Santo, balocchi e diavolo nelle Valli di Lanzo

La gita dell’Unitre Giaveno Val Sangone del 25 marzo 2023 è stata programmata per scoprire luoghi vicino a noi, molto, poco o per niente conosciuti. Ha avuto come meta la valle di Lanzo ed è ampiamente raccontata nel video Santo, balocchi e diavolo nelle Valli di Lanzo, sul canale ScuolaGuido di YouTube.

Il santuario di Sant’Ignazio

Il museo del giocattolo

Il ponte del diavolo

Il santuario di Sant’Ignazio di Loyola

Incoraggiati da un sole radioso, sulle ali del vento siamo saliti sul monte Bastia, 931 metri di altezza per spaziare con lo sguardo sulle tre valli dette “di Lanzo”: Grande, Ala e Viù. Questo monte, boscoso e precipite, da quasi quattro secoli è consacrato a Sant’Ignazio, il fondatore della Compagnia di Gesù. I Gesuiti erano già presenti a Lanzo e avevano un grande estimatore in Don Giovanni Battista Teppato, parroco di Mezzenile. Quando un branco di lupi cominciò a imperversare in zona, assalendo greggi e pastorelli, Don Teppato si attivò per chiedere l’intercessione del recente Santo (era stato proclamato tale solo pochi anni prima). Tridui, novene e processioni ebbero successo e il branco di lupi, forse per semplice nomadismo, si spostò in altre zone. Grati, gli abitanti di Mezzenile fecero voto di chiamare Ignazio i loro primogeniti. Quando tre anni dopo Sant’Ignazio debellò anche il carbonchio che decimava le loro bestie, gli abitanti delle borgate Gisola e Tortore, parrocchiani di Mezzenile, decisero di costruire una cappella sul vicino monte Bastia, gettando le fondamenta il 21 ottobre 1629, forse alla presenza di Margherita di Savoia, duchessa di Mantova. 

Sant’Ignazio di Loyola 1491 – 1556

Íñigo López de Loyola nacque nel 1491 ad Azpeitia, nei Paesi Baschi. Era avviato alla vita del cavaliere, ferito a una gamba nella battaglia di Pamplona, durante la convalescenza la lettura di libri religiosi lo portò a una radicale conversione. All’abbazia benedettina di Monserrat si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Partì per un pellegrinaggio in Terra Santa, ma la peste lo bloccò nella cittadina di Manresa per più di un anno. Qui condusse vita di preghiera e di penitenza, decise di fondare una Compagnia di consacrati e cominciò ad elaborare i celebri Esercizi Spirituali. Animato da spirito missionario, capì di aver bisogno di un’adeguata formazione culturale, frequentò le università di Salamanca e Parigi (qui assunse il nome di Ignazio) e organizzò i suoi seguaci come un esercito di insegnanti, predicatori e missionari al servizio del Papa e della Chiesa cattolica, in lotta col protestantesimo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì a Roma. Le sue spoglie sono conservate nel transetto sinistro della Chiesa del Gesù di Roma. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.

La chiesa fu presto meta di affollati pellegrinaggi, specie il giorno della festa, il 31 luglio. I devoti salivano con le culle dei neonati da benedire. La piccola chiesa originaria non bastava, gli abitanti di Mezzenile e delle vicine borgate di Gisola e Tortore nel 1976 regalarono la punta della montagna ai Gesuiti, che vi eressero la chiesa attuale, a croce greca, con al centro una “macchina” barocca alta cinque metri con l’apoteosi di Sant’Ignazio.

