L’Italia ha superato i 160 anni il 17 marzo e nel frattempo gli italiani si sono allungati di 13 centimetri.
La statura media maschile, grazie alle visite di leva, è un dato abbastanza preciso e disponibile con continuità. Era di 162 centimetri nel 1861 e oggi supera i 175. È stata una crescita costante.
Da Paese mediterraneo di contadini e pastori alti poco più di 160 cm a fine Ottocento, gli enormi cambiamenti di alimentazione e nel campo della salute, hanno prodotto un aumento generalizzato della statura.
Certamente, non solo in Italia, questo è avvenuto un po’ in tutto il mondo, ma nel nostro Paese in modo particolare, quindi oggi rispetto a 60-70 anni fa le classiche differenze di altezza tra la nostra popolazione e quella di Paesi nordici o americana sono molto meno visibili. Anzi negli Stati Uniti, forse per la forte immigrazione dal Messico e dal Sud America il trend si è invertito.
Speranza di vita e cause di morte
Ma il cambiamento sostanziale si è avuto sulla speranza di vita alla nascita: dai 33 anni del 1871 agli 83 attuali. Il mutamento è dovuto alle migliori condizioni igienico-sanitarie e alla sconfitta delle malattie infettive, che a inizio secolo uccidevano moltissimi bambini. Le infezioni sono state a poco a poco debellate grazie agli antibiotici (Alexander Fleming scoprì la penicillina nel 1928) e alle vaccinazioni obbligatorie, in particolare l’antivaiolosa (1888), l’antidifterica (1939) e l’antipolio (1966). Oggi i nostri killer sono invece le malattie cardiovascolari e i tumori, ma in età più avanzata.
La principale causa di morte nei primi anni dell’Italia unita, se si escludono gli incidenti, erano le malattie infettive e parassitarie, alle quali erano attribuibili quasi il 30% dei decessi, secondo i dati del 1881 (relativi soltanto ai capoluoghi di provincia). Venivano poi le malattie dell’apparato respiratorio, intorno al 15%, le malattie mentali, del sistema nervoso e organi dei sensi, che superavano il 10%, le malattie del sistema cardiocircolatorio, intorno al 5%.
Negli anni a seguire le malattie infettive fanno sempre meno paura e la loro mortalità si va progressivamente riducendo, ad esclusione della terribile epidemia di spagnola del 1918. Anche le malattie “nervose” e quelle respiratorie riducono la loro incidenza sulla mortalità, mentre cresce sempre più il rischio per le malattie del sistema circolatorio: dapprima lentamente, poi, a partire dagli anni ’60, sempre più velocemente. Ogni 100mila abitanti si registravano 188 morti per malattie cardiovascolari nel 1931, 221 nel 1941, 244 nel 1951, 282 nel 1961, che salgono a 446 nel 1971, per arrivare ai dati attuali, che attribuiscono a queste patologie quasi la metà dei decessi.
Nel 1881 ai tumori si attribuiva il 2,6% dei decessi, ma il loro peso cresce negli anni seguenti fino a “incrociare”, alla metà degli anni ’40, la tendenza in calo delle morti per infezioni, avviandosi così a diventare il “male del secolo”. Ogni 100mila abitanti, si registravano 75 morti per tumori nel 1931, 93,7 nel 1941, 122 nel 1951, 154 nel 1961, 190 nel 1971 e 220 nel 1981. Una tendenza nuovamente invertita a partire dagli anni ’90, quando i progressi delle cure in campo oncologico, hanno ridotto i tassi di mortalità.