francoprovenzale

Francoprovenzale – il nome

Francoprovenzale – origini e sviluppo

Francoprovenzale in Italia – chi lo parla e dove

EFFEPI – Associazione di studi e ricerche francoprovenzali

Noutro Dzen Patoué di Ornella De Paoli

Noutro Dzen Patoué – il video

Storie di anime in pena, raccontate da Battistina Provenzale di Novalesa-il video

La cardatrice, racconto di Augusta Marzo – il video

Lu giàl, poesia di Marisa Usseglio Savoia – il video

Lo gal e la serp, borgata Tressi, Val Soana – il video

Deman – articoli di Ornella De Paoli e Ettore Caffo – il video

La civetta – racconto di Onorina Caffo, Venaus – il video

L’area storica di diffusione del francoprovenzale:

  • Francia: la maggior parte della regione Rodano-Alpi e piccole porzioni della Franca Contea e dell’Alvernia;
  • Svizzera: l’intera regione francofona, tranne il Cantone Giura e parte di quello di Berna;
  • Italia: tutta la Val d’Aosta più diverse vallate della provincia di Torino: la valle dell’Orco e Soana, le tre valli di Lanzo, la val Cenischia, la media e bassa Val di Susa e la Val Sangone;

nel complesso, un territorio che ingloba anche città importanti come LioneGinevra, Grenoble,  Chambéry, Losanna, Neuchâtel.

Nonostante tutto, i confini non sono facili da stabilire, né nei confronti del francese, né dell’occitano, e neppure (sul versante italiano) nei confronti del piemontese.

Sulla base dell’autodichiarazione prevista dalla legge 482/1999, i Comuni francoprovenzali piemontesi sono oggi  51, con discordanze rispetto alla schedatura del 1973. Almese, Borgone, Bruzolo, Bussoleno, Chiusa San Michele, San Didero e Villardora, comuni della bassa Val Susa indicati come francoprovenzali nel 1973 si sono autoesclusi dall’elenco, viceversa Avigliana, Corio, Lanzo Torinese Monastero di Lanzo e Pont Canavese, assenti nel 1973, si sono dichiarati minoranza francoprovenzale.

In conclusione per la legge nazionale oltre a quasi tutti i comuni della Val d’Aosta (tre sono di minoranza walser) appartengono alla minoranza francoprovenzale i comuni piemontesi di: Ala di Stura, Alpette, Avigliana, Balme,  Cantoira, Caprie, Carema, Ceres, Ceresole Reale, Chialamberto, Chianocco, Coassolo Torinese, Coazze, Condove, Corio, Frassinetto, Germagnano, Giaglione, Giaveno, Gravere, Groscavallo, Ingria, Lanzo Torinese, Lemie, Locana, Mattie, Meana di Susa, Mezzenile, Mompantero, Monastero di Lanzo, Moncenisio, Noasca , Novalesa, Pessinetto, Pont Canavese, Ribordone, Ronco Canavese, Rubiana, San Didero, San Giorio di Susa, Sant’Antonino di Susa, Sparone, Susa, Traves, Usseglio, Vaie, Valgioie, Valprato Soana, Venaus e Villarfocchiardo.

A questi bisogna aggiungere Celle di San Vito e Faeto, in provincia di Foggia.

IL  FRANCOPROVENZALE IN ALTA VAL SANGONE

 I linguisti sono concordi nel classificare la parlata dell’Alta Val Sangone come francoprovenzale, sottolineandone le caratteristiche conservatrici, dovute all’isolamento dell’area, sita in capo ad una valle chiusa, marginale alle grandi vie di comunicazione.

Francoprovenzale è la definizione con cui dal 1873, anno in cui il glottologo Graziadio Ascoli ne individuò le caratteristiche principali, i linguisti raggruppano i dialetti delle vallate alpine del Piemonte occidentale che vanno dalla Val Sangone a sud alla Val Soana, comprendendo la Bassa Val Susa, la Val Cenischia, le Valli di Lanzo e la Valle dell’Orco. A questi dialetti si aggiungono quelli della Valle d’Aosta e, al di là delle Alpi, quelli della Svizzera Romanda e di diversi dipartimenti della Francia sud-orientale.