Stampa che ricorda l’apparizione di Sant’Ignazio, tratta dal libro Il santuario di Sant’Ignazio presso Lanzo.
La facciata della chiesa, con le ali porticate. Nel grande spiazzo i pellegrini trascorrevano la notte di vigilia della festa di Sant’Ignazio, protetti da lunghi tendoni ancorati agli anelli della facciata. (Foto di Luisella Canale)
Il complesso del santuario, aperto d’estate per gli Esercizi Spirituali. I gruppi vengono ospitati nella Casa San Massimo, affiancata alla chiesa, e nella Casa don Bosco, aggiunta nel 1980, in basso a sinistra.
La finta roccia, che ricorda l’apparizione di Sant’Ignazio sul monte, si trovava al centro della chiesa a croce greca, poi è stata spostata nell’abside. È alta 5 metri.(Foto di Luisella Canale)
Spostando nell’abside il gruppo roccioso cavo per far posto al nuovo altare rivolto ai fedeli, previsto dal Concilio Vaticano II, ci si accorse che sotto spuntava la cima del monte, che venne usata come base del nuovo altare, nel 1969.

Donazione della città di Mezzenile a M.R.R.P.P. della Compagnia di Gesù

In nome del nostro Signore Iddio, sia l’Anno d’esso Signore mille seicento settantasette, l’Indizione decimaquinta, ed alli vent’uno del mese di Maggio fatto nella Città di Torino, et Camera cubiculare del Palazzo di Monsignor Arcivescovo di detta Città,  sendovi  presenti Ii Molto illustri e Molto Reverendi Andrea Mazio  Rettore del monastero de’ S. Maria Maddalena ed Egiziaca di questa città, Priore Matheo Valimberto Capellano di Sua Signoria Illustrissima, e Signor Gioanni Battista Caveglia nodaro di Lanzo, testimonti all’infrascritte cose stanti, chiamati e richiesti.

Per tenor del presente pubblico instrumento. Ad ogniuno sia manifesto che il glorioso Patriarca S. Ignazio di Lojola fondatore della Compagnia di Giesù nella moltitudine de’ lupi, che l’anno 1626 tanto infestò la Valle di Lanzo, e molto più i confini di Mezzenile, gisola e Tortore, a gran furia sbranando gl’armenti piccoli e grandi, e divorando fanciulli e giovani anco robusti, humilmente invocato da tutto il Popolo di Mezzenile in compagnia del fu molto reverendo Signor Gioanni Battista Tepato loro dignissimo Curato e Prevosto, con Processioni e Novene fatte al di lui Altare eretto nella Parrocchiale di Mezzenile, subito gl’essaudì con evidente miracolo, cacciando quelle voraci bestie da tutti quei confini senza che più nocessero a veruno, ne pur a’ piccoli bambini, ne’ quali fuggendo s’avvennero. Di più nella pestilenza e mortalità de’ loro armenti occorsa pocchi anni doppo, di nuovo a Lui ricorsi furono essauditi con subita perfetta sanità restituita alle mandre loro, ed aggiongendo nuove gratie a gratie per segno evidente dell’amore che li porta, e della protettione continua che vuole sempre haver di loro, si è degnato più volte visibilmente comparire a più persone per più ore sul monte di Tortore detto la Bastìa: onde mossi detti homini di Mezenile, Gisola e Tortore a più efficace divotione verso un sì grande loro Benefattore, nel medesimo sito ove è degnato comparire gl’hanno fabricato una Capella ad honor suo, concorrendo li particolari della Comunità con dinari, materiali et opere secondo la tassa e possibilità di caduno a detta fabrica, la quale poi dal medesimo Santo e dal Signor Iddio fù approvata con musiche celesti udite in essa all’imbrunir della notte a porte chiuse da più persone hoggidì ancor viventi; pe quali gratie la detta Comunità e Consiglio di Mezzenile l’anno 1633 alli due di Genaro, prohibì sotto gravi pene che niuno ardisce tagliar, ne far tagliar boschi o foglie di qualsivoglia sorta nel detto Monte per un tiro di pietra tutt’intorno alla detta Capella, al quale d’indi in poi ha tenuta sempre in molta veneratione e viene frequentata da gran concorso di Popolo e Persone qualificate d’ogni intorno di quelle parti anco bene lontane per le frequenti gratie che ne ricevono al che hanno sempre aiutato grandemente, e di continuo aiutano li Molto Reverendi Padri della Compagnia di Giesù di Torino e di Lanzo (quando ivi habitavano) con apparati e spese il giorno della festa, accorrendovi ogn’anno alquanti d’essi con più altri Reverendi Sacerdoti e Confessori ad amministrare i santi Sacramenti della Penitenza e Comunione a Popoli, che a molte migliaia di persone vi concorrono; hanno di più essi Padri fatto l’Ancona ivi essistente e riparata la sudetta Capella ne’ bisogni occorsi, e provvedutola di ornamenti. […..]

