Ultimi a morire – Ultimi a sapere

Come Dorando Pietri caduto a pochi metri dal traguardo e dalla medaglia d’oro nella maratona delle Olimpiadi di Londra del 1908, vi furono 5 partigiani della Val Sangone che morirono l’ultimo giorno di combattimenti, il 27 aprile del 1945, all’ombra del campanile di Santa Rita durante la liberazione di Torino. Felice Versino, figlio di Giuseppe e di Olga Guglielmino, era di Borgata Prialli, Forno di Coazze, e aveva 24 anni. Con lui “Edo” Dabbene, fiorentino, e   Salvatore Mastromauro, barese, entrambi ventenni. Lorenzo Fornera, torinese, di anni ne aveva quaranta. Hans Herger detto Jenda, aveva 35 anni ed era cecoslovacco. Tutti appartenenti alla brigata “Sandro Magnone”, che  al comando di Giuseppe Falzone è stata la prima a entrare in città puntando sulla zona di Santa Rita.  

Verso le 14 una colonna di autoblinde tedesche che avanza in direzione opposta verso la Fiat Mirafiori intercetta il gruppo proprio all’altezza della chiesa: il conflitto è violento, cadono cinque partigiani e altrettanti sono i feriti, ma i nemici si ritirano. Sopravvissuti a mesi di stenti in montagna, a rastrellamenti e rappresaglie, i cinque giovani sono fermati dal destino alla soglia della vittoria finale, che nel giro di poche ore si distende su Torino.

Le brigate di Nino Criscuolo e di Guido Quazza entrano alla Fiat Mirafiori unendosi alle formazioni operaie interne; le brigate di Franco Nicoletta e di Ugo Giai Merlera occupano invece il Lingotto.  A sua volta la «Carlo Carli», dopo uno scontro a fuoco a Grugliasco con una pattuglia tedesca, entra all’Aeronautica catturandone il presidio.  Dappertutto vi sono scambi intensi di fucileria con pattuglie di repubblicani costrette a ritirarsi e il 28 aprile la liberazione di Torino è completa.  Gli uomini di Falzone entrano nella caserma Monte Grappa, abbandonata dalla Decima Mas, quelli di Usseglio nella Casa Littoria di Piazza Carlo Alberto, ribattezzandola «Palazzo Campana»: quelli di Quazza, Criscuolo e Franco Nicoletta rastrellano la zona fra Corso Orbassano e corso Stupinigi, la «Carlo Carli» controlla il punto strategico dell’Aeronautica, a stretto contatto delle truppe tedesche in ritirata. Cinque anni di guerra sono giunti cosi all’epilogo. I cinque di Santa Rita non hanno potuto vedere il frutto dei loro 600 giorni di sacrifici e di lotta. Poi la tragedia si è trasferita sui loro familiari. Anna Guglielmino ha rievocato tramite Angiolina, la sorella di Felice Versino, il modo drammatico in cui è giunta ai familiari la tremenda notizia. Potete leggere l’intero articolo “Il partigiano Felice Versino” sul libro D’amore, di Resistenza e d’altre storie.

