21 maggio 1944: i nazisti volevano distruggere anche la Sacra di San Michele

La follia della guerra può distruggere in poche ore ciò che l’intelligenza dell’uomo ha costruito nei secoli. La notizia che il monastero ucraino di San Giorgio a Svyatogorsk, eretto nel 1526, diventato rifugio di civili, è stato distrutto da un attacco aereo, mi ha richiamato alla mente che anche la splendida millenaria Abbazia della Sacra di San Michele ha rischiato di venire bombardata nel maggio di sangue del 1944.

Un missile russo avrebbe distrutto il Monastero di San Giorgio a Svyatogorsk, nell’Est dell’Ucraina. Secondo l’agenzia Ukrinform che cita il ministro della Cultura, Oleksandr Tkachenko, l’eremo appartiene al Patriarcato di Mosca guidato dal patriarca Kirill. La struttura era in piedi almeno dal 1526, descritto dalle note storiche come «la sentinella contro i tatari di Crimea». Un secolo dopo, nel 1637, era stata costruita la Cattedrale di Santa Dormizione, che si trova nella parte superiore del monte che aveva aggiunto labirinti e passaggi riparati. Un luogo tornato molto utile nel corso della guerra per i diversi civili che qui avevano trovato rifugio, finché almeno la struttura è stata danneggiata da un attacco aereo con il ferimento di diverse persone.

Dopo una settimana di violenze e scorrerie i rastrellatori tedeschi stavano lasciando la Val Sangone quando il 20 maggio due ufficiali germanici vennero uccisi in un attentato in località Bonaria, vicino alla borgata Basinatto e alla Sacra di San Michele.

Uno di questi era amico di Hitler e la ritorsione tedesca fu terribile. In poche ore oltre trecento persone vennero raccolte al Colle della Braida e poi condotte a piedi ad Avigliana. Solo alle 18.00 la lunga processione degli ostaggi rientrò a Giaveno, dopo aver subito sadiche intimidazioni (raffiche in aria e frustate) dal colonnello Nerek. L’atto dimostrativo finale fu poi la fucilazione di quarantuno partigiani, fatti giungere in valle dalle carceri Nuove di Torino dove erano detenuti.

 Anche la Sacra di San Michele, per la vicinanza al luogo dell’uccisione dei tedeschi, venne coinvolta. Pochi giorni dopo il rastrellamento del 21 maggio, padre Andrea Alotto, rettore della Sacra, spinto anche dalla pubblicazione sulla “Stampa” e sulla “Gazzetta del Popolo” di due articoli che accusavano i padri di avere nascosto delle armi per i ribelli, incaricò due novizi, Antonio Riboldi (poi Vescovo di Acerra) e Giovanni Lever, di raccontare in modo veridico i fatti in una sorta di supplemento del “Diario” da tenere accuratamente segreto. Subito dopo l’uccisione dei due ufficiali, dunque, i tedeschi salirono una prima volta alla Sacra per sapere se i padri fossero stati testimoni di qualcosa. Non ci fu una perquisizione vera e propria. Ma per i padri fu una dura prova, anche perché nascondevano un ebreo ed un renitente alla leva. Il giorno successivo, i tedeschi tornarono nella zona e, a sera, spararono una raffica di mitra sulle mura della Sacra. Poi, il 21 maggio, una domenica, penetrarono nel monastero per perquisirlo davvero a fondo. I padri rosminiani rischiarono veramente la vita per salvare i due rifugiati. I tedeschi, infatti, non trovarono nessuno, ma, come convinti di aver subito uno smacco, finirono con l’ingigantire la portata di qualche materiale bellico (in realtà vecchi ed inservibili cimeli) per coinvolgere comunque il monastero nella repressione. I padri vennero così condotti sulla piazzetta della vicina borgata di San Pietro e, insieme con quattro civili fermati a caso, messi al muro per la fucilazione. Undici persone rimasero così sospese, fra la vita e la morte, per due interminabili ore. Ad un certo punto, il comandante tedesco comunicò che potevano rientrare in convento, che la Sacra era salva (probabilmente per un intervento dell’Arcivescovo di Torino Cardinal Maurilio Fossati),  ma che la borgata sarebbe stata bombardata. E venne rasa al suolo. Il giorno dopo vennero distrutte le case della borgata Basinatto e l’albergo Bonaria, colpevoli solo di trovarsi vicino al luogo dell’attentato.

Nel pomeriggio del 21 maggio, oltre tre ore di bombardamento rasero al suolo la borgata San Pietro, ai piedi della Sacra di San Michele.
L’albergo ristorante Buon’aria in una immagine degli Anni Trenta. Sorgeva tra la Sacra e il Colle Braida a 960 metri s.l.m. e in quel periodo era di proprietà di Severino Cantore, negli anni della guerra apparteneva al sig. Costamagna.

