24 maggio 1944 – Selvaggio Sopra bombardato e derubato

Il rastrellamento del maggio 1944 è stato uno degli eventi più cruenti del periodo della Resistenza. Degli scontri e dei morti abbiamo già trattato nei precedenti articoli, ma l’uccisione alla Bonaria, tra la Sacra di San Michele e il Colle Braida, di due ufficiali tedeschi dette luogo alla seconda fase del rastrellamento, che il 24 maggio si concretizzò in uno degli episodi più brutali: la distruzione a cannonate della borgata Selvaggio Sopra (l’Arià du Sërvàgiu). Livia Picco nel libro “La Valsangone raccontata ai ragazzi” lo narra con sintetica precisione, sottolineandone con acume gli aspetti peculiari: il deliberato intento di punire la popolazione che aiutava la Resistenza e la mancanza a Coazze di una figura autorevole di mediazione.

Stampa Sera del 27 maggio 1944

Il giorno dopo [l’uccisione dei due ufficiali tedeschi] le truppe di Hitler tornarono a rastrellare ancor più inferocite… Sul versante valsangonese della Braida, da tempo avevano trovato rifugio alcuni inglesi fuggiti dai campi di concentramento tedeschi. Erano innocui e disarmati. La gente delle borgate e del Selvaggio dava loro da mangiare come poteva: polenta, patate, latte e minestra. (E questo accadeva mentre gli aerei inglesi bombardavano Torino e i dintorni!) I tedeschi li sorpresero nei pressi di Pian Aschiero, ne uccisero due e catturarono un ferito. Si fecero dire, con i loro metodi, in quali case avevano trovato aiuto; poi partirono a far vendetta. La zona investita fu quella dalla Braida al Selvaggio, a Giaveno. … In centro a Giaveno rastrellarono gli uomini, altri ne catturarono a Valgioie e alla Braida. In tutto trecento. Chissà la paura dopo i fatti accaduti in valle! Li portarono a piedi ad Avigliana e si divertirono a terrorizzarli: li fecero camminare davanti a file di soldati che sparavano appena sopra le loro teste, mentre il colonnello Nerek li colpiva con il frustino. Il podestà di Giaveno Giuseppe Zanolli intanto, trascorse una giornata rovente al telefono con la prefettura, intermediaria con il Comando germanico, e a sera i civili furono liberati. Restava un’altra questione di fuoco: i tedeschi volevano distruggere Braida, Valgioie, Selvaggio. Zanolli continuò a trattare per mezzo del prefetto Zerbino. Dopo lungo penare Braida e Valgioie furono salve, ma Selvaggio no. La cosa era strana, perché alla borgata non ci fu mai un attacco partigiano, nessun morto o ferito tedesco o repubblicano. Dunque non si trattava di una rappresaglia. Eppure su Selvaggio i tedeschi furono irremovibili, nonostante l’intervento della Curia e dell’arcivescovo. Perché? Gli occupanti volevano dare una lezione alla gente che aiutava, sia pure con una minestra, i partigiani e gli ex prigionieri inglesi. Inoltre c’era una complicazione burocratica. La frazione appartiene in parte al Comune di Coazze (Selvaggio Sopra detto “L’Arià”) e il resto con il famoso Santuario al Comune di Giaveno. Si riuscì infatti a salvare la parte giavenese, ma per quella coazzese non ci fu nulla da fare. Bisogna dire che Coazze a quel tempo era abbandonata a se stessa. Al posto del podestà Rabajoli che si era dimesso, c’era un commissario prefettizio, di nome Giua, che non muoveva un dito neppure sollecitato, tanto che i tedeschi in varie occasioni fecero intervenire Zanolli. Nelle drammatiche situazioni di maggio il podestà di Giaveno avrebbe dovuto essere sostenuto dal rappresentante di Coazze, paese malvisto dagli occupanti! La mattina del 23 maggio alcuni ragazzi del Selvaggio salirono alla Presa