I divertimenti : giochi e giocattoli della bisnonna

“Crügne … céda” parole sconosciute ai bambini di oggi, ma giochi che hanno accompagnato tante ore felici dei bambini d’una volta. Con i cortili pieni di gente e le case addossate l’una all’altra non era difficile combinare lunghe sfide, nascondersi e rincorrersi per ore. Non c’erano i cellulari a “digitalizzare” i contatti! E se i giocattoli erano per pochi, la fantasia era di tutti. Costruivano, inventavano, giocavano perfino con le nuvole del cielo.

Cap. 15° – La Valsangone raccontata ai ragazzi … dalla bisnonna Livia Picco

Quanto poco tempo avevano una volta i bambini per giocare. Eppure giocavano: giochi di movimento, i preferiti, quando il tempo era bello e permetteva corse sfrenate, quelli tranquilli quando pioveva o nevicava. Tutto sommato i giochi non erano poi molto diversi da quelli di oggi, una volta eliminati i videogiochi, le macchinine elettriche, i trattori, le bambole parlanti, l’esercito dei puffi, dei mostriciattoli, dei personaggi dei fumetti che poche volte diventano giochi di gruppo.

I giochi

Nelle borgate piccole come minimo si incontravano quattro o cinque ragazzi e ragazze per giocare a guardia e ladri, a nascondino, alla palla. Nelle borgate grosse si formavano più squadre, vivaci e numerose, spesso rivali con la tendenza a selezionare i compagni di giochi. Giocare a nascondino, “a crügne“, era interessante per i numerosi nascondigli che offrivano le case dei contadini, i boschi e i prati vicini, ma si incappava in numerosi divieti. Le madri gridavano: “Non venite a nascondervi in casa, fate confusione e sporcate!” I bambini allora si arrampicavano nel fienile o nel pagliaio. Andava bene finché un adulto non li scopriva. Allora erano rimproveri: “Venite giù subito! Sporcate il fieno (un delitto per i contadini) e soffocate là in mezzo!” Molto bello era infilarsi nella stalla, nell’angolo buio dietro la porta, o nella greppia delle mucche che leccavano la faccia con la lingua ruvida, pacifiche e tranquille. Ma anche qui se i grandi vedevano…

Nel pollaio di solito non si andava perché le galline schiamazzavano. Le galline non sono come le mucche. E poi i pollai erano sporchi e puzzolenti. Restavano gli altri nascondigli dietro casa, nell’orto, dietro le siepi e le staccionate.

Giocando a nascondino spesso si finiva per bisticciare. Si temeva che il compagno o la compagna che doveva fare la conta (che ‘stava sotto’), non tenesse gli occhi ben chiusi. “Non vale! Hai guardato! Tenevi le mani larghe sugli occhi”. “Non è vero. Avevo gli occhi chiusi e le dita strette. Come fai a dire che ho guardato?” A volte chi contava lo faceva a grande velocità per non dare il tempo ai compagni di nascondersi bene. Arrivavano subito le proteste: “Non vale! Hai contato troppo in fretta! Hai saltato dei numeri. Non è giusto! Ricomincia da capo!” Una tecnica per ingannare il ragazzo che contava e difendersi dalle occhiate fuori dalle regole, era di far finta di andare da una parte con grande rumore di passi e poi filarsela, in punta di piedi, dalla parte opposta. A volte un furbetto che aveva trovato un buon nascondiglio, ma non aveva la via sgombra per liberarsi perché i compagni avrebbero scoperto il nascondiglio, non si muoveva, sordo a tutti i richiami, perfino quando i compagni avevano solennemente proclamato la fine del gioco. Finché una mamma interveniva: “Adesso smettetela. Venite dentro. C’è da fare questo e quello”.

Quando i padri, i nonni, i fratelli grandi lavoravano nei campi in faccia alla casa o intorno ad essa, la conta, le bisticciate, si facevano sottovoce, a gesti, per non farsi sentire ed evitare i rimproveri a cena: “Oggi non avete aiutato la mamma, sapete solo giocare, giocare, giocare. Non pensate a nient’altro”. Le mamme, per la verità, chiudevano un occhio e si sobbarcavano tutti i lavori per ‘lasciar sfogare i bambini’.

Tra i giochi molto amati c’erano quelli con la palla. Si giocava quasi sempre  ‘a rimbalzo’ perché le aie strette non permettevano certo di giocare al calcio, gioco sconosciuto, senza la radio e la televisione. Soltanto qualche adulto andava a ‘sentire’ la partita da un amico che possedeva una radio. Era una fortuna avere una palla o una pallina! Al pallone non ci pensavano i ragazzi di borgata. Anche i giochi con la palla a volte, portavano dei dispiaceri… Essa finiva sul tetto di casa o peggio del vicino e gli adulti si guardavano bene dall’andare a recuperarla! Oppure rotolava sul pendio, ed allora erano corse a perdifiato per fermarla. Qualche volta finiva nel torrente e l’acqua se la portava via! In questi casi il gioco finiva in pianti. Le madri, inquiete per il pericolo corso dai figli al torrente, non li consolavano: “Un’altra volta starai più attento! Adesso stai senza! Ma guarda come ti sei bagnato!” Se poi con la palla si rompeva un vetro, ci scappava anche la sculacciata.

