APRILE – i giorni e le opere

Il dono, 1937-1938 – Vladimir Nabokov

In una giornata col cielo coperto ma luminosa, qualche minuto prima delle 4 pomeridiane del 1° aprile 192… (un critico straniero ha fatto rilevare che molti romanzi, per esempio tutti quelli tedeschi, iniziano con una data, ma solo gli autori russi, in virtù dell’originale onestà della nostra letteratura, tacciono l’ultima cifra), all’altezza del n. 7 in Tannenbergstrasse, in un quartiere occidentale di Berlino, si fermò un furgone per traslochi molto lungo e molto giallo, aggiogato a un altrettanto giallo trattore affetto da ipertrofia delle ruote posteriori e con le forme impudicamente esposte. Sulla fronte del furgone si scorgeva la stella di un ventilatore, e lungo tutta la fiancata correva il nome di una ditta di traslochi, scritto in cubitali lettere turchine ognuna delle quali (compreso il quadrato di un punto) aveva il bordo sinistro profilato di nero: disonesto tentativo di penetrare nella dimensione successiva. Sul marciapiede davanti alla casa (quella in cui abiterò anche io), in evidente attesa dei propri mobili (nella mia valigia invece ci sono più manoscritti che biancheria), c’era una coppia.

1 aprile 1929 – Milan Kundera
 1 aprile 1875 – 10 febbraio 1932 – Edagar Wallace
 1 aprile 1809 – 4 marzo 1852 – Nicolaj Gogol

Trionfo della morte, 1894 – Gabriele D’Annunzio

Il 2 di aprile cadeva il secondo anniversario.

«Bisogna questa volta celebrarlo fuori di Roma» disse Ippolita. Bisogna che noi passiamo una gran settimana d’amore, soli, dovunque, ma fuori di qui. »

Giorgio disse: «Ti ricordi, l’anno scorso, il primo anniversario?».

«Mi ricordo. »

«Era di Pasqua, la Domenica di Pasqua… »

«Io venni da te, la mattina, alle dieci…»

[…]

Stabilirono di partire il 2 di aprile, col treno del tocco. Si trovarono alla stazione, per l’ora stabilita, tra la folla, provando entrambi in fondo al cuore una gioia ansiosa.

2 aprile 1840 – 29 settembre 1902 – Émile Zola

Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802 – Ugo Foscolo

3 aprile,

[…] s’io non menassi una vita da santo, le mie lettere ti capiterebbero innanzi più spesse. Se le sventure raggravano il carico della vita, noi corriamo a farne parte a qualche infelice; ed egli spreme conforto dal sapere che non è il solo dannato alle lagrime. Ma se lampeggia qualche momento di felicità, noi ci concentriamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra ventura possa, partecipandosi, diminuirsi; o l’orgoglio nostro soltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. -Intanto la Natura ritorna bella – quale dev’essere stata quando nascendo la prima volta dall’informe abisso del caos, mandò foriera la ridente Aurora d’Aprile […].

1984, 1949 – George Orwell

La cosa che si disponeva a fare consisteva nell’incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c’erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati. Winston infilò un pennino nella cannuccia e lo succhiò, come s’usa, per facilitare la presa dell’inchiostro. La penna era uno strumento antiquato, che si adoperava assai di rado, perfino per le firme importanti, e lui se n’era procurata una di nascosto c non senza difficoltà, solo perché sentiva che quei bei fogli color crema meritavano che ci si scrivesse sopra con un vero pennino, anziché d’essere grattati con una delle solite matite a inchiostro. Veramente non aveva l’abitudine di scrivere a mano. Con l’eccezione di qualche breve appunto, di solito dettava ogni cosa al dittografo, un apparecchio che registrava e trascriveva tutto ciò che si diceva in un microfono, e che era assurdo pensar di adoperare nella presente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: «4 aprile 1984».

4 aprile 1912 – 19 luglio 1978 – Marcello Marchesi
4 aprile 1914 – 3 marzo 1996 – Marguerite Duras

Dedalus, 1916 – JameS Joyce

5 aprile. Primavera selvaggia. Nubi in fuga. O vita. Torrente scuro di acque torbide sul quale i meli han lasciato cadere i loro fiori delicati. Occhi di ragazze tra le foglie. Ragazze modeste e scavezzacollo. Tutte bionde o castane: nessuna scura. Arrossiscono meglio. Oplà.

