Parole della Resistenza – glossario

ParoleDefinizioni
AmmassoIncetta o raccolta di prodotti di prima necessità, di cui è vietato il libero commercio, per far fronte alle esigenze primarie della popolazione durante periodi bellici o di disordine pubblico.
Il sistema dell’ammasso obbligatorio, adottato dal regime fascista fin dal 1936 in clima di autarchia, avrebbe dovuto garantire almeno i generi di sussistenza a prezzi calmierati, ma per la carenza dei controlli e la corruttibilità dei funzionari era facilmente eludibile. Dai magazzini dell’ammasso (quello di Giaveno si trovava in un caseggiato di Via Don Pogolotto) si prelevavano poi le merci da distribuire ai possessori della tessera annonaria. Guardie comunali o funzionari pubblici rilevavano il bestiame o il raccolto e stabilivano la quantità da consegnare all’ammasso, ad un prezzo calmierato. Ai produttori si lasciava solo il fabbisogno familiare, ma con il deteriorarsi della situazione i controlli si fecero più approssimativi e la possibilità di corruzione aumentava, alimentando con le derrate sottratte all’ammasso la borsa nera, attraverso la quale gli stessi prodotti si vendevano a maggior prezzo.
ANPIAssociazione Nazionale Partigiani d’Italia, fondata a Roma nell’ottobre del 1944. Nel Congresso di Milano del 27 giugno 1945 vi aderiscono tutte le forze della resistenza. Svolge un importante ruolo di difesa e diffusione degli ideali e delle conquiste resistenziali.
Banda – Brigata  PartigianaFormazione armata impegnata a contrastare, di solito con la tattica della guerriglia, il nemico, nel caso della Resistenza identificato con i tedeschi invasori e gli esponenti della RSI (sigle).<br>Dal 1944 con l’inquadramento militare e il coordinamento del CVL (sigle)  la banda viene ridenominata brigata e si tende ad intitolarla ai partigiani caduti. Le formazioni della Val Sangone vengono poi inquadrate a partire dall’ottobre 1944 nella Divisione Autonoma “Sergio De Vitis” al comando di Giulio Nicoletta.
Borsa Nera
o Mano Nera
o Mercato Nero
I primi due termini indicano in modo gergale il mercato nero, cioè il commercio clandestino di metalli preziosi, valuta o merci soggette a restrizioni o tesseramento.
Durante la guerra, questo commercio era alimentato dai prodotti sottratti all’ammasso, che venivano venduti o barattati sia al sabato al mercato di Giaveno sia presso i contadini e i mugnai, che con la corruzione o con qualche trucco riuscivano a non consegnare quanto dovevano all’ammasso, dove i prodotti dovevano essere ceduti a cifre irrisorie rispetto alle possibilità del circuito clandestino.
Il fenomeno si sviluppa soprattutto a partire dal 1942/43 quando i controlli si fanno più difficili e diventa più facile sottrarre derrate all’ammasso.
Per molti il ricorso al mercato nero è una necessità per integrare i generi alimentari della tessera annonaria di fatto insufficienti. Per qualcuno diventa una vera e propria speculazione, carica di rischi ma anche di notevoli guadagni.
Carta o Tessera AnnonariaDocumento rilasciato durante il periodo bellico a tutti i cittadini per consentire loro l’approvvigionamento dei generi alimentari.
L’assegnazione delle tessere veniva fatta dal Comune alle famiglie sulla base dei componenti, con incrementi delle razioni per chi compiva lavori pesanti e detrazioni per le famiglie contadine, che avevano diritto solo ai generi che non producevano.
Staccando dalla tessera i bollini si potevano acquistare i prodotti, reperiti col sistema dell’ammasso, però solo entro i limiti previsti, che indicativamente erano di 1,5 / 2 etti di pane al giorno (2,5 etti per gli operai Fiat e le donne in gravidanza), tre etti di carne alla settimana, due etti e mezzo di zucchero al mese, un pacchetto di sigarette per ogni capofamiglia.
Le derrate fornite con la tessera erano però di bassa qualità, dal pane nero fatto con cereali poveri (ma la voce popolare parlava anche di segatura e di bottoni ed ossi macinati !) all’orzo e alla margarina come surrogati per caffè e burro. Alcuni generi, come olio, caffè, zucchero e tabacco erano spesso introvabili e allora si suppliva con ingegno fumando residui di foraggi, barbe di meliga e cortecce di vite o tostando anche la segale.
I generi scadenti e le razioni insufficienti rendevano necessario trovare altre forme d’approvvigionamento comprando o barattando merce alla borsa nera.
CleroIl ruolo del clero locale nell’ambito della Resistenza è stato senza dubbio importante. Al di là dei casi particolari e delle vicende personali, tale ruolo può essere utilmente interpretato anche in una più ampia prospettiva storica.
Infatti, dopo l’8 settembre, le gerarchie ecclesiastiche di Roma e di Torino, pur non avendo riconosciuto la RSI, cercano di mantenere, almeno ufficialmente, una posizione di prudenza e di equidistanza, dettata da esigenze diplomatiche legate al più ampio contesto in cui devono, comunque, operare.
Ma ciò non è assolutamente possibile per il basso clero, specialmente nei luoghi, come la Val Sangone, caratterizzati da una forte presenza partigiana. Il clero locale viene dunque posto di fronte ad un’alternativa secca: o scegliere la continuità, l’ordine istituzionale, in qualche modo ricostituito dal fascismo della RSI, o scegliere la rottura, cioè l’attiva solidarietà con le popolazioni minacciate da rappresaglie e rastrellamenti, la supplenza istituzionale di uno Stato laico assente od ostile, l’aiuto ai partigiani. Fin dai primissimi momenti è su questa seconda, non facile, strada che il clero locale, per la sua gran parte, si incammina, dando vita ad una straordinaria storia tra fede ed impegno civile durata per venti mesi, fra il 1943 ed il 1945, fino alla Liberazione.
