Donno e Cozio, gli Asterix delle Alpi

Asterix e Obelix, grazie alla pozione magica del druido Panoramix, respingono le legioni di Cesare e il loro villaggio bretone è un’enclave indipendente nel territorio controllato dai Romani. Vicende fantasiose che accarezzano il revanscismo francese e che l’umorismo di René Goscinny e il bel tratto grafico di Uderzo hanno reso popolari nel mondo.

Asterix con Obelix e il cagnolino Idefix

La dinastia dei Cozii è meno nota, ma è una realtà. Senza magie, ma grazie alla diplomazia e al rispetto conquistato, mantenne a lungo l’autonomia e per qualche tempo anche l’indipendenza dall’espansionismo che spingeva Roma a conquistare una provincia dopo l’altra, dall’Atlantico all’Asia Minore.

La fantasia di Placido Bacco, senza supporto documentale, fa risalire alle guerre puniche la dinastia ed elenca con precisione di nomi e date i re che si susseguirono, regnando sulle nostre vallate alpine da Avigliana al Lionese, con capitale a Susa. Gli storici non lo considerano attendibile.

Il primo impatto documentato tra le tribù alpine e l’esercito romano lo troviamo in un breve accenno nel diario di Giulio Cesare sulla conquista della Gallia Transalpina. Il condottiero registra il passaggio dal Monginevro nel “De bello gallico”, col suo stile limpido e conciso:

“… ipse in Italiam magnis itineribus contendit duasque ibi legiones conscribit et tres, quae circum Aquileiam hiemabant, ex hibernis educit et, qua proximum iter in ulteriorem Galliam per Alpes erat, cum his quinque legionibus ire contendit. Ibi Ceutrones et Graioceli et Caturiges, locis superioribus occupatis, itinere exercitum prohibere conantur. Conpluribus his proeliis pulsis ab Ocelo, quod est citerioris provinciae extremum, in fines Vocontiorum ulterioris provinciae die septimo pervenit; …”. (De Bello Gallico, I, 10)

Traduzione: Egli giunge in Italia, dove arruola due legioni e ne mobilita altre tre, che svernavano nei pressi di Aquileia. Con le cinque legioni si dirige nella Gallia transalpina per la via più breve, attraverso le Alpi. Qui i Ceutroni, i Graioceli e i Caturigi, appostatisi sulle alture, tentano di sbarrare la strada al nostro esercito. Respinti questi popoli in una serie di scontri, da Ocelum, la più lontana città della Gallia cisalpina, Cesare dopo sei giorni di marcia giunge nel territorio dei Voconzi, nella Gallia transalpina.

L‘ubicazione di questo villaggio, “Ocelo”, che Cesare denomina come ultimo della Gallia Cisalpina, è stata molto controversa ed ha dato luogo nel tempo alle più disparate ipotesi. Gli itinerari romani sono pero concordi nell’indicare la sua posizione alcune miglia ad Ovest dalla stazione di “Ad Fines” (Malano di Avigliana), probabilmente nella piana di Caprie. Questo luogo è confermato, inoltre, da numerosi viaggiatori dei primi secoli dopo Cristo e dal fatto che esso è uno dei pochi in questa zona della valle cosi ampio da permettere la sosta delle cinque legioni di Cesare, circa trentamila soldati.