Tess dei d’Urberville, 1891 – Thomas Hardy

Fu un sollievo per Tess, quando guardò fuori dalla finestra quella mattina, scoprire che anche se il tempo era ventoso e minaccioso, non pioveva e che il carro era arrivato. Un’Annunciazione piovosa era uno spettro che le famiglie in partenza non dimenticavano mai: era accompagnata da mobili umidi, coperte umide, abiti umidi, e lasciava dietro di sé una serie di guai. […l E poiché quel giorno era il 6 aprile, il carro dei Durbeyfield ne incontrò molti altri con famiglie sulla sommità del carico. La sistemazione di questo era costruita secondo un principio quasi invariabile, probabilmente tipico nel lavoratore dei campi come l’esagono lo è dell’ape. La base era costituita dalla credenza di casa che con le sue maniglie scintillanti, l’impronta delle dita e i visibili segni domestici sopra di essa, si ergeva con importanza in prima fila, sopra le code dei cavalli da tiro, in posizione eretta e naturale, come un’Arca dell’Alleanza che fossero obbligati a trasportare con reverenza.

6 aprile 1924 – Eugenio Scalfari

La grotta di Prospero, 1945 – Lawrence Durrell

7 aprile 1938

Superando il crinale della collina dietro Kastellani, scopriamo che è in corso un ballo. L’ombra degli olivi proiettata sulla radura erbosa sottostante è solcata da nubi di polvere, mentre il silenzio pomeridiano viene rotto dalla risata terrificante degli asini, veri e propri attori di una pantomima. Pigro il fumo si alza dai fuochi su cui capretti interi girano infilati negli spiedi. Tra il brusio lontano delle voci si odono il suono della chitarra e lo stridio del violino, uniti al battere cavernoso del tamburo, risonante e volgare come uno stomaco gonfio schiaffeggiato col palmo della mano. «Guarda,» dice N. «guarda i danzatori.» Un cerchio multicolore di fazzoletti e gonne svolazzanti si muove lentamente intorno all’asse dei musicisti, avanzando e arretrando sul ritmo di passi pacati. Nel centro del cerchio, trascinati dalla corrente ma liberi, si muovono i giovani ballerini, ciascuno improvvisando le sue variazioni sul tema, la mano sul fianco, la testa all’indietro, il viso fervente e astratto.

Castelli di rabbia, 1991 – Alessandro Baricco

Dei 27 giorni che aveva a disposizione Hector Horeau ne consumò 18 a vagabondare con la mente intorno a qualcosa che non sapeva cosa fosse. Fu un lungo, discreto corteggiamento.

Poi, un giorno che sembrava qualunque, prese distrattamente dal tavolo una carta assorbente usata e ci vergò sopra, con l’inchiostro nero, due cose: lo schizzo di una facciata e un nome: Crystal Palace. Posò la penna. E sentì quel che sente una ragnatela quando incontra la stupita traiettoria di una mosca attesa per ore. Lavorò al progetto, giorno e notte, per tutto il tempo che gli restava. Non aveva mai immaginato qualcosa di più grande e di sconcertante. La fatica gli rosicchiava la mente, una sotterranea e febbrile emozione scavava cunicoli nei suoi disegni e nei suoi calcoli. Intorno, la vita qualunque macinava i suoi rumori. Lui li percepiva appena. Solo, giaceva in una bolla di acre silenzio, in compagnia della sua fantasia e della sua stanchezza. Consegnò il suo progetto l’ultimo giorno utile, il mattino dell’8 aprile.

8 aprile 1962 – Alberto Angela

Il racconto di Maria, 1988 – Marisa Volpi

9 aprile 1980

[…] La luce lunga delle giornate morenti d’aprile emana una tristezza più penetrante di quella delle ore grigie dell’autunno. Guardo fuori dalla finestra: la natura di primavera con l’inesorabilità dei suoi odori finisce per disgelare gli argini della commozione e adesso, evocando la fine dell’amicizia con Marta, mi rammento di altri cui il legame d’amore fu così insufficiente, sia a loro che a me.

