A Coazze, ma anche in molti paesi vicini che la chiamano “sòtula”, quello della “sàtula” era il gioco tipico della “Caréma”, la Quaresima. Quaranta giorni vissuti un tempo con maggior penitenza e per i bambini lo sfogo diventava lanciare e far girare le trottole, gioco quasi proibito negli altri periodi dell’anno. La “sàtula” tradizionale ha la forma di un cono panciuto con la base arrotondata. Sulla punta è innestato un rampone (rampùń) di metallo, la base si chiude sul “pìcu“.
La superficie è scanalata per consentire l’avvolgimento della corda che serve per il lancio. La “sàtula” deve essere fatta di legno duro, di solito di bosso (martlët). Le dimensioni possono variare, ma l’altezza normale delle trottole da competizione è di circa 10-13 centimetri. Abbastanza grandi da farsi rispettare e abbastanza piccole da non essere un bersaglio troppo facile. Questo vale soprattutto se si gioca a “spicàs”, cioè a colpire la sàtula che sta sotto nel cerchio tracciato nella terra.
Il gioco a Coazze, dopo anni di oblio, era tornato in auge verso la fine degli anni Settanta, sotto la spinta di Radio Giaveno e della trasmissione in “patuà” di Ferruccio Brando. Ci sono stati tornei molto affollati e anche sfide tra comuni diversi. In particolare il triangolare con Mattie e Villarfocchiardo si è disputato per diversi anni, l’ultima volta mi pare nel 2008 in occasione della “Tüpà du Sulèi”, la festa organizzata a Coazze per il solstizio d’estate, quando il sole “batte con le corna” al vertice del suo percorso ascendente e torna indietro.