“Sań Clùń”, la centenaria e l’abbandono

Com’era e com’è la Valle del Fronteglio, la “Cùmba” per antonomasia, incuneata tra il Sangone e il Tauneri. Un’infilata di borgate tra terrazzamenti rimboschiti e castagneti contorti. Da Sań Gró arrivava mia mamma Rosa Usseglio Gros, diceva sorridendo che aveva fatto le scuole “àute” nella “capitale”, Sań Cluń, dove sorgeva la chiesa. Grande, perché nell’Ottocento la valle era popolosa, 453 abitanti ancora nel 1901. Poi lo stillicidio di partenze è diventato un esodo e negli Anni Sessanta l’intera Cùmba si è spopolata. L’animazione della foto d’epoca e gli alberi che spuntano tra le case in rovina in quella attuale sono eloquenti. Grazie a Bartolomeo Vanzetti che mi ha fornito la foto da confrontare con un’immagine d’epoca e a Giorgetta Usseglio, che la Cùmba la conosce bene e ha scritto il commento alle due fotografie.

Non è facile mettere a confronto queste due fotografie scattate in stagioni diverse e a sessant’anni di distanza, quindi guarderò ciò che si vede ma dirò anche cosa so e cosa ricordo. Nella foto di ieri è inverno, siamo negli Anni Sessanta, lo si vede chiaramente dai modelli delle auto parcheggiate sulla strada. È un giorno di festa, su questo non ci sono dubbi, davanti alla chiesetta c’è gente ma soprattutto c’è la banda musicale schierata ed avere la banda musicale alla Cumba, non era così usuale. Proprio per questo, ricordo l’evento, si festeggiava una centenaria, la signora Angela di borgata Re. Arrivare a cento anni allora, era davvero un evento raro, per questo ai festeggiamenti partecipavano in tanti, popolazione, autorità e anche “la müʃica”.

Io ricordo la festa della centenaria, nel nostro dialetto era chiamata “G-la“, andammo con le suore del catechismo e Don Gallo , l’anno non lo ricordo bene ,poteva essere 62 o 63.  Noi della Viretta aspettammo sulla strada le suore e il prevosto, poi attraversammo il torrente sul Puń ‘d Mundùń e poi al vasche di Carlüciu e poi salimmo a Santùni e fino alla Chiesa. Ricordo tanta gente il Sindaco di Giaveno, dalla Chiesa andammo dopo la messa fino a Sandrèi, era in una stalla aveva il suo letto, che per l’occasione aveva una coperta bianca. Lei aveva uno scialle e un fazzoletto in testa, era seduta, come una bambola. Vicino c’era suo figlio e sua nuora e due nipoti. Le suore ci fecero sfilare per salutarla, non vedeva più tanto, ma rispondeva al saluto di tutti, ci diedero due “galëtte ” e uscimmo dalla stalla, e così molta gente delle borgate che l’aveva conosciuta le fece visita. Un tenero ricordo, che ancora ora mi emoziona. (Marisa Usseglio Savoia)

Foto d’epoca, 1962 o 1963.

La chiesetta è in piedi e ancora in buono stato, adiacente alla chiesa vediamo la scuola, una bella costruzione dipinta di rosa. Frequentavano questa scuola, tutti i bambini della piccola valle del Fronteglio. Una sola maestra e una sola aula, con tutte le classi, a volte composte da uno o due bambini per classe.

