Efisia Fontana Moda e Wanda Reguzzoni, imprenditrici di successo

Quando si rilegge la grande stagione industriale della Val Sangone, che Ferruccio Marengo in un recente libro ha definito “il secolo delle fabbriche”, i cognomi che vengono alla memoria: Franco, Rolla, Moda, Prever, Sertorio, Reguzzoni, evocano abbinamenti solo maschili. Ma, anche se il loro apporto viene spesso lasciato in ombra, dai libri di storia locale emergono figure di grandi imprenditrici, pioniere che in un settore che si riteneva monopolio maschile, hanno saputo muoversi con lungimiranza e determinazione, facendo la fortuna delle loro aziende.

Efisia Fontana Moda dalla canapa alla juta

Poche notizie e poche immagini restano di questa donna che fu all’origine di una vera e propria dinastia industriale. I Moda erano una famiglia antica e potente di Giaveno, che fin dal 1400 aveva dato uomini politici e notai alla comunità locale. Efisia Fontana aveva avviato nella zona del Selvaggio un’attività tessile, dando lavoro a domicilio per manufatti di canapa ad uso domestico. La svolta arrivò nel 1863, quando ottenne un grosso appalto, dal nascente Esercito italiano, per le buffetterie e le dotazioni militari in tela sia collettive che individuali. Tra il 1878 e il 1879 Efisia, in collaborazione con il marito notaio Candido Moda, acquistava dalla Comunità giavenese l’antico mulino della Abbazia di S. Michele della Chiusa, sulla riva destra dell’Ollasio, con annesso terreno, già facente parte del vasto Parco Abbaziale, pertinente al Castello di Giaveno, delizia seicentesca del Cardinal Maurizio di Savoia. Su questo spazio sorgeva nel 1880 la prima costruzione industriale in unico corpo a due piani, con macchinario di tessitura, mosso in parte da energia idraulica ricavata dall’antico canale del Partitore, e in parte da energia a vapore. Al lavoro artigiano subentrava una razionale ed organizzata produzione, con veri criteri industriali, mentre in pari tempo si delineava la possibilità di utilizzare una nuova fibra, la iuta, di minor costo adatta a svariati usi commerciali. Compito e merito di Alfredo Moda, figlio di Efisia, ancora studente del Politecnico torinese, l’aver attuato nello stabilimento d’Ollasio questo disegno, negli anni dal 1886 al 1890. Efisia Fontana Moda la troviamo ancora come titolare della fabbrica e del commercio di “telerie” nell’Annuario d’Italia del 1892. Poi l’attenzione degli storici si sposta sul figlio, Alfredo, ingegnere e imprenditore, che oltre ad ampliare l’attività materna a Giaveno e a Coazze, veniva chiamato a dirigere jutifici a Terni e La Spezia e diventava amministratore del Consorzio degli Iutifici Italiani, con sede a Genova, dove  moriva il 15 febbraio 1924.

Fotografia dell’ingresso dello jutificio nel 1888, ai tempi di Efisia Fontana Moda.
Lo jutificio nel 1888 era dotato di 408 fusi, 20 telai meccanici, due caldaie a vapore e una turbina idraulica. Dava lavoro a 32 persone. (dati tratti dagli Annali di statistica del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, editi nel 1889, riportati ne “Il secolo delle fabbriche” di Ferruccio Marengo.)
Jutificio Moda 1888, reparto telai meccanici. Dopo varie vicissitudini i locali dello stabilimento sono stati recentemente trasformati nel supermercato Borello.

Wanda ReguzzoniMadama, se lei va avanti noi ci siamo

Ritratto, olio su tela, di Sebastiano Franco, nel 1831 avviò a Giaveno una delle prime cartiere del Piemonte.
Nel 1886 la nuora di Giovanni Battista Franco, figlio di Sebastiano, rimane vedova e cede la cartiera a Enrico Tarizzo, nella foto, che la cederà nel 1915 ai Reguzzoni.

La cartiera, fondata dai Franco nel 1831 e rilevata da Enrico Tarizzo nel 1886, viene ceduta a Rodolfo Reguzzoni, da Parabiago, nel 1915, con l’Italia appena entrata in guerra. In società col cognato Barbaglia e l’ing. Banfi converte lo stabilimento alla produzione di carta catramata per trincee e camminamenti. Lavora a pieno ritmo per il governo e mette le basi per importanti investimenti. Negli Anni Venti la ditta Domenico Croce viene incaricata di costruire un nuovo stabilimento, all’avanguardia, lungo la via per Cumiana. Viene inaugurato nel 1926 e nell’assortita produzione compaiono i cartoncini “manilla” per cartelline e classificatori, che saranno a lungo un cavallo di battaglia della cartiera.

Rodolfo Reguzzoni con i dipendenti della cartiera.
Interno dello stabilimento inaugurato nel 1926 ed elogiato da Don Pio Rolla nella sua guida “Giaveno e dintorni” (1935), da cui è tratta la fotografia.