Sapendo benissimo essi  huomini di Mezzenile, Gisola e Tortore che niun’altro già mai farebbe attorno a detta Capella quelle provvisioni e spese che sin’hor hanno fatto, e sono per fare detti Padri ad honore del suo Santo fondator e Patriarca, senza trarne alcun utile a sé, per tanto con buona gratia, consenso, ed approbatione dell’Ill.mo e Rev.mo Monsignor Arcivescovo Beggiamo predetto qui presente, ed approbante per sè e successori in questo Arcivescovato tutto il contenuto nel presente Instromento di donatione, cessione e remessione, essi deputati per quanto a detta communità spetti dànno, cedono, rimettono, e transferiscono la sudetta capella con la sua dote sopra constituita, alli Molto Reverendi Padri della Compagnia di Giesù di Torino, qui presente et accettante il Molto Reverendo Padre Pietro Paolo Dioniggi moderno Procuratore del Colleggio loro in questa Città per sé et successori, e a nome del Reverendissimo Padre Preposito generale della medesima Compagnia “dal quale il detto Padre Procuratore dovrà rapportare l’approbatione e ratificanza del presente Instromento e contratto in buona e valida forma fra sei mesi prossimi, come cosi promette di fare il sudetto Padre procuratore”.

(La trascrizione dell’intera donazione si trova nel libro di Giiuseppe Tuninetti Il santuario di Sant’Ignazio presso Lanzo, Alzani, 1992 )

Quando dopo il Concilio Vaticano II venne spostata nell’abside per collocare l’altare rivolto ai fedeli, ci si accorse che era cava e sotto c’era la vetta del monte, su cui venne posata la tavola del nuovo altare. Sotto il porticato perimetrale i devoti compivano processionalmente nove giri attorno alla chiesa ( la novena grande ) e poi nove giri attorno alla roccia centrale ( la novena piccola) invocando l’aiuto del santo e ottenendo grazie e miracoli, testimoniati con libri e i soliti ex voto. Un secolo dopo, quando la Compagnia di Gesù venne soppressa nel 1773, il demanio piemontese cedette il santuario all’Arcivescovo di Torino. Dopo un periodo di crisi, accentuata dalla politica anticlericale napoleonica, con la Restaurazione sabauda il santuario rinacque a una nuova, diversa vita.

Due sacerdoti, l’abate Luigi Guala e il ven. Pio Brunone Lanteri notarono che il luogo, così isolato fra cielo e terra, permetteva un grande raccoglimento. La dedicazione al santo inventore degli esercizi spirituali, lo rendevano veramente un luogo ideale per essi. L’Arcivescovo di Torino mons. Giacinto della Torre approvò l’idea e nel 1807 il Guala ed il Lanteri vi predicarono i primi corsi di esercizi. In seguito fu data al Guala l’amministrazione del Santuario. Egli trovò generose benefattrici a Torino, dove era rettore della chiesa e dell’annesso Convitto di San Francesco d’Assisi per i giovani preti, e a poco a poco, anche ad opera dei successori, si costruì attorno al santuario una vasta casa capace di 90 letti, ben arredata con mobili in stile neoclassico, e si apri perfino, sempre a spese del santuario, la strada di tre miglia, per potervi accedere da Lanzo, che fu la prima carrozzabile aperta in valle. Il Santuario ha ospitato i grandi santi e beati torinesi, tra i quali San Giovanni Bosco, San Giuseppe Cafasso, San Leonardo Murialdo, i beati Giuseppe Allamano, Michele Rua, Federico Albert, Clemente Marchisio, Francesco Faà di Bruno e tanti altri, puntualmente ricordati, grazie alla ricerca di Don Giuseppe Tuninetti, che ha puntualmente ricostruito la storia del Santuario nel libro “Il santuario di Sant’Ignazio presso Lanzo”, edito da Alzani nel 1992.