Il clero diventa il vertice di un triangolo di mediazione tra nazifascisti e partigiani: i parroci conducono trattative per il rilascio di ostaggi prelevati dai nazifascisti, o per ottenere la restituzione di militi catturati dai partigiani, o per evitare rappresaglie. La condanna cristiana di ogni forma di violenza assume in modo sempre più esplicito un’intonazione antifascista, e come tale viene recepita da tutta la popolazione che, indipendentemente dall’osservanza dei precetti religiosi, vede nel clero un’autorità ed un esempio. In qualche caso, si arriva a forme di militanza effettiva di qualche sacerdote in favore dei partigiani.
Sacerdoti e suore sono sempre vicini alla popolazione, durante quegli anni sanguinosi, conquistando, fra la gente, quel rispetto che, su scala più ampia e per il verificarsi di fatti analoghi un po’ in tutte le aree della Resistenza italiana, avrà una ricaduta positiva per l’immagine della Chiesa. Soprattutto per questo motivo, infatti, dopo la fine della guerra, la Chiesa cattolica verrà considerata, anche dalla maggior parte suoi oppositori, come uno degli indispensabili punti di riferimento per la nuova civiltà democratica in Italia.
Chi sono i principali protagonisti di questa storia tra fede ed impegno civile in Val Sangone
Prima di tutto, alcuni parroci, come don Crosetto (Giaveno), con i suoi curati don Busso e don Foco, protagonisti di trattative con i nazifascisti, presi in ostaggio e malmenati dai soldati; oppure come don Mattone (Forno), don Gianolio (Trana) e don Gallo (Maddalena) accusati di complicità con i partigiani ed incarcerati per lunghe settimane alle “Nuove” di Torino, come don Audero (Provonda) che nasconde presso di sé una famiglia ebraica, oppure come don Pozzo (Cumiana), protagonista di una drammatica trattativa con i tedeschi. Ci sono sacerdoti come don Marabotto, della Val di Susa, che fa giungere clandestinamente armi per i partigiani della Val Sangone, o come don Salassa che, nell’estate del 1944, diventa cappellano militare dei partigiani della Val Sangone; suore del S.Cottolengo, come suor Delfina e suor Amalia, impegnate presso l’Ospedale di Giaveno, che curano clandestinamente i partigiani feriti, o come la giovanissima suor Santina, impegnata presso l’Asilo “Prever” di Coazze. Sono parimenti attivi i sacerdoti che dirigono il Seminario Arcivescovile di Giaveno (don Burzio e don Tonus), i Fratelli delle Scuole Cristiane del “Pacchiotti” di Giaveno (fratel Tarcisio e fratel Delfino). Emergono figure rilevanti anche nell’ambito di altre componenti del clero regolare, come i rosminiani padre Alotto ed il novizio Riboldi, o come il padre francescano di origini tedesche Rush.
CLNComitato di Liberazione Nazionale. Tra le più importanti componenti della lotta condotta contro il Fascismo troviamo il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), costituito il 9 settembre 1943, con sede centrale a Roma, da rappresentanti dei partiti antifascisti, tra i quali emergono nomi come quelli di Ivanoe Bonomi (presidente), Alcide de Gasperi, Alessandro Casati, Pietro Nenni, Ugo La Malfa, Giuseppe Romita, Giorgio Amendola. Il CLN organizza una resistenza che chiama gli italiani alla lotta per riconquistare il posto che competeva loro nel consesso delle libere nazioni. Queste idee trovano l’approvazione” dall’intero Paese: rapidamente infatti i rappresentanti dei- vari partiti antifascisti nelle regioni, nelle città e nelle province, costituiscono CLN locali per dare impulso e direzione politica alla resistenza, che si sta organizzando contro l’invasore tedesco ed i suoi “servi” fascisti.
E’ significativo che il C.L.N. ottenga largo credito tra la gente, soprattutto se si tiene conto che un potere legale si è ricostituito sotto la guida della Repubblica Sociale Italiana, a capo della quale i Tedeschi hanno ricollocato, utilizzandolo per i propri fini, l’ormai stanco e sfiduciato Benito Mussolini.
Coloro che fanno parte del CLN sono in generale le stesse persone che avevano resistito al fascismo fin dal tempo del suo avvento.
Nel gennaio 1944 il C.L.N. milanese ottiene dal comitato centrale i poteri di “governo straordinario” del Nord assumendo la denominazione di Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI).
CLNAIComitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Il CLN milanese guidato da Ferruccio Parri è investito nel gennaio del 1944 dei poteri di governo straordinario dell’Alta Italia. Con i protocolli di Roma di dicembre il movimento partigiano si impegna a seguire le direttive angloamericane e il CLNAI viene riconosciuto dagli Alleati come governo di diritto dell’Italia settentrionale, in quanto mandatario del Governo Bonomi.
CLNRPComitato di Liberazione Nazionale Regione Piemonte, costituito verso la metà di ottobre del 1943 fra esponenti socialisti, comunisti, azionisti, democristiani e liberali, il cui obiettivo è il coordinamento del movimento resistenziale e il reperimento dei fondi necessari per sostenerlo.
CMRPComando Militare Regione Piemonte.
CollaborazionistaChi collabora con truppe nemiche d’occupazione.
