La fortuna di chiamarsi Versino e di vivere cent’anni.

Se hai vissuto cento anni, attraversato una guerra, battezzato una banda musicale, fatto da modello a un pittore, lavorato tanto e costruito una casa … ne hai di cose da raccontare.

Giovanni Versino ha compiuto 100 anni il 25 luglio scorso, ma nel 2019 lo abbiamo invitato a parlare ai ragazzi delle scuole elementari partecipanti a un Progetto Ministeriale sulla memoria storica perché, anche se ora abita in borgata Villa, era nato alla Sala, in via Coste e li era vissuto fino al dopoguerra. E’ stato un incontro molto interessante, non solo per la lucidità con cui ha ricostruito la sua vita, la sua infanzia, la sua prigionia in guerra, la sua passione per la musica, ma anche perché ha condito la storia con tanti aneddoti e curiosità. Storie di borgata, di marachelle e di caramelle, di carri tirati dalle mucche e negozi scomparsi. Tanto spazio all’esperienza di guerra, in Sicilia, dove si è arreso agli Americani sbarcati in forze agitando un paio di mutande, l’unica cosa bianca sottomano. Poi l’Algeria e la Normandia, come autista degli Alleati, prima di tornare a casa e riprendere la sua passione per il clarinetto e per la musica, che nell’intervista abbiamo un po’ trascurato, perché l’intento era di ricostruire, grazie alla sua testimonianza, come era la borgata Sala decine di anni fa.

Giovanni Versino, nato a borgata Sala il 25 luglio 1922.

La fortuna di chiamarsi Versino

Sintesi della intervista a Giovanni Versino, rilasciata agli alunni partecipanti al PON “Scopri chi sei”, nel giugno 2019. Per chi fosse interessato è disponibile la registrazione audio, molto più articolata.

La copertina e il frontespizio del libro sulla Borgata Sala, com’era e com’è, redatto a conclusione del Progetto PON dell’I.C. Gonin “Scopri chi sei”, coordinato dalla maestra Patrizia Motta.

“Ho novantasette anni , sono nato qui alla Sala, a “can du Ciri”, con una sorella gemella mancata quattro  anni fa. Mio padre, tornato ferito dalla Grande guerra dove erano morti i suoi due fratelli, faceva il contadino.  Era una piccola cascina, con stalla e fienile. Dormivamo al freddo, a volte d’inverno dovevamo rompere il ghiaccio nella catinella per lavarci. Eravamo sei fratelli e per mantenerci mio padre oltre che il contadino  faceva il muratore e d’estate i mattoni alla fornace di Villanova.

Qui alla Sala quasi tutte le famiglie avevano le mucche o una capretta, noi ne tenevamo 3 o 4, oltre a galline e conigli. Quand’ero in terza elementare andavo già al pascolo, più avanti ho cominciato ad aiutare mio padre che faceva anche un po’ il giardiniere, lui non voleva che andassi a Torino a lavorare. Avevamo un carro trainato dalle mucche, non avevamo il cavallo perché sarebbe stato un peso morto, invece le mucche si mungono. 

Ho fatto l’asilo e le tre classi elementari qui alla Sala, il presidente dell’Opera Pia era il pittore Ughetti  e mi ha scelto per un ritratto, ho posato per lui diversi giorni, mi dava le caramelle. Però avrebbe potuto almeno farlo vedere ai miei genitori, che mi lavavano e pulivano e cambiavano il vestito perché facessi bella figura, invece niente. Poi sono andato a Giaveno a fare quarta e quinta. Andavamo a piedi, due volte al giorno, a mezzogiorno avevamo solo tempo di fare il giro attorno al tavolo. Eravamo 55 in classe col maestro Poletti, compresi quelli del Pacchiotti, che allora, sotto il fascismo, ospitava i figli dei lavoratori all’estero. Qui alla Sala c’erano le suore, suor Amelia era terribile. Ricordo che durante una festa scolastica avrei dovuto ballare con mia sorella Maria, ma ho fatto ballare una compagna che mi piaceva e la suora mi ha fatto stare tutta la mattina con le mani sulla testa per scontare “il peccato”. C’era l’albo d’onore, sovente c’era scritto il mio nome, ma dopo questo mi hanno cancellato. Nel cortile dell’asilo c’erano il selciato e tre palme. La caldaia era a legna, portare la legna dal deposito per alimentarla era un premio per i più bravi.

Si giocava con la trottola, “la sàtula”, ma non a scuola perché era pericolosa per il rampone di ferro. Si metteva la moneta e bisognava colpirla, ma non era mica facile. La prima bici me la sono guadagnata partecipando allo scavo della casa di mia sorella sposa a San Bernardino.

Mentre abitavo a Sala è cambiato poco, dopo la guerra molto. Negli Anni Trenta ho visto decorare la parrocchiale, il parroco era bravo, aveva la perpetua Lucia “Lusiìŋ”.

Noi giovani ci trovavamo sulla piazzetta della Sala,  ci divertivamo chiacchierando e d’estate facevamo i “ciairìŋ”, con la candela nella zucca.

C’era il “tabachìŋ”, il panettiere, alcuni negozietti e due fabbri, uno Cesare Daghero è stato sindaco subito dopo la guerra. La trattoria era ai Lussiatti, si giocava a carte e ci si scaldava con un bidone di segatura in lenta combustione. 

Mi sono fatto tutta la Seconda guerra mondiale. Per fortuna, chiamandomi Versino, ho scampato la chiamata alfabetica per la Russia. Ero artigliere guardiacoste in Sicilia, a Licata, la notte che sono sbarcati gli Americani. Ho contato 200 navi, noi ci stavamo spostando e non abbiamo sparato neanche un colpo, credo per un tacito accordo.  Dopo lo sbarco abbiamo cercato di nasconderci, ma gli americani ci hanno catturato e ammassato in un campo di concentramento. Ci hanno fatto la doccia col DDT per debellare i pidocchi e poi imbarcati per l’America, ma nel frattempo c’è stato l’armistizio dell’8 settembre e ci hanno portato ad Orano, in Algeria. Per il resto della prigionia ho fatto l’autista per gli alleati, prima in Africa e poi in Francia, dopo lo sbarco in Normandia.

Sono stato liberato il 25 settembre 1945. Tornato dalla prigionia ho cominciato a costruire la casa nuova in borgata Villa,  dove abito adesso.”

80 anni di clarinetto

La passione di una vita è stata la musica e in particolare il clarinetto. Ha cominciato nel 1938 per riprendere subito dopo la guerra e proseguire per 80 anni fino al novembre del 2018, quando, a 95 anni, ha dovuto smettere. Ha lasciato però un seme fecondo e la famiglia prosegue nell’impegno musicale.

Ha suonato il clarinetto per 80 anni.
Giovanni Versino festeggiato dal Sindaco e dai familiari per il suo 100° compleanno.
Alberto Tessa nel novembre del 2018 ha ben tratteggiato su “La Valsusa” la vita e la passione per la musica di Giovanni Versino.
Giovanni Versino, in prima fila a destra, suona con la Banda Musicale Comunale nel Santuario del Selvaggio.

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