Il 9 giugno 1947, la gestione del santuario, tenuta fino ad allora dai rettori del Convitto Ecclesiastico Torinese, passò ad una associazione diocesana, intitolata alla Pia Unione di San Massimo (oggi denominata Fraternità San Massimo), allora rappresentata da Don Ugo Saroglia, poi diventato nel 1952 rettore del Santuario del Selvaggio. Nel 1962 venne aumentata la ricettività con la costruzione dell’ala San Massimo a cui si aggiunse nel 1980 quella intitolata a don Giovanni Bosco. Molti lavori e restauri sono stati effettuati nel corso degli anni: ricollocazione dei locali, ammodernamento delle camere, della cucina e del refettorio. Al nuovo altare del 1969 sono seguiti negli anni Novanta il restauro della facciata e dell’affresco e il rifacimento del tetto. Dal 2013 Il Santuario e l’annessa casa di spiritualità sono gestite da un Direttore (sacerdote diocesano) con la collaborazione di alcuni Diaconi permanenti della Fraternità di San Massimo.

Dal dopoguerra il santuario è affidato ai diaconi della Fraternità San Massimo, che lo gestiscono a turno. Angela Maria ed Enzo hanno accolto il gruppo Unitre con generi di conforto e ci hanno poi accompagnato in una interessante visita guidata dell’intero complesso.
La camera di San Giuseppe Cafasso, che fa parte della schiera di santi e beati che ha predicato gli Esercizi spirituali nel santuario.
Una foto di gruppo sul panoramico piazzale del santuario, spazzato dal vento. (Foto di Domenico Cabodi)

Il museo del giocattolo

A Tortore, ai piedi del santuario, c’è un altro tesoro da scoprire. Non si erge vistoso sulla montagna, ma occupa quasi tutto il pian terreno della casa di Nicoletta e Mauro, una coppia affiatata, che condivide l’amore per le tradizioni e i giocattoli d’epoca. Con entusiasmo e competenza negli anni hanno accumulato centinaia di giocattoli, che hanno accompagnato nei loro giochi e nelle loro fantasie bambini di varie generazioni.

Nicoletta Rodes introduce la visita al museo del giocattolo, pazientemente allestito con la collaborazione del marito Mauro.
Il museo del giocattolo sorge ai piedi del santuario, in borgata Tortore, Comune di Pessinetto. Gli spazi del museo hanno reso necessario dividersi in gruppi per la visita.

Nei meandri di questo paese dei balocchi ritroviamo la nostra infanzia e misuriamo il tempo passato. I piccoli elettrodomestici e le macchinine di lamiera sarebbero oggi considerate pericolose e proibite. Molti piccoli capolavori di metallo e di legno, accuratamente rifiniti e dipinti, raccontano di un mondo in cui il “balocco” era un diritto elitario, in cui la fantasia creava i giocattoli e i giochi della gente comune, in cui per molti bambini era il lavoro e non il gioco a riempire la loro infanzia. Poi l’industrializzazione e il consumismo hanno portato un maggior benessere e tanti giocattoli in tante case. L’esposizione allestita da Mauro e Nicoletta è interessante non soltanto per la passione con cui presentano la loro raccolta, ma anche perché si può cogliere l’evoluzione del giocattolo e scoprire come anche in questo settore la plastica abbia invaso gli spazi. Speriamo almeno che oltre ad inquinare il mondo non soffochi la fantasia dei bambini.

