San Giacomo e “lu Trapìta” dell’Indiritto, i figli del tuono

Quando Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, lo incontrarono sulle rive del lago di Tiberiade, Gesù li chiamò “boanerghes” (Marco 3,17), cioè “figli del tuono” per il loro carattere forte e il loro ardore. Quando gli abitanti di Samaria negarono ospitalità a Gesù, i due fratelli gli chiesero “dobbiamo invocare il fuoco del cielo perché li divori?”. E quando Gesù chiese loro se erano disposti a bere “l’amaro calice” con Lui, la risposta immediata fu “lo possiamo”.  Prima del martirio nel 44 d.C. ad opera di Erode Agrippa, San Giacomo, secondo la tradizione, si sarebbe recato a predicare in Spagna e le sue reliquie sono state miracolosamente rinvenute in un campo nell’830 dal vescovo Teodimiro di Iria guidato da una stella. Sul “campus stellae” è sorto il grandioso santuario di San Giacomo di Compostela  (Santiago de Compostela), diventato meta di infiniti pellegrinaggi dal medioevo ad oggi. Quando non c’erano ancora mappe dettagliate e GPS i pellegrini si orientavano sulle stelle e in patuà la Via Lattea è detta “la vië d’Sëń Giàcu”. La popolarità di questo santo, la cui ricorrenza è il 25 luglio, ha fatto sì che gli venissero dedicate centinaia di chiese e affidati molti patronati.

Parte sommitale della facciata do Obradoiro della Cattedrale di Santiago. (Fotografia di Bartolomeo Vanzetti, 2011)

In Val Sangone San Giacomo Maggiore è il patrono di due ex parrocchie, quella dell’Indiritto di Coazze e quella di Borgata Sala a Giaveno, che ha dedicato una cappella anche a “Giaculìń” San Giacomo Minore. Un piccolo edificio su una collina di borgata Giacone, dedicato a questo santo, anche lui apostolo, sulla cui identità e anche sul martirio vi sono incertezze.

L’imponente facciata barocca della Cattedrale di Santiago de Compostela, protegge il portico della Gloria e l’edificio romanico originario. Fin dal Medioevo è la meta di milioni di pellegrini che la raggiungono da ogni parte d’Europa. (Fotografia di Bartolomeo Vanzetti, 2011)
Forse per l’immagine di apostolo determinato e combattivo trasmessa dalle Scritture, a Santiago è stato attribuito l’intervento miracoloso nella battaglia di Clavijo nell’844, diventando “Matamoros”, uccisore dei musulmani. e simbolo della Reconquista spagnola. (Fotografia di Bartolomeo Vanzetti, 2011)

Su istanza della popolazione della borgata, appoggiata dal Consiglio Comunale di Giaveno, l’Arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi emanava il decre­to di costituzione della parrocchia di San Giacomo Apostolo in località Sala di Giaveno il 12 maggio 1875. La cappella duecentesca era ancora a navata unica e solo nella prima metà del Novecento fu portata all’attuale forma di croce latina, con nuovi ampliamenti su disegno del geom. Giovanni Vaccarino, per iniziativa del curato teol. Cesare Borgarello. 

La processione per la festa di San Giacomo alla borgata Sala. Una delle prime guidata da Don Rosolino Fieschi, parroco della Sala dall’11 ottobre del 2003 al 2012, quando gli è subentrato Don Gianni Mondino, parroco anche di Giaveno e Valgioie. Don Lino era nato  ad Alagna Valsesia nel 1932, da una famiglia originaria di Dogliani. Aveva vissuto una parte della sua infanzia a Giaveno, dove il padre ha prestato servizio come maresciallo dei carabinieri dal 1937 al 1944.
Il grande quadro che sovrasta il coro della Chiesa della Sala è un olio su tela raffigurante S.Giacomo Maggiore in posa di predicatore e di pellegrino, col bastone e la “cùsa”. È datato 1896 e reca la firma del pittore che lo eseguì: Paolo Gaidano (Poirino 1861-1916).