Anche se in ombra, il ruolo della moglie di Rodolfo, Edvige Barbaglia, doveva essere fondamentale. Quando muore nel 1942 infatti, la figlia Wanda, nata nel 1922, deve interrompere gli studi universitari e occuparsi dell’azienda. Dalla madre ha ereditato il piglio, la caparbietà e la capacità imprenditoriale. E anche l’abitudine di recarsi a sorpresa, nel turno di notte, a controllare i reparti. L’anno successivo la cartiera deve sospendere temporaneamente la produzione per mancanza di materie prime, e la fermata, col licenziamento dei 120 addetti, causa non poche difficoltà economiche. Con la pace la cartiera torna a produrre, ma pochi anni dopo, nel 1948, muore il fondatore, Rodolfo Reguzzoni lasciando alla giovane figlia Wanda e a suo marito Aldo Perazzini il peso della conduzione dell’azienda. La bella Wanda era molto corteggiata, ma aveva scelto “un matrimonio d’interesse”, come lei stessa diceva: una persona di provata fiducia ed esperta di conduzione aziendale. La pacatezza di Aldo e l’intraprendenza di Wanda si fondono nell’interesse della cartiera.  Cavalcando il boom economico crescono  progressivamente la produzione e l’organico: nel 1956 gli occupati sono saliti a 110.

La Cartiera Reguzzoni poco prima degli ampliamenti del 1964. In alto il primo complesso cartario dei Franco e poi Tarizzo (foto tratte da “Il secolo delle fabbriche” di Ferruccio Marengo, Impremix 2021).
Fotografia dei dipendenti della Cartiera Reguzzoni, scattata negli Anni Cinquanta, probabilmente nel cortile del ristorante Corona Grossa. Al centro col collo leopardato Wanda Reguzzoni, alla sua sinistra il marito Aldo Perazzini.

La domanda di carta continua a crescere. Per farvi fronte, vengono edificati nuovi capannoni; i reparti taglio, calandratura, ribobinatura ed allestimento del prodotto sono ampliati con la costruzione di un nuovo fabbricato in continuità rispetto all’esistente. Nel fabbricato principale, di quasi 5.000 metri quadrati, rimangono i reparti dedicati alla produzione. Terminate le nuove opere, la Cartiera può contare su una superficie coperta quasi doppia rispetto a quella precedente. Nel 1967 un altro grave lutto colpisce la famiglia: muore Aldo Perazzini. La moglie Wanda, rimasta sola alla guida dell’azienda riunisce tutti i dipendenti e chiede loro “Cosa devo fare?”  “Madama — è la risposta – se lei va avanti noi ci siamo”. 

E l’azienda va avanti. La vedova si rimbocca le maniche. È un tecnico cartario molto competente, vuoi per l’esperienza maturata “sul campo”, vuoi per l’innata curiosità associata ad un’intelligenza superiore alla media. Coadiuvata da validi collaboratori, continua a lavorare per mantenere aperto lo stabilimento, anche per una sorta di servizio alla comunità e di rispetto verso i dipendenti, che tendeva ad assumere in valle, privilegiando la zona di Forno di Coazze.

Nella prima metà degli anni Settanta vengono effettuati investimenti per circa 400 milioni di lire (l’equivalente di 2,5 milioni di euro attuali): sono rinnovati gli impianti per la preparazione degli impasti e la prima parte della macchina continua. Per l’acquisizione dei nuovi macchinari la Reguzzoni si rivolge alla Voith, un’azienda tedesca leader mondiale per la fabbricazione di macchine per la carta, che fornisce alla fabbrica giavenese impianti d’avanguardia per la lavorazione e il riciclaggio della carta da macero.

Da imprenditrice illuminata si avvale dei migliori professionisti, quando anni dopo si risposa, con Luigi Pari, gli affida la manutenzione della fabbrica. Per ottimizzare l’approvvigionamento energetico fa realizzare una condotta forzata attingendo l’acqua dal Romarolo per una turbina idroelettrica e l’ing. Job progetta una cabina di trasformazione all’avanguardia. Attenta alla sicurezza, realizza un anello antincendio tutto intorno allo stabilimento nuovo. Di nuova concezione anche l’impianto di purificazione delle acque di lavorazione con le prime vasche di decantazione mediante batteri che si nutrono degli agenti inquinanti.

Sempre in questi anni Wanda Reguzzoni viaggia, si aggiorna sulle nuove tecniche produttive, cerca nuovi mercati. Sviluppa una rete capillare di agenti e depositi in Italia, espande il mercato in Nord Africa {Algeria, Tunisia e Libia) e nei paesi del Golfo Arabo. Poi arriva la crisi degli anni Ottanta, quella che porta alla chiusura della Cartiera Sertorio. La fronteggia con coraggio e maestria riuscendo a salvare l’azienda con l’introduzione di nuove tecnologie e una notevole riduzione di personale, bloccando il turnover. I figli avuti da Aldo Perazzini, Claudio e Maura, l’affiancano in azienda e l’attività prosegue. Rimasta vedova del secondo marito nel 2005, si ritira progressivamente dalla gestione pratica della cartiera, lasciata al figlio Claudio. Vive ancora a lungo, fino al 2017, in tempo purtroppo per assistere alla chiusura definitiva della fabbrica nel luglio del 2014. Erano rimasti solo 9 addetti. Oggi una parte degli edifici è stata riconvertita nel Mega Store COOP:

Le biografie di queste pioniere dell’industria si basano sul libro “Il secolo delle fabbriche”, su un articolo di “Vita Giavenese” del 1980 e su alcune notizie fornitemi da una ex dipendente della cartiera.

I Reguzzoni, e Wanda in particolare, hanno condotto la loro azienda con tratti manageriali, ma mantenendo un rapporto paternalistico all’interno, con pranzi e gite aziendali che aumentavano il senso di appartenenza.
WANDA TERESA MARIA REGUZZONI è nata a Giaveno il 15 aprile del 1922 da Rodolfo e Edvige Barbaglia. È morta nel 2017 e riposa nel cimitero di Giaveno nella cappella di famiglia.

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