La Germania di Hitler, in alternativa all’annessione, attuata per i Sudeti, l’Austria, la Polonia e l’Alsazia-Lorena, e all’amministrazione militare diretta, favorì il sorgere di governi collaborazionisti in Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Croazia, Serbia, Ungheria, Francia meridionale (la cosiddetta Repubblica di Vichy affidata a Pétain) e Italia centrosettentrionale (Repubblica Sociale Italiana di Mussolini). I nazisti avevano organizzato una rete amministrativa, militare, economica e di polizia che controllava questi simulacri di governi nazionali semiautonomi.
Nel collaborazionismo, si fondi esso sull’ideologia, sull’opportunismo o sulla condivisione di valori d’ordine, sono presenti visioni politiche, prospettive e motivazioni diverse, tutte cementate dall’anticomunismo, dall’odio verso la società di massa e la democrazia in tutte le sue forme, dall’antisemitismo e dal razzismo in generale.
In Val Sangone, dove ad esempio il podestà di Giaveno Zanolli fu più un mediatore che un collaboratore dei nazifascisti e dove Gottardo Monfrino, il Segretario politico del fascio di Giaveno venne dichiarato dai partigiani “di contegno non repubblicano fascista”, la popolazione si schierò sostanzialmente con la Resistenza, ma non mancarono esempi di collaborazionismo sia sotto forma di zelanti funzionari fascisti nostalgici dello squadrismo, come il Segretario del fascio repubblicano di Trana Marcello Martinasso, sia sotto forma di spie, infiltrati e delatori come il finanziere Beghetti, responsabile della Cattura del Maggiore Milano e di Enrico Valobra.
(cfr. Mantelli B.: Resistenza e collaborazionismo nell’Europa occupata, in I viaggi di Erodoto n.29/1996, Mondadori, Milano)
CVLCorpo Volontari della Libertà. Organizzazione unitaria delle formazioni partigiane sorta a Milano nel 1944 per iniziativa del CLNAI. Guidata da R. Cadorna, F. Parri e L. Longo, si occupa della fornitura di armi, materiali e informazioni ai partigiani. Viene sciolto l’8 maggio 1945.
DecorazioniMedaglie o simili, concesse come riconoscimento di azioni meritevoli.
La medaglia d’argento al Comune di Giaveno per la Resistenza in Val Sangone, conferita il 18 ottobre 1997 dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, è il riconoscimento che ha completato un ricco medagliere individuale.
Il quadro completo delle decorazioni conferite per la Guerra di Liberazione è il seguente:
DECORAZIONI CONFERITE PER LA RESISTENZA IN VAL SANGONE
Medaglia d’argento COMUNE DI GIAVENO E VAL SANGONE
(DECORAZIONE COGNOME E NOME BRIGATA)
Medaglia oro CORDERO DI PAMPARATO FELICE – Campana
Medaglia oro DE VITIS SERGIO – Sandro Magnone
Medaglia oro NICOLI GUERRINO – Carlo Carli
Medaglia oro PIOL AGOSTINO – Ferruccio Gallo
Medaglia oro RUFFINATTI RENATO – Lillo Moncada
Medaglia argento BARATTA RINALDO – Carlo Carli
Medaglia argento BORGESA OSCAR – Ferruccio Gallo
Medaglia argento GALLO FERRUCCIO – Ferruccio Gallo
Medaglia argento MAGNONE ALESSANDRO – Sandro Magnone
Medaglia argento MARTOGLIO VALERIO – Sandro Magnone
Medaglia argento MESSINA ALFONSO – Sandro Magnone
Medaglia argento NICOLA PASQUALE – Ruggero Vitrani
Medaglia argento NICOLETTA GIULIO – Com. Divis. De Vitis
Medaglia argento RAMO CESARE – Sandro Magnone
Medaglia argento SISTI RINO – Ruggero Vitrani
Medaglia argento VITRANI RUGGERO – Ruggero Vitrani
Medaglia bronzo BAZZEATO GIULIO – Ruggero Vitrani
Medaglia bronzo CORDIN VITALE – Lillo Moncada
Medaglia bronzo DEL MARTINO AURELIO – Sandro Magnone
Medaglia bronzo GIACOMINO MARIO – Sandro Magnone
Medaglia bronzo GOVERNATO VINCENZO – Sandro Magnone
Medaglia bronzo MORELLO PIETRO – Sandro Magnone
Medaglia bronzo OGLIANI GIOVANNI – Sandro Magnone
Medaglia bronzo PERLINO HELIOS – Sandro Magnone
Medaglia bronzo STAORENGO GIUSEPPE – Sandro Magnone
Medaglia bronzo VESCO ALESSANDRO – Campana
Croce Valor Militare CRISCUOLO FRANCESCO – Ferruccio Gallo
Croce Valor Militare DE GENNARO ISABELLA – Campana
Croce Valor Militare GAIDO ANDREA –  Sandro Magnone
Croce Valor Militare GHIO MICHELANGELO – Edo Dabbene
Croce Valor Militare PERETTI EMILIO – Lillo Moncada
Croce Valor Militare QUAZZA GUIDO – Ruggero Vitrani
Croce Valor Militare REVIGLIO FRANCESCO – Ferruccio Gallo
Croce Valor Militare RUIU ANTONIO – Lillo Moncada
Croce Valor Militare VOTTERO REIS GIUSEPPE – Sandro Magnone
Promozioni per merito CRISCUOLO GIOVANNI – Ferruccio Gallo
Promozioni per merito MORENA PAOLO – Lillo Moncada
Promozioni per merito NICOLETTA FRANCESCO – Lillo Moncada
DeportazioneTrasferimento coatto di individui o gruppi di individui  poi obbligati a risiedere in un luogo diverso dal proprio, spesso in luoghi di internamento o campi di lavoro. 
