Poca ma buona l’erba dell’ “Arp di Cëvrèi”, parola di “Celestìń d’Ana”

Ha un aspetto desolato il vallone del Rio Cevréro (Rì Ciavréi), che scende da Monte Pian Reale, m. 2617, al Sangone tra dossi e macereti, dilavato dalle acque e povero di copertura vegetale. Eppure nel Medioevo, come scrive Guido Mauro Maritano nel suo libro “Tramié a l’arp”, alcuni abitanti di Forno si offrirono di costruirvi un alpeggio. Le pietre non mancavano in zona per costruire qualche grangia, un casotto per gli uomini, una stalla per le bestie, lo “storn” per lavorare i formaggi e la “cròta” per conservarli. Chiedevano in cambio dieci anni di pascolo gratuito in quelle terre demaniali. Ne ottennero nove, ma dopo sei anni lo lasciarono. Forse perché si erano già ripagati ampiamente dell’investimento fatto. Sicuramente nel 1747 l’Alpeggio era già a disposizione, come quelli della Balma e dei Sellerì, del Comune di Coazze, che nel libro dei conti di quell’anno annota ”Per riparazioni fatte attorno la casetta delle Alpi di Cellerei, Balma e Rivo Cevrero pagato a Mastro Giuseppe Bottalo d’ordine del consiglio lire 8,15.” Due anni dopo, in un documento catastale del 1749, viene censito come “tenimento della comba del Rio Chiavrero, giornate 652 e tavole 59”. Ancora nel 1970 vi salivano i margari con 50 bestie, poi fu il primo ad essere abbandonato. La sorgente di Pian Reale, poco sopra l’alpeggio, non irrigava a sufficienza i prati, l’erba cresceva stenta nel terreno petroso, non c’era una strada che lo rendesse più accessibile.

Veduta del Vallone del Rio Cevrero, detto anche Ricciavré, “Rì Ciavrèi” in patuà.
Tramié a l’arp, Maritano Guido Mauro, Arti Grafiche San Rocco, 2003
L’alpeggio Ricciavré, fotografato qualche anno fa da Bartolomeo Vanzetti. Venne costruito a 1927 metri di altitudine, poco sotto il Pian Reale, che era la zona prativa migliore del vallone. La fotografia conferma la descrizione “geologica” di Avondo e Torassa nel volumetto di “Centosentieri” dedicato alla Valsangone: “Il luogo presenta una limitata vocazione al pascolo in quanto la natura del substrato (gabbri eufotidi, prasiniti, serpentiniti) dà luogo a una morfologia molto aspra e selvaggia, costituita da estesi detriti di falda a grossi blocchi e depositi di origine glaciale sui quali i processi di formazione del suolo stentano a svilupparsi. La vegetazione dominante è quindi quella arbustiva o poco esigente…».

Tutti fattori che ne decretarono l’abbandono già prima del 1980.  Ma il pascolo era di qualità.

  Scrive Guido Mauro Maritano “L’alpe Riciavrài (Ricciavré) era povero, mairu (magro), in un posto impensabile, ma la poca erba era molto buona e secondo Celestino, che vi trascorse alcune estati, il burro qui prodotto era certamente il migliore che si potesse produrre in Val Sangone” (“Tramié a l’arp”, p.22). 

E se lo diceva Celestino Lussiana, “Celestìń d’Ana”, bisognava crederlo. Ha praticato diversi alpeggi ed ha dedicato l’intera vita ad allevare bestie e fare formaggi e burro. Per chi lo conosceva non serve altro, comunque la sua tenacia ed esperienza è anche stata certificata, nel 2011 dall’Associazione Slow Food, che gli ha dato il “Premio di resistenza casearia”, con questa motivazione:

Un anziano casaro: un punto di riferimento e un custode di un sapere antico trasmesso alle nuove generazioni
Celestino Lussiana – 77 anni, anziano produttore del Presidio del cevrin di Coazze (Piemonte – Italia)
Celestino ha dedicato la vita alla pastorizia e all’allevamento in Val Sangone, a Coazze, e su molti alpeggi della val di Susa e della Val Chisone, preservando la tradizione della produzione del cevrin, un formaggio misto di latte vaccino e caprino, che Slow Food nel 2000  ha tutelato tra i primi Presìdi italiani. Non solo: ha custodito nel tempo, insieme ad altri allevatori locali, una razza bovina antica: la barà. Se oggi sui pascoli della val Sangone, in provincia di Torino, è ancora possibile vedere le vacche bianche con la tipica striscia nera laterale, lo dobbiamo anche a lui e alla sua famiglia. Ai quattro figli Maria, Elda, Aldo e Luigi ha trasmesso la sua arte e la sua passione, e oggi continuano la tradizione famigliare con risultati di eccellenza.”

Celestino Lussiana impegnato nella mungitura delle capre, preziose produttrici del “cevrìń“. Il soprannome “D’Ana” deriva da un’antenata settecentesca, di nome Anna.
Celestìń d’Ana” con la moglie, nel suo habitat naturale

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