9 aprile 1821 – 31 agosto 1867 – Charles Baudelaire
9 aprile 1930 – 24 febbraio 2018 – Folco Quilici

L’amour fou, 1937 – André Breton

Il 10 aprile 1934, in piena “occultazione” di Venere ad opera della luna il fenomeno doveva verificarsi soltanto una volta all’an-no), pranzavo in un piccolo ristorante situato spiacevolmente vicino all’ingresso di un cimitero. Per andarci, bisogna passare senza entusiasmo davanti a diversi chioschi di fiori. Quel giorno, per di più, un orologio murale privato del suo quadrante costituiva ai miei occhi uno spettacolo non proprio di buona lega. Ma osservavo, non avendo niente di meglio da fare, la vita suggestiva di quel luogo. La sera, il padrone “che fa la cucina” ritorna a casa in motocicletta. Degli operai hanno l’aria di fare onore alla tavola. Lo sguattero, davvero molto bello, di aspetto molto intelligente, lascia a volte l’office per discutere, col gomito sul banco, di cose apparentemente serie con i clienti. La cameriera è graziosa; poetica, direi. Il mattino del 10 aprile portava, su di un colletto bianco a palline rosse, diradate, molto intonate al suo vestito nero, una sottilissima catenella cui erano fissate tre gocce chiare come di pietra lunare, gocce rotonde sulle quali si staccava alla base una mezzaluna della stessa sostanza, similmente incastonata. Apprezzai una volta di più, infinitamente, la coincidenza tra il gioiello e quella eclissi.

10 aprile 1939 – Claudio Magris

Diario del seduttore, 1843 – Sören Kierkegaard

11 aprile

Ancor sempre l’anima mia resta irretita nell’identica contraddizione. So di averla veduta, ma so anche di averla dimenticata di nuovo, così che quel residuo di ricordo che ancora rimane non m’è di conforto.  […] È come il disegno di un prezioso tessuto: il disegno è più chiaro del fondo, da solo non può risaltare, appunto perché è troppo chiaro. Strana condizione, questa che sto vivendo! Eppure ha una dolcezza tutta sua, poiché mi dà la certezza che io ancora son giovane. E anche un’altra considerazione me ne convince, quella cioè che le mie vittime io sempre le cerco tra le ragazze e non tra le giovani spose, ad esempio. Una sposa ha infatti meno spontaneità e più civetteria, avere una relazione con essa non è bello e nemmeno interessante, è solo piccante, e il piccante vien sempre in ultimo… Non mi sarei aspettato d’essere ancora capace di gustare il frutto primaticcio del primo amore. Sono perdutamente invaghito, potrebbe dirsi che affogo nell’amore.

Capodanno, 1991 – Antonio Tabucchi

Con l’immaginazione percorreva in punta di piedi la penombra della camera, dove le spesse cortine di velluto azzurro respinge-vano la luce della vetrata sulla veranda. La piccola toilette con la specchiera e lo sgabello di raso trapunto è ingombra di flaconi e di spazzole, con le retine per i capelli appese sui piccoli torciglioni degli angoli, afflosciate come vecchie ragnatele. Sul piano di marmo del grosso canterale, le suppellettili che ha sempre conosciuto: il vaso cinese, la lucerna; in mezzo a queste, i due ritratti nelle cornici d’argento che si fronteggiano lanciandosi un sorriso fuori del tempo: a sinistra la mamma e il babbo, lui le allaccia la vita col braccio, ridono circondati dai piccioni, un piccione si è posato sulla mano aperta della mamma; dietro c’è San Marco, scintillante sotto una luce vivida che la lastra fotografica ha fissato come un abbaglio. La scarpa della mamma, la destra, con due cintolini intrecciati sul collo del piede, ha invaso la data scritta a inchiostro: Venezia, 12 aprile 1941.