Donno e Caio Giulio Cesare trovano un accordo

 La breve durata della traversata, sette giorni, induce ad un’altra considerazione. Sono pochi per un esercito che deve andare a piedi da Condove a Gap, percorrendo strade sconnesse in pianura e poi impervi sentieri fino ai 1854 metri del Monginevro. È chiaro quindi che Cesare e le sue truppe lungo il percorso non incontrarono veri ostacoli oltre a quelli naturali. Da ciò si può supporre che i ricordati scontri con i Ceutroni, i Graioceli ed i Caturigi, più che vere battaglie, siano state azioni di guerriglia, che ben poco disturbarono la marcia. I Graioceli abitavano le Valli di Lanzo, i Ceutroni la Tarantasia ed i Caturigi la Valle della Durance. I loro attacchi quindi furono portati all’inizio ed alla fine della traversata, fuori dai punti critici in cui un attacco in forze avrebbe potuto ostacolare seriamente, od addirittura bloccare, la marcia delle legioni. Cesare ebbe praticamente via libera e ciò può essere spiegato solo con l’esistenza di un patto di non aggressione tra il comandante romano e colui che guidava le tribù galliche, che, unite in una confederazione, costituivano un piccolo regno, posto proprio nei luoghi in cui doveva passare l’esercito romano. Nessuno storico dell’antichità ha riferito notizie precise in merito, ma Cesare sapeva senza dubbio di dover superare, prima di raggiungere la sommità del suo percorso, un grande villaggio: Segusio (Susa), ed un luogo fortificato: Excingomagus (Exilles), e che la strada da percorrere si prestava in numerosi punti alle imboscate. Sapeva anche che gli abitanti delle valli erano montanari forti e bellicosi, che avrebbero potuto dar filo da torcere alle sue legioni. Essi erano suddivisi in numerose tribù riunite però in un unico regno il cui sovrano, Donno, aveva fama di essere valoroso e nel contempo prudente. Cesare era inoltre a conoscenza che le terre di questo regno non avevano per Roma particolare interesse. Non avevano ricchezze minerarie come i vicini Salassi, in Val d’Aosta, ed i loro abitanti vivevano esclusivamente di pastorizia, agricoltura e piccoli commerci. Tutta la loro importanza risiedeva nei fatto che esse erano poste lungo una delle vie più rapide ed agevoli per passare dalla Gallia Cisalpina a quella Transalpina. Cesare quindi non si pose come obiettivo immediato la conquista di questi luoghi, ma quello più pratico di ottenere libertà e sicurezza di passaggio; ed egli, giustamente, reputava che questo scopo fosse più facile da raggiungere con un trattato di amicizia che con la forza. In questo senso decise di agire. Anche in campo avverso il ricorso alle armi era considerato l’ultima carta da giocare. Donno doveva conoscere l’entità delle forze romane e delle imprese già portate a termine da Cesare negli anni precedenti, e si rendeva perfettamente conto di non poter opporsi a lungo con la forza alle legioni di Roma. II suo problema, pertanto, consisteva non nel fermare e vincere le legioni nemiche, ma nel far si che esse transitassero rapidamente sulle sue terre, recando il minor danno possibile. Le intenzioni dei due comandanti erano quindi convergenti e l’accordo fu la logica conclusione di queste premesse. Potremmo schematizzare così l’intesa: Roma considerava amico ed alleato il Re Donno, al quale confermava la sovranità sulle genti che, per antica tradizione, lo riconoscevano quale capo. Si impegnava ad offrirgli aiuto militare, se mai ne avesse avuta necessità, e a rispettare i confini dei suo regno. in cambio di ciò Donno doveva concedere libero passaggio alle truppe di Roma lungo le vie che permettevano di valicare le Alpi, ed inoltre doveva impegnarsi a riattare e migliorare queste strade. A questo scopo, probabilmente, Cesare lasciò a Susa alcuni dei suoi tecnici stradali e forse Donno fornì un certo numero di guide. Così si spiegherebbe il transito rapido e tranquillo delle legioni romane nei territori controllati da Donno, che dalla Valle di Susa arrivavano fino a Gap. (liberamente tratto da Il regno dei Cozii, una dinastia alpina di 2000 anni fa, di Pierangelo Lomagno, Priuli & Verlucca, 1991).