Ultima a sapere, la famiglia

“Il 27 aprile 2015, come facevo di tanto in tanto, andai a trovare la sorella di Felice, Angiolina classe 1925 purtroppo mancata il primo febbraio 2016, era una donna forte e solare, discorrere con lei era un vero piacere. Quel giorno mi venne in mente che erano trascorsi esattamente 70 anni dall’uccisione di suo fratello. Glielo ricordai e lei cambiò immediatamente espressione…il suo volto, sempre sorridente, si fece triste, gli occhi lucidi e con voce roca mi disse: “Oh si, propri parei…stantén fè”. Cominciò così il suo ricordo di quei giorni e continuò: “Si era sparsa la notizia della morte di uno di Forno, ma nessuno sapeva chi era… in realtà purtroppo tutti sapevano di mio fratello, ma nessuno aveva il coraggio di dircelo. Ce lo venne detto solo dopo una settimana, quando mio padre Giuseppe, recatosi in una borgata sopra Prialli, chiese notizie a gente che trovò lì riunita. Solo dopo molte domande, una donna inginocchiandosi davanti a lui e stringendogli forte le mani gli disse della morte di suo figlio Felice. Io e mia mamma Olga eravamo a casa a Prialli e ad un certo punto sentimmo la voce di mio padre che gridava “oh Felice! oh Felice”. Arrivò correndo da noi e abbracciandoci forte ci disse che Felice non sarebbe più tornato a casa. Giorni dopo arrivò la lettera che ci comunicava ufficialmente la morte e che ancora io conservo. A Felice furono resi tutti gli onori possibili, ma questo ovviamente non servì a riportarlo in vita e non lenì il nostro dolore. Quando fu finita la costruzione dell’Ossario mio padre andò subito a vedere dove avevano collocato la bara del figlio, era stata messa nell’ultima fila in alto. Ne parlò con Falzone e si può dire che quasi gli ordinò di mettere la bara in basso in modo che si potesse piangerlo e portargli dei fiori senza dover tribolare. Falzone non parlò e acconsentì.”

Da allora sono due i momenti di commemorazione all’Ossario: uno a maggio e uno a novembre. Angiolina, fin quando la salute glielo ha permesso è sempre stata presente e adesso che anche lei è “andata avanti”, ci sono le sue figlie Rosanna e Franca che la rappresentano. Un paio di anni fa alcuni alunni delle scolaresche di Coazze ebbero una lodevole iniziativa intitolata “ADOTTA UN PARTIGIANO” e una delle figure prescelte fu proprio Felice Versino. Raccolsero foto, testimonianze e poesie unite tutte in un piccolo fascicolo dedicato ad alcuni partigiani della zona. Me ne feci una copia e Angiolina mi disse, questa volta con il sorriso sulla bocca: “I söi cuntànta përchè muń frel aprè d’stantén u est ancù arcurdà”.
Si cara Angiolina, tuo fratello, come altri giovani morti per la nostra libertà, non verrà scordato…e neanche tu sarai dimenticata tanto facilmente…puoi esserne fiera!” (Tratto da “Il partigiano Felice Versino” di Anna Guglielmino)

Felice Versino ritratto col mulo e un commilitone durante il servizio militare, svolto in Val Susa sul fronte antifrancese. Dopo l’8 settembre rientrò a Forno e si unì ai partigiani di Giuseppe Falzone.
La lapide venne collocata l’8 febbraio 1946 sul luogo che vide lo scontro tra le prime avanguardie partigiane della 43ª divisione autonoma De Vitis, provenienti dalla Val Sangone al comando di Giulio Nicoletta, e le forze tedesche durante la liberazione di Torino. Un gruppo di partigiani della brigata Magnone venne intercettato verso le ore 14 del 27 aprile 1945 da una colonna di autoblindo in avanzamento verso la Fiat Mirafiori: nel violento conflitto caddero cinque partigiani e altrettanti furono i feriti.
D’amore di resistenza e d’altre cose, racconti tratti dal gruppo Facebook “Racconti e ricordi della Val Sangone“, Michele Rege – Giorgetta Usseglio, Ed. Graffio, 2019
Felice Versino, Coazze 18 ottobre 1920 + Torino, 27 aprile 1945
La lettera con cui il Comandante Falzone comunica alla famiglia la morte di Felice Versino.
Uno scorcio della piazzetta antistante la Chiesa Parrocchiale di Forno di Coazze, intitolata a Felice Versino. La foto ritrae un momento della cerimonia di posa della lapide (15 11 2015) che ricorda le vicissitudini della Chiesa di Forno durante la Resistenza. Profanata durante il rastrellamento del maggio 1944, ospitò a guerra finita le salme dei partigiani riesumate in attesa di essere collocate nell’Ossario di Forno.

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