Ventimila leghe sotto i mari, 1870 – Jules Verne

Il 13 aprile 1867 lo Scotia – uno dei più bei transatlantici della Cunard, uno steamer a ruote e a vela di settemila tonnellate di stazza – si trovava a 15° 12′ di latitudine e 45° 37′ di longitudine. Il mare era buono e il vento favorevole. Sotto la spinta dei suoi mille cavalli-vapore, lo Scotia filava a una velocità di tredici nodi e mezzo e le sue ruote battevano il mare con regolarità assoluta. Alle quattro e diciassette del pomeriggio, mentre i passeggeri si trovavano nel salone per il quarto dei cinque pasti quotidiani tradizionali sui piroscafi britannici, fu avvertito un lieve urto contro la fiancata di babordo, un po’ dietro la ruota. Lo Scotia non aveva urtato, ma era stato urtato da un qualche strumento non contundente, ma piuttosto tranciante o perforante. Il cozzo era sembrato così leggero, che a bordo nessuno se ne era allarmato, fino a quando sul ponte riecheggiarono le grida dei marinai che risalivano precipitosamente dalla stiva: «Stiamo colando a picco!».

13 aprile 1906 – 22 dicembre 1989 – Samuel Beckett

Una provincia sulla Vistola, 1984 – Eustachy Rylski

Rilesse la lettera più volte. Una lettera di suo padre, e non ne aveva saputo nulla. Un testamento di cui ignorava l’esistenza. Perché sua madre non gliel’aveva mai mostrata? E perché nominava tanto di rado il padre? Perché non ne parlavano mai? E com’era potuto accadere che cancellasse quell’uomo dalla memoria? Un uomo che aveva conosciuto poco, certo, ma di cui aveva pure qualche ricordo? In calce alla lettera, una data: 14.IV.1864. Trent’anni prima. Spense il lume. Suonarono le quattro, la stanza era quasi buia.

Il risciò fantasma, 1888 – Rudyard Kipling

Perciò il 15 aprile 1885 andammo da Hamilton. Si tenga presente che allora – checché ne dica il mio medico – godevo di ottima salute, avevo la mente equilibrata e lo spirito assolutamente sereno. Kitty ed io entrammo insieme nel negozio di Hamilton; e lì, senza badare agli altri clienti, scelsi l’anello per Kitty in presenza del commesso divertito. L’anello era uno zaffiro con due diamanti. Poi scendemmo a cavallo il pendio che conduce al ponte di Combermere e al locale di Peliti. Mentre il mio cavallo australiano saggiava cautamente il terreno di roccia friabile, e Kitty rideva e chiacchierava al mio fianco; mentre tutta Simla – vale a dire quelli che erano già arrivati dalla pianura – si trovava riunita nella sala di lettura e sulla veranda di Peliti, io ebbi l’impressione che qualcuno, apparentemente molto lontano, mi chiamasse per nome. Mi pareva di aver già udito la voce, ma sul momento non riuscii a stabilire né dove né quando.

15 aprile 1843 – 28 febbraio 1916 – Henry James
15 aprile 1895 – 11 giugno 1966 – Corrado Alvaro

La peste, 1947 – Albert Camus

La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo. Al momento non vi fece caso e, scostata la bestia, discese le scale; ma non appena nella strada gli venne il pensiero che quel sorcio non era al posto suo, e tornò indietro per avvertire il portiere. Davanti alla reazione del vecchio Michel, ancor meglio si accorse che la scoperta aveva qualcosa d’insolito. […]

La sera stessa, Bernard Rieux, in piedi nel corridoio dello stabile, cercava le chiavi prima di salire al suo appartamento quando vide sorgere dal fondo scuro del corridoio un grosso topo  all’andatura incerta e dal pelame bagnato. La bestia si fermò, sembrò che cercasse un equilibrio, prese la corsa verso il dottore, di nuovo si fermò, girò su se stessa con un piccolo grido e poi cadde vomitando sangue dalla boccuccia semiaperta. Il dottore la guardò un momento, poi salì in casa sua.

Re Bohusch, 1899 – Rainer Maria Rilke

D’altro canto, però, com’era diventato bello nel corso della sua arringa entusiasta, il viso secco e brutto dello studente! La legnosità spigolosa che ne improntava tratti e gesti si caricò di sublime, assunse un aspetto austero, dominatore, integerrimo. Tutta la figura di quel giovane allampanato, cresciuto troppo in fretta, malnutrito e vestito da far pietà, per Bohusch aveva acquisito inavvertitamente qualcosa di elementare, di eterno e mentre gli camminava a fianco non lo abbandonava la sensazione di dover prendere nota particolare di quel giorno: sabato 17 aprile.