Il Regno dei Cozii si estendeva da Ocelum, a ovest di Avigliana, fino a Vapincum (Gap). Controllavano 14 tribù, elencate sull’Arco di Susa. La Via delle Gallie venne costruita sotto Augusto e probabilmente completata nel 5 a.C. da Cozio I, che lo storico romano Ammiano Marcellino definisce “costruttore di strade”. Sulla base della mappa di Google Earth i confini e la via delle Galli sono tracciati in base alle deduzioni di Pierangelo Lomagno in “Il regno dei Cozii“, Priuli e Verlucca, 1991.

L’arco di Susa celebra l’intesa tra Cozio I e Augusto

I buoni rapporti tra la dinastia dei Cozii e i Romani superarono indenni le turbolenze delle guerre civili conseguenti all’uccisione di Giulio Cesare. Quando Cesare Ottaviano Augusto lanciò un’offensiva per estendere il controllo romano su tutta la cerchia delle Alpi, dalle Marittime alle Carniche, le “civitates cottianae” furono tra le ultime e, comunque, le uniche popolazioni alpine a patteggiare una composizione amichevole con lo stato romano.

Per la prima volta un re indigeno venne trasformato, presumibilmente per effetto di un foedus (cioè di un trattato), in un funzionario romano e conservò il controllo sui propri sudditi (cui venne accordato lo “ius latii”) a prezzo di un’integrale mimetizzazione nelle strutture dello stato egemone. Fu questo, di conseguenza, il momento in cui tra le civitates cottianae e il mondo romano si instaurò un rapido processo acculturativo. Il re Cozio, nel breve volgere di non più di un quinquennio, acquistò la cittadinanza romana e mutò il suo nome dalla tradizionale idionimia indigena (probabilmente Cottos) alla polionimia latina trimembre, assumendo il prenome [Marcus) di Agrippa e il gentilizio (lulius) di Augusto, in ossequio alle due figure istituzionalmente più rappresentative dello stato romano; fu quindi assunto nel ceto equestre ed ostentò tale appartenenza, assegnando alle divinità protettrici dell’Orbo, i Dioscuri, una posizione di spicco nella decorazione dell’arco di Susa; abbandonò infine la sua qualifica regale per rivestire la carica e il titolo, vitalizio ed ereditario, di prefetto di cui esibì le insegne di comando, costituite da fasci e scuri; si trasformò dunque dal “Cottus rex” della dedica di un suo liberto al “M(arcus) Iulius regis Donni f(ilius) Cottius praefectus civitatium” dell’iscrizione dell’arco onorario, eretto in Segusium a sancire l’accordo. I suoi figli e discendenti collaborarono con il padre ad un organico progetto di edilizia celebrativa che comportò l’importazione di statue marmoree e bronzee dalle migliori officine dell’Urbe; elevarono nello spazio pubblico del foro un heroon in onore del padre Donno, destinato, secondo l’uso romano, ad enfatizzarne il ruolo ecistico; si fecero inoltre promotori di iniziative evergetiche nella confinante colonia taurinense dove, a proprie spese, abbellirono e completarono l’erigendo teatro. I nipoti di Cozio militarono poi nelle file dell’esercito romano con responsabilità di comando, come quel Vestalis,  “giovane nato da re alpini” , “progenie fortissima dell’alto Donno”, cui si indirizza un’elegia pontica di Ovidio e si avviarono, come Julia Cottia, ad imparentarsi con esponenti di spicco dell’élite etruscoitalica come i Vestrici Spurinna. Un modo per dimostrare la loro autentica omologazione nelle strutture della società romana”. (da “Segusio e il processo d’integrazione nella romanità” di Giovannella Cresci Marrone, in “Segusium”, 1994).

6 dei 14 popoli citati sull’arco di Susa, inaugurato nell’8 a.C. probabilmente alla presenza di Augusto, sono inclusi tra i 44 popoli sconfitti dall’imperatore nel 15-14 a.C. e riportati sul Trofeo delle Alpi eretto a La Turbie nel 6 a:C. Potrebbero quindi essere stati aggregati al Regno di Cozio in occasione del trattato celebrato dall’arco segusino.

