Tanti in montagna grazie alla castagna

Mio nonno Beniamino, panettiere a Sangonetto fin dagli Anni Venti del Novecento, raccontava che in autunno con l’arrivo delle castagne la vendita di pane calava anche del 30% rispetto al resto dell’anno. In un articolo del 1982 su LUNA NUOVA facevo qualche considerazione sull’importanza della castagna, inversamente proporzionale rispetto al suo umile aspetto, e sulle tecniche tradizionali di raccolta e conservazione. Ve lo ripropongo con qualche integrazione e arricchito da una ricetta di Adriana Fantoni, tratta da “Antichi sapori dell’Alta Val Sangone”. L’autrice ricorda che nelle case di una volta, con la stufa sempre accesa d’inverno, far cuocere le castagne era un’abitudine senza costi aggiuntivi. Oggi sul gas la lunga cottura delle castagne è più impegnativa. L’unico modo per conservare le castagne a lungo in inverno era farle seccare e quindi si dovevano poi mangiare ammorbidite, di solito nel latte. Latte e castagne, o con l’aggiunta di riso come nella ricetta, era una minestra nutriente e a “metro 0”.

L’ “umile” castagna

Annullatosi nel verde uniforme dell’estate, l’albero ritrova in autunno la sua individualità.  
Guardando le chiome caduche, ma sgargianti, le macchie di colore arruffate e giustapposte con  
effetti cromatici che paiono studiati, ripenso alla scuola, al cimento descrittivo ineluttabile: il  
bosco in autunno. Fluiva sulle larghe righe del quaderno elementare un’illusione di originalità: la tavolozza di autunno pittore, una sinfonia di colori, la natura si veste a festa prima di morire … immagini logore e accattivanti, luoghi comuni cui si è affezionati come all’“umile castagna”. Un abbinamento con questo aggettivo a scuola era quasi d’obbligo, doveroso per questo frutto “piccolo e nero” come il pulcino d`una vecchia pubblicità, ma cosi generoso di nutrimento, cosi concreto nel vano sgargiare delle foglie autunnali.
Nel quadro d’una ricerca sullo spopolamento montano, nel 1932, Rondelli riferiva ad esempio che nel XVIII secolo in valle di Susa “il bilancio alimentare era nella maggior parte dei comuni alpestri in deficit e doveva essere completato con una congrua aggiunta di castagne (nella proporzione di 2 parti di castagne per 1 di segale)”. Uno studioso francese dell’ambiente alpino,  Blanchard, ha attribuito alla diffusione del castagno un ruolo determinante nel sovrappopolamento alpino dell’inizio del Novecento. Se si calcola che  
una decina di castagne forniscono le stesse 300 calorie di una pagnottella di pane o di I/2 litro di latte, appare evidente la loro importanza alimentare in una società basata su di un’economia di sussistenza, strettamente legata alle risorse naturali dell’ambiente.  

La raccolta delle castagne (cëstàgne) era un tempo sistematica: nei castagneti, di solito in terreni ripidi, si apprestavano ripari a valle per i ricci (arìs) e poi si procedeva all’abbacchiatura (dvàte) con pertiche (pèrtie). I ricci sparsi si raccoglievano con pinze di legno (pësiòire), si trasportavano con apposite grandi gerle e si depositavano in mucchio nell’arisèi, dove venivano lasciati a macerare per oltre un mese sotto rami e foglie di faggio e castagno. Per dericciare le castagne si aspettava la luna vecchia, ci si sedeva sullo sgabello ad una sola gamba (vilëń), si tiravano i ricci verso di sé con l’avatùr e si aprivano col pich di legno. Si cernevano poi le castagne in base alla grossezza e si ponevano le più piccole ad essiccare sul graticcio (chièia); sbucciate e riposte, venivano poi consumate secche durante l’inverno soprattutto col latte. Le castagne grosse per lo più si vendevano, quelle non buone si davano agli animali.  
Oggi la raccolta delle castagne non ha più i caratteri della necessità, è sporadica e il frutto viene quasi sempre consumato fresco, pochi fanno ancora l’arisèi. Una mano per la raccolta la danno anche i “turisti” che, estendendo con disinvoltura il principio del “ciò che ho trovato è mio”, applicato ai funghi, troppo spesso dimenticano che alberi e terreni, anche se non recintati, hanno dei proprietari e oltre che una boccata d’aria buona prendono in montagna anche la preziosa, “umile” castagna.  

Articolo apparso sul quindicinale Luna Nuova n.21 del 13 novembre 1982 nella rubrica “Ciose bis-ciòse
Immagine tratta dal sito del Comune di Villarfocchiardo, famoso per la produzione e la festa del marrone. In questo brano è dettagliatamente descritta la fase di raccolta delle castagne.

La raccolta dei ricci

Un altro dettagliato ricordo, che va dai ricci sull’albero alle castagne vendute o cucinate, lo ha fornito sulla pagina Facebook “Racconti e ricordi della Val Sangone”, Marisa Usseglio Savoia. Leggendo potete anche confrontare somiglianze e differenze tra il patuà della Maddalena e quello di Coazze con cui ho denominato i principali attrezzi nel mio articolo. Tra le fotografie che lo corredavano ho scelto quella che raffigura la curbéla e le pësiòire, attrezzi indispensabili di ogni buon raccoglitore di ricci.

Fotografia a corredo dell’articolo di Marisa Usseglio Savoia .
Antichi sapori dell’AltaValSangone, Adriana Fantoni & Carlo Montrucchio, Ecomuseo dell’Alta Val Sangone, s.d.

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