17 aprile 1885 – 7 settembre 1962 – Karen Blixen

Matilde, 1993 – Giovanni Mariotti

 [. . .] e tu stanchissimo ma felice perché Giacomo Mortimer ha riabbracciato il fratello e il dottor Montillo è di nuovo a Manaos e insomma al termine di un periodo di sconvolgimento e di pericolo il mondo è tornato alla sua rassicurante normalità e finalmente sei arrivato alla parola FINE precipiti di schianto in un sonno cullato da voci femminili che pregano laggiù a pochi metri di distanza in un luogo invisibile e inaccessibile almeno per te che non vi sei mai penetrato e non hai visto quelle che vi abitano se non da lontano e per pochi istanti il 18 aprile quando affacciandoti a una finestra ti è accaduto di scorgere figure informi che senza sollevare la testa attraversavano un piccolo lembo di terreno aperto e battuto dal sole con la rapidità di chi si muove su un tappeto di carboni ardenti […]

Mezzanotte d’amore, 1989 – Michel Tournier

Una gelata terribile fece morire tutti i fiori degli alberi da frutto della regione di Braunau la notte del 19 aprile 1889 che vide nascere Adolf Hitler. Gli antichi credevano che la nascita di un futuro grand`uomo fosse segnata da prodigi. Bisognerebbe invece invertire l’ordine causale, e dire che un prodigio verificatosi al momento della nascita di un bambino può fare di lui un uomo eccezionale.

19 aprile 1891 – 8 ottobre 1985 – Riccardo Bacchelli

La chiave, 1956 – Junichiro Tanizaki

20 aprile

[…] L’una del mattino. La signorina Koike è salita a dormire e son rimasta sola con mio marito. Si era appisolato sin dal far della sera. Una decina di minuti dopo che l’infer-miera è andata via, ho cominciato a credere che in realtà fosse sveglio. Giaceva nell’om-bra, ma lo sentivo agitarsi lievemente e mormorare. L’ho guardato, di soppiatto, e ho visto che, come pensavo, giaceva lì a occhi aperti. Guardava verso di me, ma oltre di me. I lillà che aveva portato Toshiko – su quelli parevano fissi i suoi occhi. La lampada era velata in modo da illuminare solo una picco-la parte della stanza: sull’orlo di quel breve cerchio di luce, appena sufficiente a leggere il giornale, spiccavano lievemente i lillà.

20 aprile 1492 – 21 ottobre 1556 – Pietro Aretino
20 aprile 1942 – 15 ottobre 2018 – Arto Paasilinna

La caduta, 1983 – Marga Minco

«Quella sera – era il 21 aprile del 1942 – andai in bicicletta fino alla Zuiderkade; era domenica, pareva una giornata tranquilla.» L’uomo fu scosso a un brivido. «Avevamo concordato tutto. Li avrei portati appena fuori città in un luogo in cui avrebbero potuto pernottare. Il mattino seguente saremmo partiti di buon`ora in automobile. C`era da camminare per una ventina di minuti appena, ma ero particolarmente preoccupato proprio per quel breve tragitto.»

«I documenti non erano a posto?»

«Oh, sì, avevo procurato carte d’identità, passaporti e perfino certificati di nascita per tutti. Ognuno avrebbe portato addosso i propri, questo gliel’avevo inculcato bene. Ma in una città in cui ti conoscono tutti, non è certo facile passare inosservati. Avrei voluto andarli a prendere in auto. L’obiettivo per la prima sera era di allontanarsi il più possibile. Avevamo un`ora e mezzo di tempo. Avremmo raggiunto il confine con il Belgio» Scosse la testa; chiamò il cameriere con un cenno della mano, ordinò una birra, e quando gli fu servita ne bevve avidamente un sorso.

