Giuseppina, l’ultima dei “pustìŋ du Forn”.

Sabato 4 marzo, in un giorno luminoso di azzurro e di sole, un corteo di gente mesta ha accompagnato Giuseppina Ruffino al piccolo cimitero di Forno, fra le tombe ovattate di recente neve. Con lei finisce la breve dinastia dei “pustìŋ du Forn”. Giuseppe, il capostipite, “lu pustìŋ véi”, poi il figlio Armando, per diversi anni in contemporanea con l’altra figlia Giuseppina. Un modo particolare di interpretare il mestiere, muovendosi sempre a piedi, rifiutando mezzi di trasporto propri, ma ben contenti di approfittare di un passaggio che alleviasse la fatica di una camminata che ogni giorno di lavoro li portava da Forno a Coazze e poi di nuovo a Forno.

Giuseppe e Armando Ruffino, li pustìŋ du Forn. La domenica a la Maduniŋa col garbìŋ e la curbéla colmi di “mazzolin di fiori”. Il cappello da alpino, i pantaloni alla zuava, i calzettoni e il maglione di lana grezza di pecora, erano come una divisa per Pinétu, lu pustìŋ véi. Foto tratta dal volume “Tramié a l’arp” di Guido Mauro Maritano, che racconta magistralmente diversi personaggi di Forno, tra cui non potevano mancare i caratteristici postini.

Giuseppe, “lu pustìŋ véi”, era il personaggio più caratteristico. Era tornato dalla Prima guerra mondiale con la gamba ferita, il cavalierato di Vittorio Veneto e uno spunto per il nome del figlio, che chiamerà Armando, come Diaz, il maresciallo della vittoria. E anche col cappello da alpino, che diventerà un suo tratto distintivo. Unitamente alla “divisa” da montanaro era un ottimo richiamo per i visitatori della Grotta di Lourdes. Alla domenica lo trovavano alla “Madunìŋa” a vendere ”mazzolin di fiori” e botticini di profumo, spesso affiancato dal figlio. Era un commercio superfluo per una famiglia che, nel contesto di Forno, poteva definirsi benestante. A differenza di quasi tutte le altre della frazione, oltre che sui proventi dell’allevamento di qualche animale, poteva contare su stipendi sicuri. Eppure se intravedeva la possibilità di un vantaggio, di qualche soldo in più, si muoveva con malizia: le capre che sconfinavano, il piangere miseria, il vendere ai turisti. Tutto frutto di un istinto atavico, figlio della tanta miseria che abitava le nostre montagne. Atavico era anche il diffidare delle banche. Tenere tanti soldi in casa era rischioso, si narra di qualche episodio di furto e di perdita di denaro.

Armando era più ingenuo, aveva un carattere gioviale. Non disdegnava una chiacchierata, specie se accompagnata da un bicchier di vino. Non aveva fretta di rientrare a Forno, sperava sempre in un passaggio in auto. Giuseppina era più solerte, ma anche lei cercava sempre un passaggio. Per risparmiarsi qualche metro di fatica urlava dalla strada, sperando che il destinatario le venisse incontro. Il suo incubo erano le raccomandate. Bisognava portarle a domicilio, le competeva anche la frazione Cervelli, e in quei casi la strada si allungava di parecchio. La posta ordinaria poteva consegnarla alla domenica, alla gente che scendeva alla Ferria a sentir messa.

Pensarli adesso in attività con auto e moto, tempi frenetici e lettori ottici è impossibile. Ma, pur con i loro ritmi e le loro astuzie, hanno dovuto farne tanta di strada, ora finalmente riposano vicini nel piccolo cimitero della loro borgata.

Giuseppina Ruffino, nata nel 1936, come il padre e il fratello ha continuato ad affiancare al mestiere di postino quello tradizionale del contadino.

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