La deportazione di massa è stata applicata in varie fasi della storia come strumento di controllo sociale o politico, misura di polizia, provvedimento di lotta etnica o religiosa.
Il nazismo attuò fin dal suo avvento al potere nel 1933 la deportazione di oppositori politici ed ebrei in campi di concentramento per lo sfruttamento lavorativo o lo sterminio. Dopo l’armistizio dell’8 settembre cominciò anche in Italia la deportazione degli ebrei e dei soldati che non si arruolavano nella Repubblica di Salò. Borgo San DalmazzoFossoli (di qui passò Primo Levi) e Bolzano erano i principali campi di raccolta e smistamento dei deportati destinati ai campi di lavoro o di sterminio in Germania.
Allettati e ingannati con manifesti e normali proposte di lavoro, partigiani catturati e civili rastrellati casualmente, scioperanti, renitenti alla leva, ricattati con minacce ai parenti, si valuta che siano stati quasi un milione gli italiani deportati e internati nei lager tedeschi per essere utilizzati come manodopera schiavizzata, per sostituire i tedeschi al fronte, erano gli “schiavi di Hitler”. http://www.schiavidihitler.it/Pagine_schiavi/chi_sono.htm
Disprezzati da chi li accusava di collaborazionismo, dimenticati, senza diritti e tutele, in almeno quarantamila non tornarono da quell’inferno di fame, violenza e sfruttamento.
 Bibliografia:
Ricciotti Lazzero, Le SS italiane, Milano, Rizzoli, 1982.
Ricciotti Lazzero, Le brigate nere, Milano, Rizzoli, 1983.
Ricciotti Lazzero, Lager. Deportazione e sterminio nel Terzo Reich, Brescia, Istituto storico della Resistenza bresciana, 1985.
Ricciotti Lazzero, Gli schiavi di Hitler. I deportati italiani in Germania nella seconda guerra mondiale, Milano, A. Mondadori, 1996.
GAPGruppi di Azione Patriottica. Nuclei armati che svolgono un’importante azione di guerriglia urbana durante la resistenza. Sorti su disposizione del PCI nell’estate del 1943 a Padova, sono già attivi in Milano in ottobre e agiscono soprattutto a sostegno delle agitazioni operaie. L’attentato gappista del 23 marzo 1944 in Via Rasella a Roma costa la vita a 33 nazisti che rispondono con l’Eccidio delle Fosse Ardeatine, dove Kappler per rappresaglia fa fucilare 335 ostaggi.
GLGiustizia e Libertà. Movimento politico antifascista d’impronta liberal-socialista fondato a Parigi nel 1929 da esuli italiani (Lussu, Rosselli, Salvemini). Nel 1942 dà vita al Partito d’Azione e le formazioni partigiane che vi si ispirano prendono il nome della vecchia organizzazione disciolta. In Val Sangone opera la Divisione GL Campana.
GNRGuardia Nazionale Repubblicana, l’esercito della RSI.
GuerrigliaForma di lotta condotta da formazioni irregolari di armati che combattono un esercito regolare, in genere con lo scopo di rovesciare un regime o di liberare un territorio occupato. Basata sulla conoscenza dell’ambiente da parte di chi la conduce, presuppone l’appoggio della popolazione e si sviluppa con azioni a sorpresa, brevi scontri, attentati, sabotaggi.
Largamente attuata dal movimento resistenziale, venne combattuta ma non domata dai nazifascisti con i rastrellamenti e le rappresaglie.
Lancio / AviolancioTermine correntemente usato per indicare i rifornimenti paracadutati dall’aviazione alleata a sostegno della guerriglia partigiana.
Il primo lancio, di modesta entità viene effettuato nella notte del 2 maggio 1944 presso il Palè.
Altri ne seguono, il più tragico per le conseguenze che ebbe fu quello del 1° dicembre 1944, che prolunga il rastrellamento del 26 novembre 1944.
Missione AlleataIl primo contatto con gli alleati in Val Sangone avveniva nell’inverno 1943/1944, quando l’ingegner “Marelli” (Carlo Mussa Ivaldi) si incontrava alla borgata Rosa di Coazze con i comandanti delle bande per organizzare l’espatrio in Svizzera degli ex prigionieri inglesi. Però l’organizzazione di ‘Marelli’ non era in grado di assicurare la mediazione.
Un secondo contatto veniva avviato in aprile con l'”Organizzazione Franchi” di Edgardo Sogno tramite Ugo Campagna, rapporti personali, più che rapporti del C.L.N.
Il risultato era un lancio nella zona del Palè, sopra l’Indiritto, la notte fra il 2 e 3 maggio. La situazione della vallata rifletteva le contraddizioni generali del rapporto fra alleati e movimento partigiano. Quando nel novembre 1943 Ferruccio Parri e Leo Valiani si erano incontrati a Certenago con i rappresentanti degli angloamericani chiedendo l’inserimento dell’attività partigiana nel quadro operativo della guerra alleata, avevano trovato degli interlocutori freddi e diffidenti: Allen Dulles e John Mc Caffery, rappresentanti dei servizi segreti americano e britannico, avevano rifiutato l’impostazione “mazziniana” di guerra di popolo che Parri e Valiani prospettavano, sollecitando invece la creazione di una semplice rete di nuclei di tecnici e di sabotatori.