del Colonnello per vedere il corpo di ‘Netu’ Tessa e la casa che bruciava. Uno di questi era figlio di un operaio della Cartiera Sertorio ed aveva sette tra fratelli e sorelle. In famiglia la vita era già difficile senza i tedeschi!I ragazzi, addolorati per ciò che vedevano, non pensavano che l’indomani sarebbe bruciata la loro casa! Infatti la sera stessa del 23 maggio piombarono i nazi al Selvaggio. Catturarono tutti gli uomini che trovarono. Per fortuna tanti erano al lavoro nei campi o in fabbrica. Segnarono con la biacca le case da incendiare. Anche questo è un comportamento inconsueto. La gente inorridì, non ci voleva credere: “Bruciare le case costruite con tanta fatica e ‘astinenze’, senza aver fatto niente contro gli invasori!”. Un uomo, Andrea Giacone ‘Dreia du Panatèi’, in uno slancio di generosità, si offrì come ostaggio e vittima per salvare la borgata. I tedeschi non si commossero: lo misero con gli altri arrestati. Nella notte la gente, ancora incredula, liberò gli animali dalle stalle, gettò nei prati biancheria, attrezzi, pentole, sempre con la speranza che l’incendio non ci sarebbe stato: “Vogliono solo spaventarci. Non possono fare una cosa così!” Gli uomini scampati alla cattura sparirono tutti nei boschi sulla montagna. Nelle case rimasero i vecchi, le donne, i bambini e i malati gravi. Il 24 maggio i militari cosparsero di liquidi infiammabili le case e appiccarono il fuoco e, subito dopo, i cannoni piazzati di fronte, alla borgata Colombo, cominciarono a sparare. Per evitare questo le donne si erano inginocchiate supplicando gli ufficiali; per tutta risposta i soldati avevano puntato le mitraglie su di loro. Intanto dalle creste, dalle borgate della montagna soprastante, gli uomini del Selvaggio, disperati e impotenti assistevano allo scempio, divorati dall’angoscia per i famigliari nelle mani di “quei diavoli”. Anche la parte giavenese salvata dalla distruzione fu accuratamente saccheggiata. Infine alla sera di quel giorno terribile, 24 maggio ’44, le truppe naziste se ne andarono con i camion carichi di tutto quello che avevano razziato, persino una cucina economica (putagé) e un vitello. La distruzione di Selvaggio Sopra, a cui assistettero in diretta montanari e partigiani da Pratovigero alla Maddalena al Pianiermo, rimase nel ricordo e nell’immaginario collettivo, anche se non ci furono vittime. Infatti anche gli uomini arrestati e deportati in Germania tornarono alle loro case alla fine della guerra. Ma la sera del 24 maggio gli abitanti del Selvaggio inebetiti non potevano saperlo e li piangevano morti, benché innocentissimi. Quella sera trentadue case ridotte a ruderi fumavano, cinquanta famiglie si accamparono sotto i portici del Santuario, nelle scuole, presso parenti e amici. Non sapevano come avrebbero fatto a tirare avanti. Non immaginavano che le case sarebbero state ricostruite molto più belle di quelle distrutte. Di tutto quel disastro, materialmente, rimane solo una lapide e un ex voto nel Santuario.

La Valsangone raccontata ai ragazzi … dalla bisnonna, Picco Lidia, Echos Edizioni, Ahcartari museo AVS, 2015
Le case di “Selvaggio Sopra” dopo il bombardamento
Giuseppe Zanolli, podestà di Giaveno

Nel Diario di Zanolli trovano ampio spazio gli avvenimenti del maggio 1944 e le concitate trattative per evitare la rappresaglia, che salvarono il Santuario e le altre borgate, ma non riuscirono a evitare la distruzione di Selvaggio Sopra.

Case di Selvaggio Sopra oggi e subito dopo il bombardamento del 1944

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