisa-Minola Mauro, Giaveno e la sua valle, Susalibri, 2001.

– CAI Giaveno, I monti di Giaveno, Giaveno, 2002.

– Comitato Pirandello, Album di Coazze, Entreprise, 2001.

– Dell’Orto Giovanni- Gili Gianni, Sui monti di Coazze. La frazione Indiritto e il  Trappista De Meulder. Una briciola di terra con tanta storia, i suoi paesaggi, i suoi tesori, Litografia Dalmasso, Giaveno, 2008 (2a ediz.).

– Gerardi Alfredo, Giaveno c’era una volta, Edinfolio, 1982.

– Gerardi Alfredo, Giaveno e i suoi monumenti, nell’arte, nella leggenda e nei suoi  ricordi, Carnisio, 1977.

– Maritano Guido Mauro, Non si mangiava più …lassù. Storie di emigranti

  piemontesi nel sud-est della Francia nel sec. XX, Arti Grafiche San Rocco, 2005.

– Maritano Guido Mauro, Mestieri antichi patrimonio moderno, Arti grafiche San  Rocco, 1998.- Maritano Guido Mauro, Tramiè a l’arp…, Arti Grafiche San Rocco, 2003.

– Massa Giuseppe, Valle e pianura del Sangone, Litografia Dalmasso, Coazze, 1989.

– Ostorero Giuliano, Robinet – Cento anni tra escursionismo e fede, CAI Sez. di Coazze, 2000.

– Ostorero Guido, Coazze … Ognuno a suo modo, Edinfolio, Torino, 1980.

– Pro loco di Coazze, Coazze … come eravamo, 2009.

– Re Oreste, Alpeggi e borgate nelle valli alpine, Susalibri, 2003.

– Santiano Annalisa-Pistone Maurizio, Musiche e musicanti in Alta Valsangone, Priuli e Verlucca, Ivrea, 1989. Tessa Bruno,  La tessitura a Coazze, Alzani, Pinerolo, 2007

– Vai Paola, Le borgate montane di Giaveno, Alzani, Pinerolo, 2013.

Importante la visita al MUSEO ETNOGRAFICO di Coazze abbinato al Museo della Resistenza, si trova in Viale Italia ’61, n.1.

Dei capitoli del libro viene riproposto il testo originale, corredato dalle fotografie (viene indicata la pagina) che sul libro erano in bianco e nero e che sono qui riprodotte a colori, se lo erano gli originali. Ove possibile il testo è stato arricchito da un’ulteriore ricerca iconografica.

Capitolo 1° Le montagne: i pilastri e le pareti della valle pagg. 15 – 21

Capitolo 2° La popolazione e l’ambiente pagg. 22 – 30

Capitolo 3° Le case dei paesi e delle borgate pagg. 31 – 41

Capitolo 6° I lavori e i cibi di ogni giorno 1) mattino, la tuma pagg. 56 – 61

Capitolo 6° I lavori e i cibi di ogni giorno 2) mezzogiorno, la polenta e l’acciuga pagg. 61 – 63

Capitolo 6° I lavori e i cibi di ogni giorno 3) pomeriggio, il pascolo e la vipera pagg. 64 – 66

Capitolo 6° I lavori e i cibi di ogni giorno 4) sera, la tela e la liscivia pagg. 66 – 69

Capitolo 7° Il lavoro stagionale 1) primavera: concimare e piantar patate pagg. 70 – 74

Capitolo 7° Il lavoro stagionale 2) estate: fienagione e mietitura pagg. 74 – 79

Capitolo 7° Il lavoro stagionale 3) autunno: tempo di semina e di raccolto pagg. 79 – 80

Capitolo 7° Il lavoro stagionale 4) inverno: far legna nei boschi, spalare la neve

Capitolo 8° Mestieri che la bisnonna ricorda 1) “feracavàl, mülinèi e misdabò” pagg. 83-86

Capitolo 8° Mestieri che la bisnonna ricorda 2) ambulanti: “magnìń, mulìtta, buciné …” pagg. 86 – 91

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