Grazie ai “véi” è tornato a Coazze il pane della “ciarità”

In una Coazze gelida, nonostante il sole squillante che esalta il contrasto tra il bianco della recente neve e l’azzurro terso del cielo, si sono ritrovati alcuni personaggi simbolo del carnevale piemontese. Dopo due anni segnati dal Covid, “lu véi e la vèii”, Eraldo Ruffino e Adriana Fantoni, hanno ripreso la tradizione avviata oltre vent’anni fa, quella del “pane della carità”. I colleghi dei paesi limitrofi hanno risposto all’invito, altri sono stati bloccati dall’influenza e dal covid che ancora serpeggia. Tutti i presenti hanno portato all’altare i loro doni, posandoli accanto al grande gallo e ai panini multicolori preparati dal panificio di Antonello e Maria Rosa. Al termine della messa celebrata dal parroco don Vladimiro Robak, il pane è stato distribuito ai fedeli, con semplicità e con generosità. La fascia tricolore del sindaco a dare un tocco di ufficialità al momento.

La tradizione del pane della carità a Coazze-centro non è documentata, se ne ha memoria a Selvaggio (dove per qualche anno la tradizione è stata ripresa) e al Mollar dei Franchi. Distribuzione di pane cotto nel forno locale si faceva in occasione delle feste di borgata, senza arrivare a definirlo pane della carità. Ma le tradizioni sono tali perché sono iniziate e durano e alla coppia coazzese va il merito di aver voluto aprire il Carnevale con questa cerimonia. In origine, alla fine del secolo scorso, il raduno a Coazze delle maschere con distribuzione del pane della carità avveniva il giorno dell’Epifania, che “tutte le feste porta via”, ma che di fatto avvia il periodo del Carnevale. Più recentemente la festa si è spostata a dicembre, nel periodo prenatalizio, propizio allo scambio di doni. E un grande dono Eraldo e Adriana, “véi” di nome ma arzilli di fatto, continuano a farlo a Coazze, credendo nelle tradizioni, portando nelle scuole il loro sapere, rappresentando il paese con brio e simpatia. In questo modo hanno tessuto una rete di amicizie, oggi preziosa più del pane.    

Il gallo di pane e “lu véi”, durante la Messa a Coazze
“Li vèi”, Adriana ed Eraldo si preparano a distribuire i panini colorati, preparati da Antonello e Maria Rosa.
Foto di gruppo dei personaggi che hanno partecipato alla distribuzione del pane della carità, a Coazze: da sinistra Gianduja e Giacometta di Pinerolo, “la lavandera e ‘l lavandé” di borgata Bertolla, il parroco, la “véii“, “l’asilé” di Piossasco, il sindaco, “lu véi” e infine il “Cùcaeuv” circondato da tre “polajere” di Vinovo. (Fotografia di Pierluigi Amprino)

Dal “panem et circenses” alla carità cristiana

Tommasino è caduto in un mastello pieno d’acqua. Ha appena 20 mesi di vita, è solo in casa e giocando c’è finito dentro. La mamma lo trova affogato e corre disperata da Antonio, il Santo dei miracoli: se otterrà la grazia donerà ai poveri tanto pane quanto pesa il bambino, che torna prodigiosamente in vita. Siamo nel 1200 e questo è uno dei tanti miracoli di Sant’Antonio di Padova.

Affonda probabilmente le radici in questo episodio e nelle ricorrenti carestie del Medioevo, la tradizione del pane della carità. In occasione delle feste patronali, di lieti e tristi avvenimenti, di lasciti testamentari si distribuivano pani agli indigenti. Un’economia autarchica come quella medievale era soggetta a frequenti carestie. Bastavano le frequenti guerre e gli sbalzi climatici a distruggere o decimare i raccolti, che l’economia a corto raggio rendeva difficile compensare.