Il ponte del Roch, detto del diavolo

Il Ponte del Roch o Ponte del Diavolo, come ancora oggi viene tradizionalmente chiamato, deve probabilmente il suo nome a una leggenda popolare che ne attribuirebbe la costruzione al diavolo, il quale, in cambio dell’anima del primo che lo avesse attraversato, lo avrebbe edificato nel corso di una notte. Probabilmente tale attribuzione nasce dallo stupore popolare derivato dall’audacia e dalle difficoltà che si sono dovute affrontare per portare a termine l’opera. In realtà documenti di archivio attestano che la costruzione venne deliberata nel 1378, che fu opera dell’uomo e che costò 1400 fiorini, recuperati con un dazio sul vino che vi transitava.

La storia – “Ponte del RochLa leggenda – “Ponte del Diavolo”
Gli Statuti ed i conti della Castellania di Lanzo e Valli, redatti dall’11 settembre 1377 al 20 settembre 1380 dal Castellano sabaudo Aresmino Provana signore di Leinì, attesterebbero la data di costruzione al 1378. Fu infatti nel XIV secolo, in seguito a una deliberazione presa il 1 giugno 1378 dalla Credenza raccolta nella Chiesa di Sant’Onofrio, alla presenza del Castellano Aresmino Provana di Leynì, che iniziò la costruzione del ponte del Rocco. Per portare a termine l’opera si spesero 1400 fiorini e dal Sovrano, Amedeo VI di Savoia, si ottenne facoltà di porre per dieci anni un dazio sul vino per ammortizzare tale spesa. Il nome del probabile costruttore risulterebbe da una nota d’archivio: in data 15 luglio 1378 la Castellania corrispose dei pagamenti a un certo Giovanni Porcherio “pro preparacione et aptacione primi pontis basterie” (ponte arcuato, a basto o a schiena d’asino).
La costruzione del ponte si deve a scopi strategici: doveva infatti garantire alle valli un transito verso Torino anche sulla riva destra del torrente Stura in caso di ostilità con i Principi d’Acaja, che controllavano i paesi di Balangero, Mathi e Villanova, e con il Marchese di Monferrato, signore di Corio e di altre zone verso il Canavese. Il ponte permetteva inoltre di controllare tutto il traffico pedonale che, tramite mulattiere e sentieri, era obbligato a radunarsi e a passare in punti vigilati per le perquisizioni e le esazioni di gabelle. Si arrivò anche a chiudere la vecchia strada di Viù, che passava sulla destra della Stura, per obbligare al transito sul ponte.
Un arco di pietra situato sul punto più alto è ciò che rimane di una porta che vi fu posta il 15 Luglio 1564, per poter chiudere l’accesso nel caso in cui scoppiasse un’epidemia ed impedire così il transito di possibili untori che ne favorissero la diffusione.
Le caratteristiche “Marmitte dei Giganti”, ai piedi del ponte, sono particolari conformazioni rocciose, frutto di fenomeni erosivi dell’epoca glaciale, riscontrabili in altri siti fluviali.
Gli abitanti di Lanzo provarono per due volte a costruire il ponte, che crollò miseramente dopo entrambi i tentativi.
Il Diavolo volle approfittare della situazione e, alla popolazione stufa di pagare tasse per finanziare un progetto fallimentare, propose di far erigere egli stesso un ponte che non sarebbe mai crollato, chiedendo come unico compenso l’anima di chi vi fosse passato per primo.






Quando il punte fu ultimato, I lanzesi lo fecero attraversare da un cane, aggirando così l’accordo col Maligno che, furioso per essere stato beffato, batté con violenza le zampe sulla roccia; quest’attacco d’ira incontrollato causò la formazione delle cosiddette marmitte dei giganti, cavità tondeggianti scavate nella pietra alla base del ponte. Un altro mito popolare vuole invece che le marmitte fossero invece le pentole in cui il Diavolo cucinava la minestra per i suoi manovali durante la realizzazione del ponte.

Carrellata di immagini del ponte del diavolo e della gita Unitre del 25 marzo 2023, grazie per la guida e alcune foto a Domenico Cabodi, per altre foto a Luisella Canale.

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