Nonostante questi inconvenienti i coetanei della bisnonna si divertivano un mondo con poche, ma preziosissime cose. Avevano a disposizione prati, boschi, sentieri, ruscelli, erbe, fiori e frutti. Andavano a raccogliere genzianelle, viole profumatissime sulle pendici e sulle creste e poi mirtilli, lamponi, funghi. E ogni volta era un’allegra avventura.

D’inverno all’aperto si facevano i pupazzi di neve e gli ‘stampi’: i ragazzi si buttavano giù nella neve in diverse posizioni. Qualche volta, con gli sci rudimentali fabbricati dai padri o con una tavoletta di legno (al posto dello slittino) scendevano nei prati tra gridolini e incitamenti. E si cercava un prato che terminasse in piano per arrestare quella che per loro era una ‘folle corsa’!

Nei giorni di maltempo i giochi erano più tranquilli:

– il gioco della settimana, sotto il portico, che richiedeva solo un coccio o una pietra aguzza per disegnare i riquadri e una pietruzza piatta sulla scarpa, da non far cadere nei saltelli;

– il gioco delle belle statuine che piaceva alle femminucce;

– il telefono senza fili (che risate!);

– la trottola “sàtula” tanto cara ai maschietti (Per saperne di più vedere: Guido Ostorero, Coazze…Ognuno a suo modo, Pag. 46).

– i giochi di imitazione: della mamma, del contadino, del pastore, del falegname,  della maestra: quante arie si dava la ragazzina che ‘faceva’ la maestra!

In questi giochi i sassi diventavano mucche. I sassolini vitelli o capre. Quelli bianchi pecore o agnellini. Le scatole della conserva … pentole, le scatolette del lucido per le scarpe… tegami. Le panche, gli sgabelli per mungere, i gradini della scala diventavano i mobili della cucina o i banchi della scuola. Il tutto ingentilito da mazzetti di fiori o da felci.

Si giocava anche ad altri giochi, ma la bisnonna, già un po’ smemorata, non li ricorda più. Comunque erano tutti giochi a costo zero.

I giocattoli

Erano pochi. Alcuni fabbricati dagli stessi ragazzi, come gli zufoli, altri dai genitori o dai nonni, come le bambole di pezza o di legno, le trottole, i cavallucci a dondolo, i fucili di legno.

In paese pochi possedevano giocattoli ‘comprati’. Una volta la bisnonna è stata invitata a giocare con una compagna, figlia di un albergatore. Essa possedeva una bambola alta mezzo metro con un vestito di pizzo, la cuffietta e perfino la culla. Una meraviglia!

Nelle borgate non era così! Il regalo di un giocattolino, modestissimo, era un avvenimento! E questo capitò alla bisnonna quando non andava ancora a scuola, in una giornata indimenticabile. I nonni la portarono alla festa di Trana! A piedi fino a Giaveno al ‘tranvai’, che di per sé era già uno spettacolo, una novità.

La bisnonna felicissima si chiedeva con stupore perché le case e gli alberi fuggissero all’indietro e non avrebbe voluto scendere dal trenino. Ma Trana era così vicina!

Dopo la Messa al Santuario, i nonni con i loro amici pranzarono sotto gli alberi poi le comprarono dell’uva bianca dolcissima e una girandola! Magnifica con i colori vivaci. Le girandole degli altri bambini erano belle, ma la sua era la più bella di tutte e girava, girava! Al ritorno sul ‘tranvai’, la girandola tenuta ferma con le mani, girava velocissima fuori dal finestrino, tanto che non si vedevano più i colori. Oh, bella! Quando ‘il tranvai’ si fermò sotto la tettoia della stazione, i colori della girandola tornarono tutti. Oh, bella! Sulla salita di Coazze le gambette della bisnonna si rifiutavano di camminare, ma la gioia di arrivare a casa con la girandola la spingeva!

L’occasione di vedere tanti giocattoli insieme arrivava con le feste patronali,

A Coazze, per l’Assunta, in piazza c’erano tante bancarelle di dolci e di giocattoli e un grosso banco di sole bambole, piccole e grandi vestite da principessa. La bisnonna e le sue amichette di scuola ‘perdevano le bave’ per quelle bambole! Ma costavano tanto…(allora i ragazzi non ricevevano la ‘paghetta’ dai genitori, solo qualche soldino alle feste più importanti per comprarsi i dolcetti). Le amiche contavano le monetine e sospiravano. Ma non avevano perso tutte le speranze, perché il padrone delle bambole organizzava ogni anno una lotteria e il premio era una grossa bambola, a scelta, tra le più belle.

Un anno le bambine rinunciarono eroicamente ai dolci, investirono tutto il loro capitale nei biglietti della lotteria, quindi, in estasi davanti al banco, manifestavano le loro preferenze. “Io vorrei quella con i riccioloni biondi, il vestito celeste con i pizzi bianchi”.