21 aprile 1816 – 31 marzo 1855 – Charlotte Brontë

Il racconto di Sonečka, 1937 – Marina Cvetaeva

Il 22 aprile 1922, un aprile russo, come allora io dicevo e scrivevo, in modo semplice, come il popolo. Fra un’ora passerò oltre il confine. E oltre tutto.  Bussano alla porta. Sulla soglia – c’è Pavlik A. che non vedevo forse – da un anno. Gli occhi spalancati dal terrore, ancora più grandi, più solenni. Con una voce corrispondente agli occhi (aveva una voce enorme, strana – in un corpo così piccolo) ma questa volta ancora più forte di quanto possibile: un intero corridoio vocale dell’Ade: «Ho… saputo… Me l’ha detto E. Ja. Che ora… voi… andate all’estero».

«Sì, PaVlik.» «Marina Ivanovna, si può?»

«No. Mi manca un’ora alla partenza. Devo raccogliere i miei pensieri, salutare i luoghi.»

«Ma almeno un minuto?» «Uno è già passato, Pavlik.»

«Ma io vi dirò lo stesso, devo dirvi (inghiotte profondamente) – Marina, io rimpiango profondamente ogni minuto di questi anni che non ho passato con voi… »

Ródinka, un ricordo di Russia, 1923 – Lou Andreas-Salomé

L’inverno fa degli animali da stalla dei prigionieri silenziosi; che una volta ci sia stata l’estate, possono soltanto sognarlo. Poi arriva il 23 aprile, il giorno di San Giorgio – un giorno ancora molto freddo. Viene come un liberatore, come un prodigio della natura! Dapprima gli animali restano lì sconcertati, con l’occhio vitreo, mezzi storditi dall’aria intensa a cui sono disabituati. Poi si precipitano fuori come impazziti, folli, nella primavera – che è però ancora del tutto invisibile, in qualche luogo, sopra la neve che si sta sciogliendo e diventa grigia.

23 aprile 1564 – 23 aprile 1616 – William Shakespeare
23 aprile 1899 – 2 luglio 1977 – Vladimir Nabokov
23 aprile 1924 – 20 settembre 2020 Rossana Rossanda

La via per l’Oxiana, 1937 – Robert Byron

Gonbad-e-Quabus (65 m), 24 aprile. Abbiamo ripercorso un piccolo tratto della strada di Bandar Shah, poi abbiamo svoltato a destra in una strada sterrata con steccati di cannicci lungo i lati. La vista era coperta da alti canneti. Tutt’a un tratto, come una nave che esce da un estuario, siamo sbucati sulla steppa: un abbagliante mare aperto di verde. Non avevo mai visto in vita mia un colore simile. Negli altri verdi, che siano lo smeraldo, la giada o la malachite, o il verde cupo e violento della giungla del Bengala, il verde fresco e malinconico dell’Irlanda, il verde insalata dei vigneti mediterranei, il verde pesante e maturo dei faggi nell`estate inglese, qualche elemento di azzurro o di giallo predomina sugli altri. Questo era l’essenza pura del verde, inscindibile, il colore della vita stessa. Il sole era caldo, le allodole cantavano a grande altezza. Dietro a noi si alzava l’azzurro alpino e velato degli Elburz boscosi, davanti si estendeva fino ai confini della terra la luminosa distesa del verde.

24 aprile 1922 – 15 maggio 2009 – Susanna Agnelli

Il conte di Montecristo, 1844-1845 – Alexandre Dumas

Vi ho detto che ho ricostruito pazientemente frase per frase ecco i due frammenti: avvicinateli e leggete. Dantès ubbidì e lesse quanto segue: «Oggi 25 aprile 1498, essendo stato invitato a pranzo da Sua Santità Alessandro VI e temendo che dopo avermi fatto pagare il cappello cardinalizio, egli voglia ereditare da me, riserbandomi la sorte dei cardinali Caprara e Bentivoglio, morti avvelenati, dichiaro a mio nipote Guido Spada, mio legatario universale, che ho sepolto in un luogo che egli conosce, perché c’è stato con me, vale a dire nelle grotte dell’isoletta di Montecristo, tutto il danaro, le verghe d’oro, le pietre preziose, i diamanti, i gioielli; io solo conosco l’esistenza di questo tesoro che può ammontare a due milioni di scudi romani e che egli troverà dopo aver tolto la ventesima roccia, in linea diretta, partendo dalla piccola insenatura ad Est dell’isola. Il tesoro si trova nell’angolo più lontano dalla seconda apertura della grotta, tesoro che gli lascio e gli cedo in tutta proprietà, come all’unico mio erede.