Lu trapìta da Drèc

Quasi un secolo prima, nel 1790, era stata  costituita all’Indiritto la Parrocchia autonoma intitolata a San Giacomo Maggiore Apostolo. Ma la chiesetta dedicata al Santo era cadente e trovare un prete intraprendente e capace per un luogo cosi sperduto non era facile. Nella primavera del 1790 era stato ospite della Corte Sabauda il frate trappista Carlo Emanuele De Meulder. Fuggito dalla Francia rivoluzionaria, aveva sostato alla Sacra di S. Michele e a Torino. Messosi in evidenza per le sue doti morali ed intellettuali,  pur restio, viene incaricato di erigere la Parrocchia dell‘Indiritto. Lasciata la Corte di Torino, il trappista giunge in quello che egli stesso definirà “il deserto di Coazze”, la vigilia di Sant’Andrea del 1791. Neve e gelo accolgono il pastore che visita le borgate dell’Indiritto, cercando di ambientarvisi. In pochi mesi impara il loro linguaggio “semibarbaro”, dal 1792 inizia a tenere i registri di battesimo, matrimonio e morte. Nel 1793 inizia la costruzione della Chiesa. Attinge al lascito di 20.000 lire di Michelangelo Vacchieri, morto in Piasco presso Saluzzo nel 1789, ma deve attingere ai beni di famiglia per completare l’opera, che viene consacrata il 5 agosto 1798 da Francesco Ferrero, Abate di S. Giacomo di Bessan. Ma l’anno dopo, quando a fine agosto le truppe francesi valicano il Colle della Roussa, De Meulder, che ha sempre manifestato idee antirivoluzionarie, si sente in pericolo. In ottobre il trappista misteriosamente scompare dall’Indiritto; morirà il 9 dicembre 1804 nell’Abbazia di Fossanova nel Lazio. Uomo di grande cultura ed enorme personalità, “lu trapìta” è passato come un fulmine nella vallata del Sangonetto, lasciando ai suoi parrocchiani un capolavoro artistico, una tradizione musicale e tanti benefici, concretizzati nella pergamena che li autorizzava ad utilizzare i beni demaniali. Il marchese Faustino Curlo, che a fine Ottocento ne ha scoperto le tracce all’Indiritto, ha cercato di raccoglierne la memoria orale e dalle testimonianze di allora emerge  un “figlio del tuono” degno di San Giacomo. “I suoi occhi parevano di fuoco e con il solo sguardo, senza pronunciare parola, otteneva quanto voleva. Per la costruzione della chiesa e della canonica, tutta la popolazione aveva concorso. La sabbia e i sassi venivano estratti dal torrente Sangonetto e portati su alla borgata del Marone con ceste e gerle; il legname ceduto gratuitamente veniva tagliato nei boschi dei dintorni.” Così lo ricordava il padre di un’anziana del Pianastèiva. Carlotta Galleana indicò al marchese la grangia del “Roch Barusët” dove De Meulder si ritirava giorni interi in preghiera. Un’anziana di Borgata Tonda gli confermò che “lu Trapìta preparava medicine con le erbe raccolte in montagna e guariva tutti quelli che curava”. Aveva amicizie importanti il De Meulder, il cardinale Gerdil, abate commendatario della Sacra di San Michele, il Re Vittorio Amedeo III di Savoia e soprattutto la principessa Maria Clotilde, moglie di  Carlo Emanuele IV dal 1796 Re di Sardegna. Amicizie che usò per avere aiuti e concessioni per i suoi poveri parrocchiani, ma anche un artista di valore per decorare la sua chiesa: Luigi Vacca. Figlio d’arte, il padre Angelo ed il fratello maggiore erano pittori di Corte a Torino, il Vacca, nato a Torino nel 1778, lavorò ancora adolescente all’Indiritto, affrescando le pareti laterali del presbiterio, la cupola della chiesa e, non si sa se per prova o per diletto, le pareti della stanzetta in cui dormiva. Geniale, ma fanciullo e un po’ svogliato, si dice che venisse stimolato al lavoro dal Trappista anche con restrizioni alimentari. In seguito questo famoso pittore divenne maestro e suocero di Francesco Gonin, con cui affrescò l’Abbazia di Hautecombe in Savoia. Svolse poi un’intensa attività a Torino, dove affrescò alcune sale del Palazzo Reale e decorò il soffitto del Teatro Regio, e nel circondario, abbandonando negli ultimi anni lo stile rococò per avvicinarsi al gusto neoclassico.

Notizie e immagini tratte da: Sui monti di Coazze – La frazione Indiritto e il trappista De Meulder, di Giovanni Dell’Orto e Gianni Gili, Coazze … ognuno a suo modo di Guido Ostorero, Sala com’era com’è.

Un momento della festa di San Giacomo all’Indiritto. La statua del santo esce dalla chiesa per percorrere lo spiazzo antistante in processione, accompagnata dall’inno “Exultet orbis gaudiis”.
San Giacomo che predica, affrescato da Luigi Vacca nel presbiterio della chiesa, ha le fattezze del trappista Carlo Emanuele De Meulder: fiero, imperioso, profetico. Chissà se per i volti delle persone che lo ascoltano attente il pittore si è ispirato ai suoi parrocchiani?
San Giovanni Evangelista, simboleggiato dall’aquila e ispirato dalla colomba dello Spirito Santo mentre scrive il suo Vangelo. Il marchese Faustino Curlo vi riconobbe l’autoritratto del pittore, che all’epoca aveva quindici anni.
Di fronte al San Giacomo che predica, il Vacca ha ritratto il martirio del Santo, avvenuto agli inizi degli anni Quaranta del primo secolo dopo Cristo, per ordine del re Erode Agrippa I. Ucciso a colpi di spada, San Giacomo fu il primo apostolo martire.

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