La situazione era parzialmente mutata in primavera, con la creazione del governo di unità nazionale nel Regno del Sud e il contemporaneo crescere del movimento resistenziale al Nord. Preoccupati dalle possibili conseguenze politiche di una lotta di liberazione in cui le forze di sinistra erano elemento trainante ma, nel contempo, militarmente interessati ad un’attività che impegnava numerose forze nemiche, gli alleati paracadutavano nell’Italia occupata le prime missioni: si trattava di ufficiali incaricati di assistere gli ex prigionieri, di organizzare lanci di viveri e di armi, di raccogliere informazioni sulla consistenza e sulla disposizione delle forze armate tedesche, ma anche di studiare il movimento partigiano, di verificare l’affidabilità politica, di condizionarne, dove possibile, gli orientamenti.
Le prime missioni inglesi e americane – ha scritto Roberto Battaglia – seguono una politica ben precisa: non solo stabiliscono la loro sede presso il comando delle formazioni che esse ritengono, a torto o a ragione, ‘più a destra’, non solo evitano di far capo ai CLN cittadini e agiscono ognuna per proprio conto, ma seguono una costante politica di discriminazione nei lanci.
In quest’atmosfera generale giungeva in vallata, a fine luglio, il capitano irlandese Patrick O’Regan, con l’incarico di stabilire il collegamento con le formazioni delle valli di Susa, Sangone e Chisone. Il capitano si trasferiva in Val Sangone per la sua centralità geografica rispetto all’area di competenza e si stabiliva presso il comando della brigata. In vallata il capitano restava sino ad ottobre quando, dopo essere passato in Francia, raggiungeva da Marsiglia il comando alleato nell’Italia meridionale; a fine novembre tornava nella zona di Torino stabilendosi in pianura, a None, presso il dottor Michele Ghio, dove rimaneva sino alla Liberazione.
La missione O’Regan (che si avvaleva della collaborazione di un radiotelegrafista italiano, Mario Nocerino “Renato”) organizzava due primi lanci nella zona della Maddalena, con cibo e vestiario per gli ex prigionieri e alcune casse di sten (“un’arma rustica, a tiro rapido, capace di sopportare anche una caduta a terra o la pioggia senza subire grossi danni”). Si trattava di aiuti deludenti, come annotava il capitano “Leo” (Bruno Leoni), ufficiale italiano addetto ad un’altra missione britannica, entrato in contatto con i partigiani della Val Sangone a fine ottobre.
Gli aiuti diventavano più consistenti durante il secondo periodo di attività di O’Regan in Val Sangone. All’inizio di dicembre c’era un lancio abbondante di armi e munizioni nella zona di Prafieul. In seguito il capitano inglese individuava un’area più adatta allo scopo in pianura, tra Airasca e None: i partigiani della vallata formavano una squadra addetta al recupero del materiale, intitolata a “Edo Dabbene” (caduto durante il rastrellamento di maggio) e comandata da Michele Ghio, ex podestà di None entrato nelle file della Resistenza:
Oltreché di aviolanci, la missione O’Regan si occupava dell’assistenza ai prigionieri alleati, cercando di farli espatriare. Era il caso, a fine dicembre, di dodici aviatori americani, costretti ad un atterraggio di fortuna presso Airasca e salvati da un partigiano della Val Chisone, che li nascondeva in un cascinale presso Cumiana.
La missione O’Regan non era l’unica presente in vallata. Presso il comando della brigata “Campana”(bande partigiane), al Mollar dei Franchi, c’era la missione “Silvio” (Luigi Segre), organizzata dagli americani per avere informazioni dirette sulla situazione locale. A Balangero c’era, invece il capitano “Leo” ufficiale della missione britannica “Ferret”, incaricato di organizzare dei campi di transito per raccogliere prigionieri alleati da tutto il Piemonte. Si trattava però di missioni minori. Quella di ‘Silvio’ non era ufficialmente accreditata, quella del capitano ‘Leo’ è durata pochi mesi perché il rastrellamento di novembre-dicembre ha tolto la possibilità dei campi di transito.
NazifascistaSeguace del nazifascismo, termine coniato negli ultimi anni di guerra e oggi ancora largamente in uso per sottolineare la completa identificazione tra il nazionalsocialismo (nazismo) tedesco di Hitler e il fascismo della RSI (sigle) e assimilare in un unico giudizio negativo due regimi dittatoriali, accomunati dall’alleanza militare, dall’ideologia reazionaria e dal ricorso ad un esercizio del potere assolutistico e repressivo.
Nome di battagliaChi combatte in clandestinità assume di solito un nome di battaglia che, oltre alla funzione pratica di celare l’identità del suo portatore ed evitare anche rappresaglie famigliari, assolve anche un certo numero di funzioni espressive e simboliche. A volte erano i compagni a dare il soprannome, a volte invece uno se lo sceglieva come gli piaceva.
Nei registri della divisione autonoma «Sergio De Vitis» si ritrovano 418 nomi di battaglia.
L’elemento che qualifica a prima vista gran parte dei nomi di battaglia è l’irruenza espressiva, alcuni sono aggettivi o avverbi che rimandano a qualità di coraggio: «Tremendo», «Terribile», «Ovunque», «Semper», «Vandalo».  Altri sono nomi di fenomeni naturali violenti e di animali feroci: «Nembo», «Folgore», «Saetta», «Leone», «Lupo».  Altri ancora nomi di armi ed esplosivi: «Cannone», «Sten», «Dinamite».  Più rari, ma ugualmente presenti, i nomi di eroi del cinema o dei fumetti: «Tarzan», «Buffalo Bill», «Sceriffo».  Un altro consistente numero di pseudonimi è costituito da semplici alterazioni o abbreviazioni del nome proprio: «Cecu», «Genio», «Giors», «Cele», «Giuan», «Carlin», «Beppe», «Lele», «Berto» (talvolta l’alterazione coinvolge anche il cognome, come «Giofa» per Giovanni Fassino o «Frico» per Federico Tallarico).  In questa categoria apparentemente più opaca dell’onomastica partigiana, si nota tuttavia una grande fantasia «dovuta all’esigenza di piegare i nomi più comuni per evitare doppioni, sovrapposizioni e confusioni»”‘.  Così Eugenio viene variato ìn «Genio», «Geni», «Geniu», «Geni Bocia»; Francesco in «Cecco», «Ciccio», «Cecu», «Cesco»; Giovanni in «Nino», «Giuanin», «Giò», «Gianni», «Giuan», «Giangi».