25 aprile 1498 Cesare Spada».

«Ed ora capite? » disse Faria.

Dedalus, 1916 – James Joyce

26 aprile. Mamma sta mettendo in ordine i miei nuovi vestiti di seconda mano. Dice che in questi giorni prega perché io possa imparare, nella mia vita, lontano dalla casa e dagli amici, che cos’è il cuore e ciò che sente. Amen. Così sia. Benvenuta, oh vita! Vado a incontrare per la milionesima volta la realtà dell’esperienza e a foggiare nella fucina della mia anima la coscienza increata della mia razza.

Saperla lunga, 1966 – Woody Allen

1758: La sua crescente notorietà presso la classe dominante gli procura un incarico della Regina di preparare “qualcosa di speciale” per un pranzo con l’Ambasciatore di Spagna. Egli sgobba notte e giorno eseguendo centinaia di prove e finalmente, alle 4 e 17 del mattino del 27 aprile 1758, annuncia una creazione consistente in più strisce di prosciutto racchiuse, sopra e sotto, tra due fette di pane di segale. E in un impeto di ispirazione guarnisce il capolavoro con della senape. Questo avvenimento provoca un’immediata sensazione e gli viene commissionata la preparazione dei pranzi del sabato per tutto il resto dell’anno.

27 aprile 1977 – Chiara Gamberale

Enciclopedia dei morti, 1983 – Danilo Kiš

Quel mare che egli scorse dai pendii del monte Velebit, il ventotto aprile del 1935, per la prima volta nella vita, a venticinque anni, rimarrà per lui come una rivelazione, come un sogno che egli recherà in sé per circa quaranta anni con la medesima intensità, come un segreto, come una visione di cui non si parla con nessuno. Dopo tanti anni, non era più nemmeno sicuro se quel giorno avesse visto davvero l’alto mare o se si fosse trattato solo dell’orizzonte celeste, e l’unico mare reale sarebbe sempre rimasto per lui l’acquamarina delle carte geografiche, dove le profondità sono in azzurro scuro e i bassi fondali in azzurro chiaro. Credo che sia questa la ragione per la quale egli rifiutò per anni di andare in villeggiatura al mare, all’epoca in cui da noi ci si recava ormai in massa alle stazioni balneari, con le organizzazioni sindacali o le agenzie turistiche. C’era in questa sua riluttanza una sorta di strano timore, quasi avesse paura di ricevere una delusione, quasi che un diretto contatto con il mare potesse dissolvere in lui quella lontana visione che lo aveva illuminato il ventotto aprile del trentacinque, quando, per la prima volta nella sua vita, aveva scorto, da lontano, alle prime luci dell’alba, la distesa azzurra dell’Adriatico.

28 aprile 1926 – 19 febbraio 2016 – Harper Lee

Romanzo teatrale, 1965 (post.) – Michail Bulgakov

Il temporale lavò Mosca il 29 aprile, l’aria diventò soave, l’anima s’ammorbidì, e venne voglia di vivere. Col mio nuovo vestito grigio e un soprabito abbastanza decente, cammi-navo per una delle vie centrali della capitale, diretto verso un luogo ove non ero ancora mai stato. La causa del mio spostamento era una lettera che avevo in tasca, e che mi era pervenuta improvvisamente. Eccola:

Riveritissimo Sergej Leont’evič ho un desiderio estremo di fare la Sua conoscenza, nonché di parlarLe di un affare segreto, che potrebbe rivelarsi tutt’altro che privo di interesse per Lei.

Se Ella fosse libero, sarei felice se volesse recarsi alla sede della Scena-Studio del Teatro Indipendente, mercoledì alle ore 16. Con i migliori saluti.               K. Il’čin

L’Aleph, 1949 – Jorge Luis Borges

Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fé; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri.

30 aprile 1959 – Alessandro Barbero
30 aprile 1965 – Giuseppe Culicchia