Quando Manzoni domandò: “Ma dov’è Giaveno?”

Il suo metodo di lavoro e le tragedieIl Conte di Carmagnola” e “Adelchi“, analizzate dalla prof.ssa Patrizia Truffa.

Alessandro Manzoni era molto scrupoloso. Accurate ricerche storiche precedevano le sue opere, che dovevano basarsi su fatti reali. È un concetto chiaramente espresso nel famoso passo della lettera a Cesare d’Azeglio sul Romanticismo (22 settembre 1823): 

“Mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si possano ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico. Il principio, di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso, mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo. […] E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente del bello.”

Quando scrive la sua seconda tragedia, l’Adelchi, si trova di fronte a un dilemma. È storicamente accertato che Carlo Magno sconfisse il re longobardo Desiderio nella battaglia delle Chiuse,  aggirando lo sbarramento fortificato che chiudeva la val di Susa tra il Caprasio e il Pirchiriano. Nel Chronicon novalicense trova scritto che un giullare traditore avrebbe mostrato ai Franchi, fermi da mesi nell’Abbazia di Novalesa, un percorso che scendendo verso Giaveno e poi ad Avigliana avrebbe consentito non solo di aggirare la barriera, ma di prendere alle spalle i nemici. In un altro testo, il Liber pontificalis di Agnello Ravennate, la strada sarebbe stata provvidenzialmente indicata a Carlo Magno da un diacono. Nell’Adelchi Manzoni sposerà questa seconda ipotesi, forse ritenendo il Chronicon troppo fantasioso. Restava da verificare la fattibilità dell’aggiramento e, non conoscendo affatto i luoghi, interpella un conoscente piemontese.

Nella lettera al fratello di Modesto Paroletti, Manzoni scrive: «…l’autore di una cronaca del Monastero della Novalesa (…) che riempì il suo libro di favole, entra in maggiori dettagli (sulla calata di Carlomagno), i quali benché pur misti di favoloso, potrebbero meritare qualche riguardo, giacché vi potrebbe essere una parte di tradizione vera conservata in quel luogo dove Carlomagno soggiornò per qualche tempo. Egli dice dunque che a Carlo fu indicata una strada sconosciuta e che egli, seguendo la guida, marciò partendo dalla Novalesa “per crepidinem cuiusdam montis in quo usque in hodiernum diem via Francorum dicitur”. Nella valle d’Aosta trovo una Villafranca, che per la somiglianza del nome mi dà sospetto di essere questa via Francorum. Discendendo da questo monte secondo il cronista, pervenne Carlo “in planiciem vici cui nomen erat Gavensis”. Il commentatore interpreta Giaveno; ed io non trovo questo Giaveno nelle mie carte, non abbastanza dettagliate. Vorrei ora sapere se partendo dalla Novalesa vi sia una strada che pei monti conduca a Giaveno e di là a Susa e di quanti giorni a un dipresso ne sia il cammino», (Lettere, a cura di C. Arieti, in Tutte le opere di Alessandro Manzoni, VII-I, Verona 1970,).

Oggi Google Earth gli avrebbe risolto il problema, invece non conoscendo i luoghi e mal interpretando la risposta di Paroletti, Manzoni prende una cantonata.

Come scrive Emanuela Mollo: “Evidentemente Manzoni non conosceva affatto la valle di Susa e i luoghi menzionati nella cronaca e a questa sua lacuna si collega una questione solo apparentemente oscura: perché la descrizione del percorso seguito dal diacono Martino corrisponda alla valle di Viù e non alla val Sangone. L’autore stesso ce ne fornisce implicitamente la spiegazione nel “Discorso su alcuni punti della storia longobardica in Italia”, in cui scrive: «Il punto dove i Franchi si posero in battaglia è indicato espressamente dal monaco novaliciense, e quadra benissimo con le altre posizioni conosciute: divennero, dic’egli, e si radunarono al vico Gavense. Giaveno infatti è posta al di qua deIla Chiusa, e a poca distanza. Pare quindi che quei Franchi sieno discesi per la Valle di Viù». Il Paroletti doveva quindi aver risposto alla lettera di Manzoni, cassando probabilmente l’ipotesi concernente Villafranca, che verrà infatti ripudiata nel “Discorso”, e dando indicazioni su Giaveno, con l’uso, forse non esplicito, del riferimento orografico per localizzare la zona. È sufficiente che il Manzoni abbia interpretato la destra orografica come la destra effettiva della valle ed ecco che Giaveno risulterebbe in val di Viù anziché in val Sangone”. (da Le chiuse: realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo di Emanuela Mollo, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, LXXXVI (1986)

(Mappa rielaborata da Le chiuse: realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo di Emanuela Mollo, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, LXXXVI (1986)

Questi sono dettagli che ci interessano in quanto abitanti della zona e che evidenziano la cura con cui Manzoni si documentava prima di cimentarsi nella stesura delle sue opere, ma non vorrei sminuissero le sue tragedie. Per cogliere lo spirito innovatore con cui Manzoni affrontò un genere che in Italia non aveva mai toccato punte eccelse, se non nel quasi contemporaneo Vittorio Alfieri, per altro ancora legato alle unità aristoteliche, che Manzoni considerava nemiche del vero, vi propongo gli approfondimenti della professoressa Patrizia Truffa sulle tragedie manzoniane e le schede relative al “Conte di Carmagnola” e all'”Adelchi“.

Morte di Adelchi, scena tratta dallo sceneggiato RAI del 1974 con Tino Carraro, Gabriele Lavia, Ilaria Occhini, Massimo Foschi, Roberto Herlitzka, Sergio Salvi.

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