Ascoli lo identifica come “Un tipo idiomatico, il quale insieme riunisce, con alcuni suoi caratteri specifici, più altri caratteri, che parte sono comuni al francese, parte lo sono al provenzale, e non proviene già da una tarda confluenza di elementi diversi, ma bensì attesta la sua propria indipendenza istorica” (1).

Infatti quest’area coincide con l’antica sfera d’influenza di Lione ed è appunto al peso culturale di questa città nel guidare la romanizzazione dell’area prima e la reazione alla pressione dell’antico francese (langue d’oïl) e del provenzale (langue d’oc) poi, che gli storici attribuiscono il sorgere autonomo della varietà linguistica chiamata francoprovenzale.

In particolare per quanto riguarda la Val Sangone e la bassa Val di Susa, i dialettologi ritengono che anticamente vi si parlasse occitano (occitani o provenzali sono tuttora i dialetti parlati nell’alta Val di Susa – da Chiomonte in su, nelle valli del Chisone, del Pellice e nelle valli alpine cuneesi) e che la trasformazione linguistica vi sia stata determinata dall’ascesa dei Franchi.  Sotto i sovrani Carolingi diminuì infatti (VIII secolo) l’importanza dell’antica via romana che attraverso il Monginevro collegava la Provenza, mentre il valico del Moncenisio, posto sulla direttrice che collegava l’Italia ai nuovi centri del potere politico transalpino (Parigi, Lione, ecc.) e privilegiato nelle loro discese in Italia dai sovrani Carolingi (vi passarono sia Pipino il Breve che Carlo Magno), aumntò la sua importanza anche commerciale ed aprì all’influsso culturale dei centri francoprovenzali oltremontani la bassa Val di Susa.  Da quest’ultima è probabile che solo tardivamente il francoprovenzale sia penetrato nella Val Sangone, isolata e conservatrice, e che solo a partire dal IX secolo si possa parlare per Coazze d’un processo di francoprovenzalizzazione.

A Coazze e nelle borgate alte di Giaveno attualmente il patois francoprovenzale è ancora diffuso: si può dire che gli adulti lo capiscono e che solo fra gli immigrati ed i giovani è alta la percentuale di coloro che non lo sanno parlare.  La diminuita competenza dialettale dei più giovani è un indubbio sintomo che l’area di diffusione del dialetto si va sempre più riducendo, anche perché diminuiscono le “persone fisiche” che lo parlano.  Le esigenze della vita moderna, con spostamenti e contatti sempre più veloci ed intensi, e la rilevanza dei mezzi di comunicazione di massa (automobile, giornali, radio e televisione), che propongono un nuovo modello di vita e di cultura, sono portatori d’una spinta italianizzante che incide negativamente sul dialetto a livello di apprendimento, di frequenza d’uso e di vitalità.

Sostanzialmente omogeneo, il patois dell’Alta Val Sangone presenta tuttavia differenziazioni interne variamente marcate, legate alla passata vitalità linguistica autonoma delle borgate ed alla loro diversa capacità di reazione alla pressione dei dialetti limitrofi e dell’italiano.

Tenendo conto delle principali differenziazioni si possono individuare, all’interno del Comune di Coazze, tre zone linguistiche:

  • un’area tendenzialmente conservatrice, comprendente le borgate montane del comune di Coazze (Forno, Indiritto e le “Care”)
  • l’area all’incirca coincidente col capoluogo di Coazze e le borgate limitrofe, in cui il patuà presenta chiari sintomi di piemontesizzazione ed italianizzazione (-éi che dà -é; scomparsa di alcune realizzazioni aspirate di F e S: fnésta invece di hnésta; sostituzioni lessicali: matita per caraviúń, carta per papèi, prosciutto per giambúń, ecc.; sostituzioni morfologiche: car bòt – calco di “qualche volta” – invece di bocaië, andè invece di alè andare“, d∫viése invece di drüsièse “svegliarsi”).
  • alcune aree minori che presentano in qualche caso difficoltà di classificazione.  Queste difficoltà non sussistono per la zona di Combacalda che presenta chiari influssi del giavenese (in qualche caso mediatore del piemontese). Più curiosa la situazione del patuà di Selvaggio, che accanto a caratteristiche conservatrici (-ARE>-ëi; forme sporadiche di g invece di d-: gümängi per dümèngi) e contemporaneamente presenze lessicali (frél, sör; giorni della settimana del tipo lüne, mártes, ; strábi per buá “stalla”) d’influsso giavenese.  Queste contraddittorie caratteristiche sono forse imputabili alla particolare posizione della borgata, situata sul confine con Giaveno (parte dell’abitato è amministrativamente giavenese), ma abbastanza isolata essendo posta su di un asse di comunicazione Giaveno – Coazze alternativo a quello consueto e pertanto poco frequentato.