Non mancano poi i nomi derivati dalla tradizione contadina degli «stranòm», come «Vigin», «Notu», «Cincio», «Vecio», «Fineur», «Carubi», «Bocia»; né quelli geografici, che indicano la località di provenienza degli esterni («Palermo», «Mantovano», «Vàldustàn», «Bologna»); né, ancora, quelli derivanti da attributi fisici («Barba», «Moretu», «Risulin»). 
OscuramentoMascheramento notturno delle sorgenti luminose, imposto durante la guerra per protezione dagli attacchi nemici, specialmente aerei.
PartigianoIl termine, che indica genericamente chi sostiene o difende una parte o un partito, è usato per indicare gli appartenenti a formazioni armate irregolari che svolgono azioni di guerriglia nel territorio nazionale invaso dal nemico ed è correntemente riferito a chi, durante la Seconda Guerra Mondiale, appartenne ai movimenti di resistenza contro i nazisti e i loro alleati. Nei manifesti e negli atti ufficiali della Repubblica Sociale Italiana non si usava il termine “partigiano”, ma “ribelle”.
PodestàIl termine, in età comunale, si riferiva al supremo magistrato cittadino. Quando il fascismo sostituisce i sindaci eletti con persone di nomina regia, riesuma il termine, che indica quindi il capo dell’amministrazione comunale durante il regime fascista.
In Val Sangone il quadro podestarile era il seguente.
Coazze: Luigi Rabajoli, ingegnere della locale Cartiera Sertorio;
Cumiana: Giuseppe Durando, fascista convinto abbandona il paese nel marzo del 1944 dopo un tentativo di cattura da parte dei partigiani.
Giaveno: Giuseppe Zanolli;
PresidioGuarnigione, complesso di truppe poste a guardia o a difesa di una località o di opere di interesse strategico.
nazifascisti operarono contro la Resistenza in Val Sangone soprattutto con i rastrellamenti e un presidio tedesco si trovava solo presso la Polveriera di Sangano e ad Avigliana. Solo dopo il rastrellamento del 26 novembre 1944 e a causa di un lancio paracadutato intempestivo che il 1° dicembre attirò la loro attenzione sulla forza del movimento resistenziale in Val Sangone, il comando tedesco stabilì dei presidi a Coazze nella Villa Prever, alla Maddalena e a Giaveno nella Villa Taverna. Di fatto la valle veniva occupata fino alla primavera successiva. In febbraio rientrava il presidio della Maddalena, il 18 marzo 1945 lasciava il paese il presidio di Giaveno e una settimana dopo veniva tolto anche quello di Coazze.
IV Zona PiemonteIl Comando militare risponde alle esigenze di coordinamento del movimento resistenziale suddividendo il Piemonte in nove zone territoriali militari, alle dipendenze di un comando di zona nel quale sarebbero state rappresentate tutte le formazioni attive nell’area. “I comandi di zona – era scritto nella circolare n. 231 del 21 agosto 1944, inviata dal Cmrp a tutte le brigate – sono organi di coordinamento operativo. Ad essi spetta promuovere l’affiatamento e l’amalgama delle diverse formazioni; dirigere, perfezionare e affinare istruzione e addestramento; definire atteggiamento e condotta da tenere in rapporto alla situazione militare della zona; ideare le operazioni e stabilire il concorso delle diverse formazioni; precisare le rispettive zone di utilizzazione logistica”. La Val Sangone viene inquadrata nella IV Zona, con la Val Pellice, la Val Chisone, la Val Germanasca e la valle di Susa. Il provvedimento parte dall’alto, ma corrisponde ai tentativi di collegamento fatti dalla base. Nei mesi precedenti, oltre ai contatti presi dai comandanti della Val Sangone, c’erano stati altri incontri fra i capi delle formazioni: “nel febbraio 1944 vi era stato l’abboccamento di Roure tra Marcellin e Guermani per studiare un’eventuale possibilità di collegamento con le formazioni GL della Val Germanasca; “Barbato” e Roberto Malan avevano dato vita a un comando di coordinamento fra i garibaldini e le GI della Val Pellice.
All’inizio dell’estate Ada Godetti e Duccio Galimberti erano saliti a Granges di Pragelato per proporre la costituzione di un comando di coordinamento fra le formazioni del Pinerolese e quelle dell’alta valle di Susa”. La delimitazione territoriale della zona discende, d’altra parte, dall’esperienza dei rastrellamenti della tarda primavera e dell’estate, quando le diverse tattiche adottate dai comandanti delle varie valli, senza un piano comune prestabilito, offrirono al nemico delle possibilità che non avrebbe avuto se tutti i comandi avessero agito d’intesa. La difesa della Val Chisone in agosto era stata seriamente pregiudicata dal fatto che alcune colonne di Alpenjaeger, dopo aver risalito alquanto agevolmente la Val Pellice e la Val Germanasca, avevano minacciato da sud le difese della Val Troncea; l’attacco da monte in Val Sangone, durante il rastrellamento di maggio, era stato reso possibile a sua volta dalla facilità con cui gli Alpenjaeger erano risaliti dalla Val Chisone e dalla valle di Susa.