“Sì, è bella, ma più di tutte mi piace quella con i capelli neri lunghi, il vestito giallo a fiori, con le farfalle intorno all’orlo”.

“La più bella per me è quella con i capelli tirati su, il vestito verde e la cintura d’oro. Anche di faccia è la più carina”.

“Sono tutte bellissime. A me basterebbe una qualunque. E’ difficile scegliere. Quella grande, al centro del banco, una nuvola rosa non la guardo neppure!”

Le madri dicevano di non farsi illusioni:” Le lotterie fanno vincere soprattutto il padrone del banco”.

Le bambine rispondevano: “ Uno deve pur vincere!”

L’ultima sera della festa c’era l’estrazione! Il padrone la tirava per le lunghe. Le bambine con il biglietto in pugno friggevano. Finalmente egli mise la mano nel sacchetto dei numeri, li rimescolò con studiata lentezza, tirò fuori la mano con il pugno chiuso. Girò sul pubblico lo sguardo. Disse qualcosa che la bisnonna non ricorda, aprì la mano e levò in alto un cartoncino. Gridò il numero. Aveva vinto un giovanotto.

La delusione fu totale. Fu una vaccinazione contro tutte le lotterie.

L’anno dopo, la bisnonna passò in fretta davanti al banco delle bambole, fingendo di non vederle, investì ‘il suo capitale’ in un cartoccio di torcetti e marciò sull’edicola per conoscere l’ultima avventura del Signor Bonaventura sul Corriere dei Piccoli. Non tornò a casa a bocca asciutta!

Anche i regali di Natale erano poca cosa. Solo i più fortunati trovavano qualche giocattolo sotto il cuscino. Nelle case di montagna non arrivavano gli orsacchiotti, le cucine attrezzate., le macchinine elettriche, i trenini, per non parlare dei videogiochi. Dopo un’attesa ansiosa, i bambini trovavano un sacchetto con dentro qualche arancia, delle noccioline, poche caramelle e un Gesù Bambino di zucchero, che qualche giorno dopo finiva mangiato, dopo fuggevoli leccatine.

Sentivano parlare di bambole, cerchi di legno, soldatini portati a qualche bambino del paese. Li invidiavano, poi seppellivano l’invidia nella neve che cadeva e continuavano a giocare con il gatto, il cane, gli agnellini dalla lana ricciuta.

I loro giocattoli erano vivi! E ricambiavano il loro affetto. Una bambola, sia pure bellissima, questo non lo può fare. I piccoli montanari non erano infelici. Sapevano inventarsi i giochi e i giocattoli. Utilizzavano tutto: dall’erba ai sassi, dall’acqua alle nuvole.

Anche le nuvole?

Un volto tra le nubi, foto di Elio Pallard 2017

Sì. Le nuvole sono sempre diverse per forma e colori. D’estate era bello sdraiarsi sull’erba a pancia in su e vederle trasformarsi in castelli, montagne di panna montata, mostri favolosi, animali preistorici, arcipelaghi di bambagia. E si potevano inventare storie meravigliose che nessuno aveva mai raccontato. A volte si giocava ad indovinare quale forma avrebbero preso le nubi dopo qualche minuto… e non si indovinava mai!

A Tortore, ai piedi del santuario di Sant’Ignazio nelle Valli di Lanzo, c’è un luogo incantato, Il museo del giocattolo. Nicoletta e Mauro vi hanno raccolto giocattoli d’epoca. Da quelli ottocenteschi, prerogativa di famiglie nobili o ricche, a quelli che ora sarebbero fuorilegge, come le macchinine di lamiera perfette riproduzioni dei modelli originali. Proseguendo si arriva ai giocattoli del dopoguerra, vedendo come la plastica abbia rapidamente soppiantato legno e metallo.

 

Nel dopoguerra arrivano nuovi giochi

L’infanzia della bisnonna, Anni Trenta, passò quasi senza giocattoli. Solo i ceti abbienti potevano permettersi bambole, trenini, teatrini ecc. Per molti bambini il tempo libero quasi non esisteva, schiacciato tra scuola e lavoro. Nel dopoguerra, col boom economico, le cose cominciarono a cambiare, almeno a Natale qualche giocattolo arrivava in molte case. La FIAT ai figli dei dipendenti e il “Natale dei bimbi” alle famiglie coazzesi portavano almeno un giocattolo. Tricicli, biciclettine, macchinine e bambole. Non una montagna di regali come adesso, magari solo uno, ma proprio per questo prezioso.

Cavallo a dondolo. Grazie per la foto a Ada Giacone p.154

Cavallo a rotelle, p. 154

Giostra dell’Asilo Prever, primi anni Sessanta (Grazie per la foto a Giuseppe Rosa Brusin) p. 154
I piccoli Carla, Clara e Franco Masera al Freinetto, 1942. (grazie per la foto a Franco Masera) p. 154
Ada Giacone (grazie per la foto) con una grande bambola, p. 154
Pistola e secchiello per questi bambini di borgata Tiglietto, 1962. Grazie per la foto a Maura Tonda.

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