Trovare risposte alle contraddizioni linguistiche è compito della “geografia linguistica”, un metodo di indagine che ha avuto in Gaston Tuaillon e Corrado Grassi grandi esponenti. La distribuzione dei tipi lessicali e morfologici rivela stratificazioni di popoli molto interessanti e consente di ricostruire la storia di intere regioni. Come il prevalere del Moncenisio sul Monginevro in epoca medioevale spiega la diffusione del francoprovenzale in Val Sangone e Val Cenischia, così alcuni vocaboli si comportano come orme linguistiche dei popoli susseguitisi nell’area. Forse i più antichi abitatori furono i Liguri (insediamento neolitico della Maddalena di Chiomonte) e toponimi in –asca e –asco e alp- ne rivelano la presenza diffusa. Nel VI secolo a.C. arrivarono in Piemonte i Celti, a loro si devono termini come brich (cima ripida), trüch (poggio) cùmba e cumbàl (valle e avvallamento), bòina (confine di proprietà) e il toponimo “dur”, per fiume, che ha proliferato in Dora, Durance, Duero. Il sostrato celtico venne inglobato dal latino, lingua dei nuovi padroni, che travolti dai barbari si sfaldarono politicamente e linguisticamente, dando tra l’altro origine all’antico francese (oil), all’occitano (oc), al francoprovenzale e all’italiano. Le ondate di invasori lasciarono nei patuà i loro strascichi: süpa, àpi, grépi, gèrba, biùnt (zuppa, ascia, mangiatoia, balla di paglia, biondo) sono ad esempio eredità germaniche, toponimi come bràida e sàla (pianoro coltivato e borgo) risalgono in particolare ai Longobardi. Anche i Saraceni furono presenti in valle (Porta Sarasina) ed è curioso che alcuni termini del nostro patuà siano foneticamente più vicini all’arabo dei corrispondenti italiani: azufre (zolfo) dà in patuà sùfru, laimun (limone) dà limuń. Una chicca per finire: ar-ramla (percorso lungo un corso d’acqua) dà il catalano Rambla (famose le Ramblas di Barcellona) e ramblé nel nostro patuà, mentre non ha attecchito in italiano. Queste ed altre considerazioni geolinguistiche sono approfondite nel libro di Clelia Baccon Bouvet L’Occitania e la sua lingua, edito dall’Ecomuseo Colombano Romean di Salbertrand.

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1. Ascoli ha individuato questo tipo idiomatico soprattutto in base allo sviluppo di A tonica latina in sillaba libera, che il provenzale non palatalizza mai e che il francese tende a palatalizzare sempre. Nel francoprovenzale A tonica in sillaba libera palatalizza solo quando preceduta da consonante palatale. La discriminante ascoliana è fondamentalmente ancora valida oggi, insieme ad alcune altre successivamente individuate. Testi fondamentali per un approfondimento su storia, caratteri e diffusione del francoprovenzale sono:

  • Schizzi franco-provenzali, di Graziadio Isaia Ascoli, in “Archivio Glottologico Italiano”, n. III, 1878
  • Le minoranze linguistiche in Italia, di Tullio Telmon, Edizioni dell’Orso, Chieti 1992
  • Le Francoprovençal – Progrès d’une définition,  di Gaston Tuaillon, Centre d’Etudes Francoprovençales “R. Willien”, Saint-Nicolas 1983