Osvaldo Negarville (che con Dante Livio Bianco, Franco Venturi e il generale Carlo Drago fa parte del Corpo Ispettori istituito dal Cmrp (sigle) per verificare la disponibilità delle formazioni alla creazione dei comandi di zona) contatta i comandanti delle vallate presentando il progetto e chiedendo indicazioni sui nomi dei futuri responsabili. La costituzione della IV Zona è ufficializzata il 1° settembre, in una riunione a Granges di Pragelato, presenti i rappresentanti delle formazioni della Val Chisone, della valle di Susa e della Val Pellice (la Val Sangone aveva partecipato agli accordi preliminari). Il Comando viene assunto da Antonio Guermani “Tonino” per gli Autonomi, con commissari politici Osvaldo Negarville “Valerio” per i garibaldini e Angelo Mussa Ivaldi “Lino” per le formazioni GL. L’incarico di Capo di Stato maggiore è affidato a Giovanni Gonella “Ferrua” e il servizio informazioni ad Ugo Campagna. Nel gennaio 1945 Angelo Mussa Ivaldi, trasferito nel Monferrato, sarebbe stato sostituito da Roberto Malan.
Il 17 settembre il Comando IV Zona si stabilisce in Val Sangone, presso il comando della brigata, vicino alla Maddalena dov’era insediata anche la missione di O’Regan
RappresagliaAzione violenta intrapresa per ritorsione contro il nemico. Nella lotta contro la Resistenza i nazifascisti ne hanno fatto un uso sistematico, vendicando le azioni di guerriglia subite su persone innocenti, ostaggi rastrellati casualmente e chiamati a pagare, in genere nel rapporto di 10 a 1, i morti tedeschi o utilizzati come merce di scambio per i prigionieri. Le rappresaglie più cruente in Val Sangone sono quelle che hanno dato origine all’Eccidio di Cumiana e alle 41 fucilazioni del 26 maggio 1944. Il massacro dei “66 martiri” di Grugliasco più che un’azione di rappresaglia, fu un atto di ferocia gratuita, conseguenza non di un’azione diretta subita, ma più in generale del clima di sconfitta che aleggiava sulle truppe tedesche in ritirata dopo la liberazione di Torino da parte dei partigiani.
La rappresaglia tedesca si abbatteva non solo sugli uomini, ma anche sulle cose. Case e intere borgate sono state sistematicamente distrutte perché ospitavano partigiani o per ritorsione. Tra le borgate interamente bruciate e devastate ricordiamo quelle di FerriaCiargiurSelvaggioSopra e S. Pietro.
RastrellamentoAzione tattica condotta da pattuglie armate che percorrono metodicamente e con azione coordinata una zona operando controlli e perquisizioni alla ricerca dei nemici.
Con l’obiettivo di debellare le formazioni partigiane e catturare i renitenti alla leva della RSI (sigle), in Val Sangone questa tipica operazione antiguerriglia venne messa in atto 27 volte, anche se non sempre in modo approfondito e metodico.
Nel primo e nei rastrellamenti di minor portata le truppe nazifasciste si limitavano a risalire il fondovalle in autocolonna mandando delle pattuglie in perlustrazione sui fianchi.
Nel rastrellamento del 10 maggio 1944 la strategia attuata è più scaltra e sorprende i partigiani.
Il fondovalle viene percorso da una colonna corazzata mentre reparti di fanteria marciano parallelamente ad essa sui fianchi e sui crinali; altri reparti ancora convergono verso la zona del rastrellamento, dalle vallate trasversali, chiudono ai partigiani così accerchiati ogni via d’uscita. E’ già una tattica evoIuta e che richiede una buona conoscenza del territorio e una capacità di manovra degna dell’esercito regolare.
Nel duro rastrellamento del 26 novembre 1944 la tecnica dell’offensiva concentrica dalla valle di Susa e dalla Val Chisone Ë la stessa di maggio, manca l’attacco dal fondovalle, nell’intento di spingere i partigiani verso Giaveno per poi imbottigliarli.
I rastrellamenti più significativi furono:
Primo rastrellamento del 23 settembre 1943
rastrellamento del 13 novembre 1943
rastrellamento del 10 maggio 1944
rastrellamento di Trana del 27 giugno 1944
rastrellamento del 26 novembre 1944
Renitente alla levaRenitente alla leva è chi non si presenta alla chiamata del servizio militare di leva. Il fenomeno della renitenza fu particolarmente consistente durante la Repubblica di Salò ed alimentò le fila dei partigiani. I bandi della repubblica sociale, minacciosi nel linguaggio ma contraddittori nella sostanza, rivelavano il disagio del governo fascista di fronte ad una situazione ingestibile: al decreto del 18 febbraio 1944 che comminava la pena di morte ai renitenti delle classi 1923-1924-1925, aveva fatto seguìto, ai primi d’aprile, un condono per gli sbandati.  Quindici giorni dopo, nella seduta del 18 aprile, il Consiglio dei ministri ritornava alla maniera forte, stabilendo pene varie per i collaboratori delle bande e la fucilazione immediata dì chiunque fosse trovato in possesso d’armi.
