“Caruliŋa ténte l’or” – Quando non c’erano i “bergé”: l’avventura di 2 giavenesi a Torino

La Pasqua è bassa e il carnevale arriva presto quest’anno. È già giovedì grasso, la Pro Loco ha presentato la famiglia dei Bergè 2024, l’albo d’oro delle maschere giavenesi si aggiorna. Per la polenta e la sfilata dei carri però bisogna aspettare domenica 3 marzo.

maschere giaveno
La Famiglia dei Bergé 2024: Bergè UGO GIAI GISCHIA, Béla Bergéra RAFFAELLA DOVIS, Bergerotti: Virginia GARIANO e Lorenzo RIZZO, Sindaco del Carnevale MARIO CALCAGNO TUNIN, Parinc LUCIANO SILVESTRI, Marin_a ROSA PAPPADA’

Caruliŋa ténte l’or!

Ma come festeggiavano il carnevale i giavenesi prima che inventassero i bergé? Ce lo racconta Alfredo Gerardi in un bel brano che apre una finestra sulla Giaveno di un tempo e riporta un gustoso aneddoto sulla pronta reazione di una coppia giavenese alle prese col trenino degli orrori di Piazza Vittorio a Torino.

Un racconto di ALFREDO GERARDI, tratto e liberamente adattato da “Giaveno nei suoi monumenti nella sua arte nella leggenda e nei suoi ricordi, Libreria Carnisio, 1977.

Di vere e proprie manifestazioni carnevalesche Giaveno non si è mai fatta carico nel passato. La storia antica giavenese ci parla soltanto di una società di buontemponi  l’Abbazia degli Stolti , società radicata nella plaga, usa a concedersi svaghi onesti, leciti, per il divertimento dei suoi adepti ed anche dei cittadini del borgo. Stolti non nel senso di dissennati, ma di persone senza pensieri, desiderose di cogliere qualche attimo di buon umore. Qualche maschera pare che ci fosse, ma la tradizione si limita a ricordarne la presenza, non l’aspetto ed il nome. Si organizzavano balli, si disponevano conviti, si eleggeva I’abbà, cioè il presidente della abbazia (anche badia o abbadia). Il carnevale nei proverbi piemontesi è considerato unità di misura dell’allungarsi delle giornate invernali, ed il periodo che va dalla Epifania alla quaresima si traduce in vecchio adagio: A l’Epifania pass da furmìa, a Sant’Antoni pass da canoni, a Carlevè comensa a andè. Comincia ad andare, le ore di luce si allungano, maggiore è la possibilità di offrirsi qualche ora di svago. Prima della nascita delle attuali maschere che cosa facevano i giavenesi dal 7 gennaio al martedì grasso, tempo del Carnevale? Ben poco localmente, i pochi baracconi nell’area di S. Lorenzo e di S.Cecilia, con l’immancabile stallo del Torrone Sebaste, non erano che una magra consolazione per coloro che volevano tuffarsi nell’atmosfera carnevalesca. Chi voleva godere la spensieratezza degli ultimi giorni scendeva a Torino in piazza Vittorio Veneto. Ottovolante, castello incantato, labirinto, la donna cannone, le giostre, il treno fantasma non mancavano di visitatori. Lungo la via Po si snodava il corteo dei Carri allegorici con in testa Gianduia e Giacometta: parate non certo paragonabili a quelle di Viareggio e di Nizza, ma pur sempre tali da richiamare folla di gente a vederle. Di episodi carnevaleschi ce ne sarebbe a bizzeffe, vale la pena di ricordare quello di Severino Ferro. Abitava alla Ruata Fasella: alto, allampanato, frequentava il caffè Garola, dove ogni sera sorbiva un quartino e faceva la sua fümà , tirando dense volute di fumo dalla sua pipa, avvolto sempre in un’ampia mantellina nera. Aveva una moglie, Carolina, quasi il doppio di lui alla quale non si addiceva l’epiteto tradizionale di “metà”. Nelle lunghe serate invernali, al calduccio del locale in piazza S. Lorenzo, raccontava volentieri episodi della sua vita con una mimica tutta particolare. L’episodio più significativo è quello del Carnevale, uno dei tanti sul fiorire del secolo XX. La moglie Carolina ci teneva a visitare Torino, soprattutto nell’epoca delle maschere. Partenza di buon mattino del martedì grasso, vestiti a festa, lei con i suoi monili d’oro, lui con l’abito di fustagno come si conveniva a un buon valligiano: prima corsa della tramvia a vapore che faceva ancora capolinea in fondo a via Sacchi, poi il tramvai numero 18 verso piazza Castello, via Po e piazza Vittorio. Qui l’animazione era grande, la sorpresa dei due giavenesi ancora più grande, un mondo nuovo sembrava aprirsi ai loro occhi, legati a piazza S. Lorenzo, alla Valba, alla chiesetta di S. Sebastiano, alla strada dei Ferro. Guarda qui, guarda là, tutto è nuovo, fantastico, attraente: un padiglione attira la loro attenzione, il labirinto con il trenino fantasma. Pagano il biglietto, salgono sui vagoncini e via per il dedalo intricato, costellato di sagome paurose, di scheletri, di specchi concavi e convessi. Carolina non osa articolar parola, Severino è esterrefatto, quando vede una mano scheletrica protendersi verso la moglie e i suoi gioielli non ne può più, urla: ” Caruliŋa ténte l’or!”. Fuggono poi inorriditi verso il convoglio che li riporterà a Giaveno. “Vicino alla Valba — dirà più tardi Severino agli amici — c’è il cimitero, ma là almeno gli scheletri stanno al loro posto!”.

Giaveno nei suoi monumenti nella sua arte nella leggenda e nei suoi ricordi, Alfredo Gerardi, foto Edmondo De Amici, Libreria Carnisio, 1977

Badia o abbadia

Associazioni di giovani, di solito non sposati, comunemente dette badie o abbadie, per molti secoli hanno organizzato parte delle cerimonie popolari. Testimonianze storiche le fanno risalire a parecchi secoli addietro e in Piemonte se ne conservano ancora tracce evidenti. Del resto le feste sono spesso il culmine dell’attività organizzata in molte società e giustificano la perpetuazione di confraternite, corporazioni, associazioni di quartiere e altre forme di raggruppamento che hanno una durata permanente e servono a gestire cerimonie complesse, che richiedono impegni non indifferenti quali la preparazione dei costumi, l’osservanza del rituale, il sostegno delle spese e, come ad esempio nel caso di spadonari, sbandieratori o gruppi in costume, il possesso di particolari capacità e addestramento per la rappresentazione da eseguire.  Un capo, comunemente detto abbà, abbate o capitano, le governava e dirigeva e veniva assistito in questo compito di governo da una serie di personaggi di grado inferiore (luogotenenti, alfieri ecc.). Le Badie ottennero molte volte riconoscimenti ufficiali da parte delle autorità civili e religiose.

Carnevale d’epoca in Piazza Vittorio a Torino

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