La prima vittima della guerra è la verità” (Eschilo)

Questa affermazione attribuita al tragediografo greco Eschilo ha 25 secoli e non è mai stata smentita.

Com’è lampante nella guerra in Ucraina, ognuno dei contendenti propone la sua versione e per qualsiasi crudeltà trova una giustificazione. Tornando alla rappresaglia della Bonaria, i due articoli di stampa che riferiscono i fatti sono emblematici. La Sacra viene dipinta come un arsenale e un covo di partigiani (chiamati ribelli o banditi) e la mancata sua distruzione come un atto di magnanimità tedesca. La fucilazione di 41 persone e il bombardamento delle borgate sono presentati come giusta conseguenza della protezione data ai “banditi”.

Articolo non firmato comparso su “LA STAMPA” del 27 maggio 1944.
Articolo non firmato comparso su “STAMPA SERA” del 27 maggio 1944. I fatti vengono ripresi in modo più dettagliato, ma non privo di inesattezze e con lo stesso tono di ammonimento alla popolazione e al clero connivente con i “banditi”. Non manca il “ringraziamento” alla “magnanimità dei germanici, che ha voluto risparmiare il pio luogo”.

Il rettore della Sacra, padre Andrea Alotto da Mocchie, non poteva accettare questa versione dei fatti e fece fare un puntuale elenco delle “armi ed equipaggiamenti” trovati nel convento: 1) le fasce da militare ch’erano del P. Rettore; 2) il fucile da caccia era nell’ufficio della sopraintendenza ai lavori; 3) la scatolina di pallottoline per rivoltella … comunque il P.Rettore, interrogatone, ha detto che egli, venuto alla Sacra verso la fine di Ottobre u.s., non sapeva che ci fosse in casa quell’esplosivo; 4) il caricatore vuoto (quattro o cinque pallottole) per modello vecchio fucile (o moschetto?) doveva essere un ricordo della guerra 1915-18; 5) l’elmetto era stato trovato giorni fa da Lever nel bosco in vicinanza della ex batteria antiaerea, e venne ritirato perché potesse essere utilizzato dal fabbro Verzotti.

Questi  “le munizioni, le capsule esplosive e gli equipaggiamenti militari tenuti nascosti in un convento presso la Sacra di S. Michele”, citati dall’articolo della “Gazzetta del Popolo della Sera“!

L’articolo prosegue sostenendo che “nonostante fosse legittima qualsiasi rappresaglia, sia il locale sia i preti non sono stati toccati. La rappresaglia è avvenuta soltanto sui ribelli e non sulle persone civili, solo in seguito a considerazioni umanitarie“.

Padre Andrea Alotto

Padre Andrea Alotto, storico rettore della Sacra di San Michele

Nato a Mocchie, in Val di Susa, il 26 giugno del 1902, Andrea Alotto aveva già studiato nelle scuole dei Rosminiani; aveva poi maturato, durante il servizio militare, una profonda vocazione religiosa che lo aveva indotto, nel 1923, ad entrare a far parte di quel medesimo ordine monastico in qualità di novizio. Dieci anni dopo, era stato consacrato sacerdote.
Padre Andrea Alotto giunge alla Sacra di San Michele poco più che quarantenne per svolgervi la funzione di rettore: è il 22 ottobre del 1943.
Insieme con un esiguo numero di confratelli rosminiani, affronta con energia e saggezza i venti mesi cruciali della guerra civile e della Resistenza, svolgendo un ruolo determinante. La Sacra diventa luogo di rifugio per i perseguitati (anche ebrei), mentre i partigiani la utilizzano talvolta come punto di osservazione. Nell’ambito del vasto rastrellamento del maggio 1944, i tedeschi perquisiscono la Sacra e minacciano di morte i padri, accusandoli, tra l’altro, di nascondere armi per i partigiani. Padre Andrea Alotto resterà rettore della Sacra di San Michele per ben quarantatré anni, fino al maggio del 1992, a pochi mesi dalla morte, avvenuta a Stresa nel gennaio dell’anno successivo. Il settimanale diocesano “La Valsusa” del 14 gennaio 1993 ha dedicato un ampio articolo alla scomparsa di Padre Alotto, ripercorrendone in dettaglio le vicende biografiche.

Nel 50° della fine della Seconda guerra mondiale, alcune classi dell’Istituto Pascal di Giaveno hanno condotto una ricerca che costituisce la più approfondita documentazione esistente sul ruolo del clero negli anni della Resistenza.
Tra fede e impegno civile – Il ruolo del clero nella Resistenza in Val Sangone 1943-1945
, Turingraf, Torino, 1995

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