In effetti la chiamata alle armi delle classe 1923-1925 e la legge del 18 febbraio che sanciva la pena di morte per i renitenti avevano sortito un effetto opposto a quello sperato dal regime di Salò,  su 180.000 giovani in età di leva, solo 87.000 si erano presentati ai distretti.  La situazione della provincia di Torino rifletteva i dati nazionali: i comandi militari informavano la prefettura che su 2.997 giovani della classe 1925 solo 1.272 si erano presentati, mentre i restanti 1.725, pari al 57,20 per cento, risultavano renitenti. Chi non rispondeva alla chiamata saliva in montagna e si aggregava alle formazioni partigiane, i rastrellamenti oltre che a debellare i partigiani puntavano a recuperare renitenti e operai da inviare in Germania.
RepubblichinoIl termine, di derivazione alfieriana, venne usato da U. Calosso, responsabile delle trasmissioni di Radio Londra, per indicare spregiativamente gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana e divenne rapidamente di uso generale.
RibelleIl termine, che indica genericamente chi insorge contro l’autorità costituita, è quello usato dalla Repubblica Sociale Italiana nei confronti del “partigiano“, così chiamato sui manifesti e in tutti gli atti ufficiali dello stato che si considerava il legittimo detentore del potere in Italia.
RSIRepubblica Sociale Italiana, detta anche Repubblica di Salò, è l’organismo statale costituito il 9 settembre 1943, dopo l’armistizio di Cassibile, nell’Italia settentrionale occupata dai tedeschi. Ebbe come sede provvisoria Salò, mentre i ministeri erano distribuiti in varie località tra Bergamo e Venezia. Mussolini, liberato da un commando tedesco dal Gran Sasso, vi esercitò le funzioni di capo dello stato, di capo del governo e di duce del nuovo Partito Fascista Repubblicano, che riprese nei suoi programmi alcuni temi del fascismo delle origini, come la socializzazione delle imprese.
Stato fantoccio dei tedeschi ed esempio di collaborazionismo, la RSI si impegnò soprattutto nella repressione della resistenza partigiana, attuata dalla GNR (sigle), i cui soldati, spregiativamente chiamati repubblichino, agivano in collaborazione e sotto il comando dei tedeschi, inquadrati in reparti speciali, come le Brigate Nere e la X Mas.
La RSI si sciolse al momento dell’insurrezione generale dell’aprile del 1945.
SAPSquadre di Azione Patriottica. Organizzazione resistenziale clandestina, con compiti di sabotaggio e mobilitazione. Operante dall’estate del 1944 nelle campagne emiliane, si diffonde poi in tutta l’Italia settentrionale.
SigleANPI, CLN, CLNAI, CLNRP, CMRP, CVL,GAP, GL, GNR, RSI, SAP, SS.
SSSchutz-staffeln (ted. squadre di protezione) Polizia segreta nazista guidata da Himmler dal 1929, dedita alla repressione degli oppositori e allo sterminio degli ebrei. Con la guerra diventano unità combattenti (Waffen-SS) impiegate nella repressione dell’attività partigiana e nella deportazione delle popolazioni civili nei paesi occupati, spesso utilizzando analoghi reparti formati da volontari dei paesi occupati.
SS italianeCon questo termine si indicano i reparti di Milizia Armata, costituiti da volontari italiani, che appoggiavano le SS tedesche in compiti di polizia e in particolare di rastrellamento.
Il VII battaglione di SS italiane fu coinvolto nell’eccidio di Cumiana.
Staffetta partigianaIl termine staffetta indica il messaggero, un tempo a cavallo, latore di lettere, ordini, dispacci, incaricato di mantenere i collegamenti tra vari reparti militari. Nell’ambito della Resistenza il ruolo di staffetta è stato svolto soprattutto dalle donne. In Val Sangone erano circa un centinaio le donne che militavano a vario titolo nelle formazioni partigiane, per lo più addette a funzioni di staffetta, che garantivano i collegamenti tra la val Sangone e la pianura. Erano entrate nella Resistenza per motivi vari, alcune avevano il fidanzato o il fratello in montagna e l’attività è iniziata per portare a loro della roba da cambiarsi o da mangiare.  Altre, invece, hanno iniziato a lavorare per scelta. Quasi tutte poi sono state coinvolte come staffette: portavano messaggi, soldi, armi, quello che serviva.  Rischiavano perché c’erano i posti di blocco, ma era comunque meno difficile passare per loro che per gli uomini. La maggior parte di loro non viveva negli accampamenti, mantenendo la residenza abituale in città o in vallata. 
Tessera annonariaDocumento rilasciato durante il periodo bellico a tutti i cittadini per consentire loro l’approvvigionamento dei generi alimentari.
L’assegnazione delle tessere veniva fatta dal Comune alle famiglie sulla base dei componenti, con incrementi delle razioni per chi compiva lavori pesanti e detrazioni per le famiglie contadine, che avevano diritto solo ai generi che non producevano.
Staccando dalla tessera i bollini si potevano acquistare i prodotti, reperiti col sistema dell’ammasso, però solo entro i limiti previsti, che indicativamente erano di 1,5 / 2 etti di pane al giorno (2,5 etti per gli operai Fiat e le donne in gravidanza), tre etti di carne alla settimana, due etti e mezzo di zucchero al mese, un pacchetto di sigarette per ogni capofamiglia.
Le derrate fornite con la tessera erano però di bassa qualità, dal pane nero fatto con cereali poveri (ma la voce popolare parlava anche di segatura e di bottoni ed ossi macinati !) all’orzo e alla margarina come surrogati per caffè e burro. Alcuni generi, come olio, caffè, zucchero e tabacco erano spesso introvabili e allora si suppliva con ingegno fumando residui di foraggi, barbe di meliga e cortecce di vite o tostando anche la segale.
I generi scadenti e le razioni insufficienti rendevano necessario trovare altre forme d’approvvigionamento comprando o barattando merce alla borsa nera.