Colori e spade brillano sempre uguali sotto il cielo di Venaus

Il cielo azzurro di questo inverno troppo secco accende i colori del costume variopinto degli spadonari di Venaus. Guizza il sole sulle lame lucenti, brilla il manto dorato di San Biagio, il vento del Moncenisio che spesso disturba il volteggiare di spade è assente. Un clima perfetto per il ritorno alla normalità della festa patronale di Venaus, vittima come tante delle limitazioni della pandemia e rinata in questa domenica di sole del 5 febbraio 2023, Ottava del Santo.

Una tradizione che affonda le radici nelle feste pagane propiziatorie per la fertilità dei campi e la ripresa della vita dopo la pausa invernale. “Februarius” era il mese della purificazione, le feste “Lupercalia” celebravano la fecondità e la protezione del bestiame, davano adito ad atteggiamenti smodati che sarebbero all’origine del nostro Carnevale. Ma i costumi variopinti di Venaus (come quelli di Giaglione) non hanno nulla di carnevalesco, sono forse l’eco di antichi riti pagani, ma la Chiesa vi sovrappose la festa della Candelora, purificazione di Maria e presentazione al Tempio a 40 giorni dal Natale di Gesù, “luce per illuminare le genti”.  Una tradizione pagana che il cristianesimo ha adattato ai propri riti.

I due spadeggiatori di cui nell’annesso quadro, sono propriamente di Venaus. … Sono due o più uomini del contado, appositamente scelti ed ammaestrati, i quali indossate non so quali strane e miste assise del medio evo, e stretti certi enormi spadoni, procedono in capo alla comitiva, ballando una specie di moresca, o danza pirrica, piena di inusati salti e rivolgimenti, ed intramezzata da finte battaglie ed incrocicchiamenti di spade, i quali se riescono curiosissimi a vedersi, male però potrebbero con parole significarsi.

Noi assistemmo, in fatti, a tale singolarissimo festeggiamento l’anno ultimo (1842) (resoconto del Cav. Baratta).

La danza delle Spade in Val di Susa è un rituale che ha interessato noti studiosi del folclore. Il Toschi, che ha dedicato particolare attenzione alle feste, nell’analizzare le danze armate, colloca quella di Venaus tra quelle di “carattere arcaico e spiccatamente agreste”, dove si riconoscono elementi propiziatori atti a favorire una buona annata per i campi. Lo stesso S. Biagio, patrono di Venaus, viene riconosciuto da questo autore come santo “il cui culto è legato alla religiosità popolare delle classi rurali”; anche il copricapo floreale degli spadonari “ci ricorda il costume del maggio o del re di maggio e figure analoghe”. A sua volta B. M. Galanti nel saggio “La danza delle spade in Italia” inserisce le esecuzioni degli spadonari di Venaus fra le danze classificate a contenuto o a carattere religioso. Piercarlo Grimaldi in “Festa e lavoro nella montagna torinese e a Torino”, riporta che “nella coscienza popolare tale cerimonia ha assunto nei tempi vari significati; gli stessi spadonari riferiscono che la danza rappresenterebbe il martirio di S. Biagio e che ad esempio, quando portano le spade a toccare il tacco della scarpa, ciò servirebbe a pulire la lama dalla carne del santo martirizzato.

Sulle figure delle danze è utile rifarsi alla già ricordata descrizione di G. Vidossi del 1936: ‘La danza ha un andamento sostenuto, composto; ed  è povera di figure. Comincia con lo schieramento dei quattro spadonari in fila di fronte. La spada è impugnata, in questo primo momento, con la sinistra, la punta volta in su, in atteggiamento quasi di saluto. Dalla fila di fronte si possono svolgere tre figure, o meglio varianti di figura, perché non v’è tra loro né ordine né legame. E le tre varianti risultano dal modo come gli spadonari, per evoluzione dalla fila di fronte, si dispongono a coppie: una coppia dietro l’altra; una accanto all’altra; le due coppie in croce, cioè formando quadrato. Nella coppia i due spadonari sono, s’intende, opposti l’uno all’altro come per un assalto di scherma. I passi delle evoluzioni si eseguiscono saltellando. I movimenti con gli spadoni sono quattro o cinque: levar la spada, a due mani, con l’impugnatura all’altezza della faccia e imprimerle un movimento di oscillazione; eseguire dei colpi di taglio in basso; battere lo spadone contro quello dell’avversario; gettare la spada in aria per riafferrarla; scambiarla, gettandola in questo modo, con la spada dell’avversario’.

Il famoso articolo di G. Vidossi sulla rivista Lares, 1936.

Gli spadonari intervistati spiegano che le danze sono quattro e si suddividono in: punta, quadri, cuore e assalto. Giovanni Caffo, spadonaro di 41 anni, di professione cantoniere, informa che le danze dette punta e quadri servono per eseguire il saluto: ‘gli spadonari avanzando e indietreggiando si inchinano verso la gente’. Adolfo Marcellino di 58 anni, operaio, spadonaro dal 1948, ha smesso di danzare circa dodici anni fa, e attualmente sostituisce ancora qualche collega spadonaro che non può partecipare alla cerimonia. Descrivendo le danze dette cuore e salto sostiene che sono ‘figure più allegoriche, di vittoria, per festeggiare’. Ricorda inoltre che quando gli spadonari camminano danzando durante i trasferimenti si eseguono due tipi di marce: ‘ Battendo le spade si fa intendere che si va a combattere, ad eseguire il martirio o qualcosa del genere, mentre quando si esegue la punta bassa si vuole dire che tutto è finito’.

Barbero Vincenzo, Caffo Giovanni, Armando Massimo, Caffo Siro, spadonari del 1979.
Caffo Emanuele, Chiabaudo  Enzo, Armando Enrico, Caffo Stefano, spadonari del 2023.

Anche se l’origine è pagana ed evocatrice di riti di fecondità e rinascita primaverile, una lunga tradizione ha trasformato gli spadonari in una sorta di guardia d’onore dei santi patroni. In processione due precedono e due seguono le statue di Sant’Agata e San Biagio, in chiesa dopo l’inchino all’altare si collocano ai quattro lati del presbiterio, in posizione di riposo durante la messa e genuflessi all’Eucarestia. Integrati nei riti cristiani gli spadonari sono sopravvissuti ai secoli, perché non sono folklore, ma memoria condivisa che cementa una comunità.

All’entrata e all’uscita dalla chiesa gli spadonari s’inchinano davanti all’altare.
Nella processione gli spadonari aprono e chiudono la sezione religiosa, due davanti e due dietro le statue dei santi patroni Biagio e Agata.

Come le spade che passano di padre in figlio, la ritualità della festa passa di generazione in generazione, per questo due feste distanti quasi mezzo secolo sembrano uguali, per questo la chiesa e la piazza sono gremite, per questo giovani coscritti e anziani confratelli percorrono da secoli lo stesso anello processionale.

Una dettagliata descrizione della festa, fatta da Piercarlo Grimaldi nel 1979 è riportata nel libro “Festa e lavoro nella montagna torinese e a Torino“, L’arciere, 1981. Affiancandola alla composizione della processione del 2023 ho evidenziato le molte similitudini e le diversità. Sfogliando il documento sottostante il raffronto è ancora più puntuale e arricchito dai nomi dei principali partecipanti alla processione del 5 febbraio 2023.

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