Il 17 febbraio 1848 il Re di Sardegna Carlo Alberto, anticipando di poco lo Statuto del 4 marzo, concede con le Lettere Patenti le libertà civili ai Valdesi. Una decisione figlia del clima liberale che fin dai moti del 1821 aleggiava sull’Europa e del desiderio del Re di accreditarsi, dopo il voltafaccia del 1821, come guida del Risorgimento italiano contro l’oppressione austriaca.
Da 173 anni i valdesi celebrano il 17 febbraio in ricordo del riconoscimento dei loro diritti civili da parte del Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia. È una festa sentita con particolare solennità nelle valli valdesi del Piemonte, dove il 17 febbraio ha assunto il carattere di festa civile e non solo religiosa: da un lato i cortei e i falò notturni – in memoria di come la notizia delle libertà concesse si propagò di valle in valle – dall’altro i culti celebrati nei diversi templi. Non si terranno cortei, i riti avverranno secondo le norme anti Covid, i falò sono stati accesi nei paesi più piccoli, come Rorà, dove era più facile rispettare il distanziamento, a Pomaretto falò acceso alle 22 senza pubblico, solo in streaming. A Torre Pellice un momento di raccoglimento niente falò, quello di Pinerolo si è tenuto a Bricherasio.
Tempio Evangelico di Coazze
Per capire quanto sia sentita la festa, bisogna risalire alla condizione dei valdesi prima del 1848. Rientrati col “Glorioso Rimpatrio” del 1689 nelle valli Pellice e Germanasca, lì erano di fatto tollerati e rinchiusi, privi dei diritti civili. Un volume edito nel 1922 ricostruisce la situazione, in un’ottica di parte, ma è innegabile la discriminazione che accomunava Ebrei e Valdesi, supportata dal clima della Restaurazione.
“La riconquista gloriosa delle sue Valli, nel 1689, dopo il grande esilio, e la protezione diplomatica delle Nazioni Protestanti della Lega del 1690 hanno strappato al Duca di Savoia l’Editto di reintegrazione del 1694; ma pure, alla vigilia del 1848, quando tutta Italia invoca dai Sovrani le libertà costituzionali, le Valli Valdesi ancor fremono sotto il giogo di una legislazione speciale, restrittiva dei diritti civili e religiosi. Ancor vigono in esse gli Editti dell’intolleranza antica, raccolti e ordinati dal Duca Vittorio Amedeo ll, nel l73O; e, per quanto ripugnino allo spirito dei tempi nuovi, tanto che, per pudore politico, si rifugge dal farli di pubblica ragione, nessuno di essi è stato abrogato; tutti sovrastano minacciosi sul capo degli eretici, e un per uno possono essere richiamati in vigore dall’Autorità, che tiene in pugno sl formidabile arme. E di vero, i Valdesi son contenuti per legge negli stretti confini delle loro anguste Valli, fuor delle quali, senza concessione speciale, non hanno diritto di possedere né di risiedere; ed anche in quelle non partecipano se non restrittivamente alla vita pubblica, i cui uffici principali sono affidati a cattolici. Negli stessi loro comuni, possono far parte dell’Amministrazione, ma in minoranza e col sindaco cattolico, sia pure illetterato e di nessun conto. Esclusi dall’esercizio delle professioni liberali, tranne pochissime non richiedenti studi all’Università, da cui sono pur anco esclusi, e da esercitarsi fra i correligionari; esclusi dai gradi superiori dell`esercito, per quanto tenuti in concetto di valorosi soldati; esclusi dai traffici e dai commerci regolari colle altre parti del Regno. All’incontro, vincolato a templi e luoghi determinati l’esercizio del proprio culto e proibita la libera predicazione religiosa; obbligatoria l’osservanza delle feste ecclesiastiche e favorito con arti ed inganni il proselitismo cattolico. Il quale non rifugge dai mezzi più iniqui: ratti di minorenni, offerte di sussidi ed impieghi a poveri, promesse di avanzamento a militari, diminuzioni od esenzioni di pene a carcerati. La Giustizia amministrata con parzialità. Ecco, in breve, lo stato effettivo in cui ancora trovansi i Valdesi, alla vigilia della loro Emancipazione.“