In questa foto si vede che la strada passa a valle della borgata, in realtà questa è la strada nuova, allargata e a tratti deviata per evitare pendenze o tratti difficili, proprio in quegli anni, quando purtroppo, era ormai tardi visto che l’esodo era già iniziato. La vecchia strada, tagliava a metà la borgata e passava proprio sotto al piccolo piazzale della chiesa per riunirsi con la strada nuova appena dopo le ultime case. Nella casa in primo piano che vediamo sulla destra, viveva Tantìnu con la moglie Candina e due figlie, una della mia età, Mariuccia e una poco più grande, Janine. Le case in questa zona erano tutte simili, al piano terra, la stalla e la cucina, al primo piano le camere da letto e sopra, il fienile. Anche la casa di Tantìnu era fatta così. Ma la sua cucina, subito dopo cena, si trasformava in un’osteria. Due tavoli dove si giocava a carte, una fila di sedie per chi voleva guardare e chiacchierare. Si serviva vino, gazzosa e chinotto, birra e qualche panino di salame, acciughe al verde e frittata con le erbette di stagione. Anche le maestre venivano a mangiare da Candina che riusciva sempre a cucinare qualcosa di buono senza spendere troppo.  Quando gli avventori diventarono più numerosi e cominciarono ad arrivare anche dalle borgate più lontane, qualcuno chiese di poter ballare, Tantìnu decise così di ridurre la stalla e ricavare una stanzetta per farne la sala da ballo. Qualcuno che suonasse la fisarmonica si trovava sempre e questo era sufficiente per ballare e fare festa. Sul lato sinistro della chiesa c’era la casa di Giuvanìń e Albertina, una casa grande con una bella vite di uva fragola che correva lungo tutto il balcone. Avevano tre bambine, Teresina, Onorina e Rosina. Negli anni successivi quando ormai la famiglia era scesa a Giaveno, nacquero ancora, Mirella e Guido. Con loro viveva la zia Felicina, Una signorina che ricordo di non aver mai visto giovane, molto fine e distinta. Aiutava nelle faccende di casa e a crescere i bimbi. Chiacchierava volentieri, sapeva fare le iniezioni e anche dare buoni consigli, aveva una parola buona per tutti e si capiva subito che aveva una certa cultura, non scontata a quei tempi e in quei luoghi. Lei era molto credente e devota, frequentava assiduamente la parrocchia a Maddalena, inoltre si occupava di tenere in ordine la chiesetta della borgata, di tagliare l’erba sul piccolo piazzale e vicino alla scuola. In una comunità così piccola era normale conoscere tutti e Felicina faceva amicizia anche con le maestre che, in quella piccola scuola, oltre a lavorare, ci vivevano. Con loro passava le lunghe serate invernali e riceveva in prestito molti libri di cui faceva tesoro da sempre, li leggeva nel tempo libero, che era sicuramente poco, ma prezioso. Altre famiglie che ricordo erano quelle di Aldo e Jole e della loro famiglia.

Purtroppo quando fu scattata questa foto, l’abbandono della montagna era già iniziato e fu molto veloce, in pochissimo tempo, la scuola venne chiusa nel 1964, le famiglie trovarono una sistemazione a valle, a Giaveno oppure a Coazze nel caso avessero il lavoro alla cartiera Sertorio. A fine anni sessanta, le borgate erano tutte abbandonate. (Testo di Giorgetta Usseglio)

A questo punto possiamo commentare la seconda fotografia, quella scattata poco tempo fa da Bartolomeo Vanzetti.  A prima vista, eccetto gli alberi che stanno avvolgendo l’intera borgata, le cose non sembrano così diverse, ma basta guardare più attentamente per capire che così non è…

Fotografia di Bartolomeo Vanzetti, marzo 2021

In primo piano vediamo dei gruppi di alberi che crescono in mezzo ad un mucchio di sassi che non sono altro che un gruppo di case completamente crollate. La casa di Tantìnu è ancora in piedi, ma il tetto è sfondato e ormai non si balla più. La chiesa si intravvede ancora, ma in realtà il tetto e parte dei muri perimetrali, sono crollati, solo la facciata è rimasta intatta, quasi a sfidare il tempo e ricordare a chi non intervenne per salvarla, che forse qualcosa si poteva fare, visto che fu costruita con i sacrifici dei valligiani che diedero quel poco che potevano per costruirla, come risulta dal registro originale, che riporta i nomi e gli importi versati al fine di realizzare questo progetto. Era stata eretta a metà Ottocento e dedicata a San Francesco d’Assisi.

Acquerello di Giorgetta Usseglio. Ciò che resta della facciata della Chiesa di San Francesco a Sań Cluń.

Qui tutte le case sono costruite con pietra e fango e non c’è da stupirsi se ora, senza manutenzione da tanti anni, stanno crollando o sono pericolanti.  Passeggiando lungo la borgata, troviamo gran parte delle case con le porte aperte e non possiamo fare a meno di guardare all’interno. Ci sono ancora tracce di chi qui ha vissuto anche se sono passati tanti anni. Un tavolo malfermo, una sedia sfondata, un piccolo baule, il “dèrsùr” una specie di piattaia fatta con quattro assi inchiodati insieme, che un tempo era presente in tutte le case, una scodella rotta o una tendina sfilacciata lasciata ad una finestra. Solo la vite di uva fragola continua a crescere bella e rigogliosa come se tutto fosse normale. (Testo di Giorgetta Usseglio)

Acquerello di Giorgetta Usseglio. La casa di Giuvanìń e Albertina con la vite di üva fróla.

Articoli di Giorgetta Usseglio dedicati alla Comba di Fronteglio si trovano anche nel libro “Racconti e ricordi della Val Sangone 2”, illustrati con i suoi splendidi acquerelli.

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