Verso l’8 marzo – “Dico soltanto che era difficile essere donna”

Da l”Anello forte” di Nuto Revelli vi propongo la testimonianza di Agostina (classe 1932),  che mi ha colpito perché non si riferisce ai primi del Novecento, lei appartiene alla generazione dei miei genitori, che avevano un rapporto del tutto diverso per fortuna. Qui affiora la realtà contadina del Cuneese che era più conservatrice. Non c’è più la miseria e la fame, chi parla ha ormai un’altra sensibilità, altre esigenze e un linguaggio più esplicito. Giovanni Verga direbbe che Agostina ha superato la fase in cui la lotta per il pane quotidiano assorbe tutte le forze, vorrebbe un po’ d’affetto e un po’ di considerazione. Non una promozione economica o sociale, come i suoi personaggi siciliani, ma almeno poter affrontare “la fiumana del progresso” abbracciata ad un uomo che le vuole bene e la capisce. Sono noti il fatalismo e il pessimismo di Verga, che non a caso ha definito i suoi romanzi “Ciclo dei Vinti”, e non a caso Nuto Revelli ha chiamato “mondo dei vinti” quello della campagna e della montagna cuneese. Dedicando poi un altro ciclo di interviste a chi tra i vinti era più vinto ancora, le donne, anello forte in una catena di tribolazioni, in prima linea nella lotta per la sopravvivenza.

Dico soltanto che era difficile essere donna

Agostina, nata nel 1932, intervistata nel 1979. 

Ero così in soggezione che non osavo nemmeno guardarlo negli occhi. Parlava sempre l’uomo, non potevi mai fare un discorso tuo, lui ti  faceva proprio sentire inferiore. E ti imponeva l’atto sessuale. Tu subivi, non raggiungevi l’orgasmo, ah no no, non sapevi nemmeno che cosa voleva dire l’orgasmo. Tutto in  fretta, e speravi soltanto di non restare incinta. Non per niente ho atteso la menopausa come una liberazione. Ho avuto cinque figli. Ah, l’inverno era un disastro, un  uragano continuo. Gli uomini facevano solo quello, bere e fare quello. Poi con la primavera venivano i lavori e noi  donne con tanto di pancia a lavorare dal mattino alla sera e di notte a cullare: l’uomo aveva il letto sul fienile, si perché se no i bambini lo svegliavano. Io avevo una culla per parte, e se un bambino si svegliava e faceva «Eh»  anche l’altro si svegliava e si metteva a strillare. Non dormivo tre  ore per notte. Al mattino mi alzavo con il buio a mungere, e l’uomo poi partiva con la falce a spalla e se ne andava a fare il fieno, sembrava un signore, tanto era soddisfatto. […]. Mai una parola gentile, mai una carezza, mai quelle piccolezze lì, mai a chiedermi se ero stanca… Perché la donna di montagna lavora il doppio dell’uomo. E la suocera  con un occhio spalancato che ti controlla sempre, e  il suocero anche, e la cognata che a forza di subire diventa lei muta, acida. Allora arrivi al punto che ti abitui anche così, anche se soffri ti abitui, e l’affetto che ti sei represso lo riversi tutto lì, sul primo figlio, e poi sugli altri. Si si, io ho abbassato la testa per amore dei figli. […]. Io sono sempre rimasta qui, mio marito non ha voluto cercarsi  un lavoro in fabbrica. Io vivo come vivo, ma almeno i miei figli sono usciti da questo ambiente chiuso. […]  Anche se fossi scesa in pianura sarei rimasta la donna che sono, perché non riesci a modificarti, nel tuo intimo rimani sempre la donna di montagna, rassegnata, sacrificata, più vittima che padrona di te stessa. Nasci e cresci così, sempre pronta ad ubbidire, a subire.

Il secondo libro di testimonianze di vita contadina Nuto Revelli l’ha dedicato alle donne, raccogliendovi oltre un centinaio di interviste, scelte tra le 260 effettuate in sei anni di ricerca. Alla trascrizione e al loro riordino ha dedicato due anni.

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