L’Arco di Susa in una stampa settecentesca (Salmon, 1751). Era alto 14,35 metri e largo 12. Rivestito in marmo di Foresto, Nel bassorilievo che corre sui 4 lati sono rappresentate delle cerimonie sacrificali. Al di sopra l’iscrizione ricordava il patto tra Ottaviano Augusto e Cozio I e i 14 popoli a quest’ultimo affidati: Segovii: capoluogo Goesao (Cesana Torinese); Segusini: capoluogo Segusio (Susa); Belaci: capoluogo Bedalarius (Beaulard); Caturigi: capoluogo Caturigomagus (Chorges);
Medulli: capoluogo Mansio ad Mutatio (Modane); Tebavii (Val d’Ubaye); Adanates: Seyne (bassa Durance); Savincates: capoluogo Savingomagus (Savine le Lac); Ectinii e Veamini (Val Tinee); Venisani (Val Guisane presso Briançon); Iemerii (Val Chisone); Vesubiani (Val Vesubie); Quadiati (Val Queyras). Alcune collocazioni sono controverse.
Ricostruzione virtuale del Trofeo delle Alpi, imponente, era alto 50 metri e recava un’iscrizione con l’elenco di tutte le popolazioni alpine sconfitte dall’imperatore in una serie di campagne militari dal 26 al 14 a.C.
Ciò che resta oggi del monumento commemorativo della vittoria di Cesare Ottaviano Augusto sulle popolazioni alpine ancora autonome.

Cozio II, l’ultimo re

Nel rapporto tra i Cozii e i Romani la svolta più clamorosa avvenne sotto l’imperatore Claudio. Reduce dalla spedizione di conquista della Britannia, nel 44 d.C. restituisce a Cozio II il titolo di re e trasforma la provincia in un Regno alleato, restituendogli i territori toltigli da Augusto. Non si sa quale merito ebbero i Cozii per ottenere tutto questo, sicuramente Claudio, nato a Lione, aveva un occhio di riguardo per queste terre. Infatti qualche anno dopo estese la cittadinanza romana a tutta la Gallia Transalpina. Cozio II regna per circa vent’anni, alla sua morte senza eredi l’imperatore Nerone trasforma il regno nella provincia delle “Alpes Cottiae”. Così Svetonio riferisce il fatto ” Duae tamen provinciae sub eo (Nerone) factae sunt, Pontus Polemoniacus, concedente rege Polemone, et Alpes Cottiae, Cottio rege defuncto.

Nel 63 d.C. con l’ultimo dei Cozii muore anche il Regno Alpino. Senza pozioni magiche, ma con saggezza e diplomazia era sopravvissuto all’invadenza romana. A lungo rimase la fama di questi re saggi e pacifici, custodi della via delle Gallie, e in particolare di Cozio I. Lo storico Ammiano Marcellino nel 355 d.C., passando per Susa, rimase colpito dal vivo ricordo che la popolazione aveva ancora dell’antico sovrano e così ne parla “… la tomba di questo piccolo Re, costruttore di strade, si trova a Susa vicino alle mura ed i suoi Mani sono venerati sia perché governò il suo popolo con giustizia sia perché tramite la sua alleanza con Roma assicurò una lunga pace.”

La tomba monumentale di Re Cozio I in una fantasiosa ricostruzione ottocentesca. Il monumento era ancora visibile nel 1600, come testimoniato da alcuni viaggiatori. Re Cozio I per la sua saggezza e lungimiranza venne venerato come una sorta di divinità e la sua tomba fu oggetto di Culto fino al IV secolo d.C. I governatori Romani intitolarono in suo onore la prefettura su cui lui ed i suoi successori avevano regnato: Praefectura Alpis Cottiarum, da cui derivò il toponimo che ancora identifica il tratto delle Alpi che va dal Monviso al Rocciamelone. 

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