La Sacra stella non brilla sulle “ruate”: cosa significa lo stemma di Giaveno?

Il 7 novembre 2005 il Comune di Giaveno è diventato città e la corona civica d’argento del suo stemma è diventata d’oro. A differenza di altri stemmi comunali, l’origine di quello di Giaveno è storicamente documentata con precisione. Lo stemma ufficiale di Giaveno risale al 1614: è del 19 febbraio di quell’anno la concessione da parte dei Duchi di Savoia. Il riconoscimento da parte dei Duchi si era reso necessario a seguito di un editto di Carlo Emanuele I del 1613, che mirava a reprimere l’abuso di stemmi gentilizi, e richiedeva ad ogni Comune di presentare il proprio, con l’attestazione dell’uso comune nel tempo. I documenti giavenesi vennero presentati dall’allora sindaco Giacomo Ruffinatto. Il documento ufficiale, su cartapecora, conservato nell’ufficio del sindaco, si compone di due fogli: su uno è riprodotto lo stemma con i colori concessi, mentre l’altro, denominato “Testimonianza di presentazione dell’Arma con admissione d’essa”, lo descrive come “una stella d’oro di sei raggi in campo azzurro, con le lettere attorno il scudo che dicono Communitas Iaueni” e indica la procedura di concessione, precisando che si tratta di “arma antiquissima”,

Coronando una procedura iniziata nella primavera del 2005 con la richiesta del Consiglio Comunale, il 7 novembre 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha firmato il decreto che attribuisce a Giaveno il titolo di Città. La richiesta era stata ampiamente motivata con una relazione che sottolineava lo sviluppo demografico, il dinamismo economico e la dotazione di servizi di Giaveno.

Disegno dello stemma di Giaveno sul documento di concessione, Nello scritto di accompagnamento “Communitas è scritta con due emme.
Testimonianza di presentazione dell’Arma con admissione d’essa”, la pergamena affianca il disegno dello stemma.

Lo stemma attuale è composto da una stella in oro a sei punte su sfondo azzurro. Il disegno principale è ovale, affiancato dalla scritta “Comunitas Iaveni”, incorniciato da rami d’ulivo e di quercia e sormontato dalla corona muraria. Chiara è la simbologia accessoria, anche perché ricorre in molti stemmi: i rami d’ulivo e di quercia richiamano la pace e la forza e la corona turrita dorata è propria delle città, forse perché in antico cinte di mura (la cinta muraria trecentesca di Giaveno, che avvolgeva l’intero centro storico, sopravvive nelle tre torri di via Roma). Il richiamo alla “Comunitas Iaveni” può suonare come una affermazione di identità in tempi in cui l’abate commendatario della Sacra di San Michele, il famoso Cardinal Maurizio, risiedeva nel Palazzo fatto erigere dagli Abati della Sacra nel cuore del centro storico di Giaveno.

Sul significato della stella d’oro in campo azzurro, Alfredo Gerardi, profondo conoscitore della storia giavenese, si sbilanciava in un’interpretazione suggestiva. Lo storico, sopraffatto dal lirismo e dal campanilismo scriveva:     

“Nell’azzurro intenso dello sfondo è racchiuso il suo cielo, che pare as­sorbirne la ineguagliabile conca smeraldina, e nella aurea stella a sei raggi si identifica l’estendersi delle sue ruate, dilaganti come propaggini della citta­della sull’altopiano e sulle pendici montane irrigate da innumerevoli ruscelli.” (da Giaveno nei suoi monumenti nella sua arte nella leggenda e nei suoi ricordi, pag.35).

Infatti sono sei i sobborghi che il catasto D’Envicis del 1791 elenca accanto al capoluogo, nel primo tomo: Ruata Padovani, Botetto, S. Martino, Buffa, Paschero e Ruata Fasella. Anche la cuspide piramidale originaria del campanile settecentesco di piazza San Lorenzo si componeva di sei facce, forse a richiamare lo stemma.

Ma siccome una stella d’oro a sei punte in campo azzurro era lo stemma degli abati della Sacra di San Michele e la stessa stella campeggia anche nella parte alta dello stemma del Comune di Chiusa San Michele, l’ipotesi più convincente è che lo stemma di Giaveno riporti semplicemente l’emblema del suo feudatario, l’abate della Sacra di San Michele. La scritta “Comunitas Iaveni” servirebbe quindi a distinguere Giaveno dagli altri paesi che dipendevano dall’abbazia sul Pirchiriano.

La mitra e il pastorale velato sono i simboli di un abate “mitrato”, cioè che gestisce chiese e territori come se fosse un vescovo, ma con dignità minore.
Stemma di Chiusa San MIchele, la corona d’argento è propria dei comuni, le mura sotto la stella abbaziale ricordano lo sbarramento longobardo che Carlo Magno aggirò nel 774.

Il feudo dell’abate si estendeva dal Colombardo alla Colletta di Cumiana, comprendendo la valle della Dora riparia da Avigliana a Susa e tutta la Val Sangone. Non solo, ma l’Abbazia della Chiusa giunse ad avere decine di possedimenti, da Gerona in Spagna a Manfredonia in Puglia, ma soprattutto nella Francia meridionale e nel nord Italia. Il suo abate era quindi un Abate mitriato (o mitrato), perché a capo di una abbazia territoriale (abbatia nullius dioeceseos), cioè un’abbazia che oltre a governare i suoi monaci aveva  su un territorio una giurisdizione in tutto simile nel diritto ecclesiastico a quella di una diocesi. Gli era  concesso di portare i segni episcopali della mitra, della croce pettorale, del baculo pastorale e dell’anello. Infatti nello stemma della Sacra di San Michele lo scudo con stella d’oro in campo azzurro è ornato dalla mitra e dal pastorale, da cui pende un velo, ad indicare che la carica è inferiore al vescovado.

In giallo il feudo della Abbazia di San Michele della Chiusa, mappa tratta da “La sacra di San Michele in Val di Susa” di Giovanni Gaddo, rielaborazione ScuolaGuido.
Giovanni Gaddo pubblicò nel 1977 una accurata storia della sacra di San Michele della Chiusa, accompagnata da una dettagliata guida alle opere d’arte ivi custodite.
I possedimenti della Abbazia di San Michele della Chiusa, mappa tratta da “La sacra di San Michele in Val di Susa” di Giovanni Gaddo, rielaborazione ScuolaGuido.

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