Le distribuzioni alimentari ai poveri hanno una lunga tradizione. Giovenale ricorda ironico che la plebe romana era tenuta a bada con “panem et circenses”, il cristianesimo si diffuse anche per la solidarietà che predicava e praticava tra i componenti delle comunità cristiane. Sappiamo che un grande papa come Gregorio Magno, nel VI secolo, fece aggiornare a Roma l’elenco delle persone che avevano diritto alla distribuzione mensile di grano, legumi, formaggio, vino e pesce. (A.-M. ABel, La matricule des pauvres. Évolution d’une institution de charité du Bas Empire jusq’à la fine di Haut Moyen Âge, in Études sur l’histoire de la pauvreté (Moyen Âge-XVIe siècle), a cura di M. Mollat, I, Paris 1974.

Ariberto d’Intimiano, il grande arcivescovo milanese, affrontò un periodo di carestia ordinando ai fornai di distribuire migliaia di pani ai poveri. Per tutto il medioevo le istituzioni ecclesiastiche furono in prima linea nell’assistenza alimentare, i monasteri distribuivano in continuazione cibo ai pellegrini e agli indigenti, spedali e confraternite nel corso del 1200 si imposero come nuovi modelli di assistenza anche alimentare. Nell’età del trapasso tra la fase comunale e quella signorile si assistette al nascere di una politica annonaria civile.

Ma il “pane della carità” è un’altra cosa, non è un’assistenza continuativa, ma una distribuzione straordinaria. Anche quando torna l’economia di mercato e le carestie si fanno meno frequenti e drammatiche, in molti paesi la distribuzione del pane della carità prosegue, spesso associata alla festa patronale, talvolta prevista dalle disposizioni testamentarie. Non è più un gesto di necessità, ma di devozione, simbolico, più vicino al concetto cristiano di carità come amore per il prossimo.

Sant’Antonio di Padova al secolo era Fernando Martins de Bulhões, nato a Lisbona il 15 agosto 1195 da una famiglia nobile nel quartiere Alfama. È il patrono del Portogallo e del Brasile. Divenne sacerdote molto giovane, prima seguendo la regola di Sant’Agostino e poi quella di San Francesco, che conobbe personalmente. Entrando nell’ordine assunse il nome di Antonio, per ammirazione verso l’abate. Viaggiò e predicò ininterrottamente fino alla sua morte che avvenne a Padova, il 13 giugno 1231, all’età di trentasei anni. Era un predicatore irresistibile, che attirava folle e compiva miracoli, fu proclamato Santo da Papa Gregorio IX già l’anno dopo. Nel 1263 la salma venne traslata nella nuova Basilica, che ancora oggi è visitata da milioni di pellegrini.


Giuliana Albini, docente universitaria di Milano, nell’articolo del 2015 “Il pane della carità, aiuto ai poveri e simbolo religioso (sec. XI-XIV), da cui ho tratto alcuni spunti per questo articolo, sottolinea come fosse diventata frequente la distribuzione del pane della carità ai poveri in occasione dei funerali: “Il pane, del quale vengono indicate quantità e qualità, trova inoltre sempre maggior spazio in atti di donazione in vita o in testamenti, da parte di coloro che intendono compiere elemosine a favore dei poveri. Sono sempre più frequenti i legati pii che vincolano gli eredi alla distribuzione di pane, prassi caritatevole – esercitata spesso tramite ospedali e confraternite –, con la quale, come dimostra la frequente richiesta che ciò avvenga in occasione della celebrazione dei funerali o degli anniversari della morte, si manifesta certamente un’attenzione concreta ad aiutare i poveri, ma anche, e soprattutto, un’ostentazione di gesti caritatevoli e un’ossessiva ricerca della salvezza dell’anima.”

Prassi non solo medievale, come conferma questo interessante documento fornitomi da Bartolomeo Vanzetti, di un prozio che in occasione del funerale faceva distribuire 80 chili di pane ai poveri:

L’intestazione del testamento di Vanzetti Tommaso (era nato a Virle P.te nel 1831 e si era trasferito con il papà e l’intera famiglia di quest’ultimo a Casalgrasso nel 1835)). Dispone il testamento il 19 febbraio 1914 davanti al notaio Turletti di Cavallermaggiore, che viene a casa sua a Casalgrasso, alla presenza di due testimoni. Muore il giorno successivo, il 20 febbraio 1914.
Essendo senza figli, lascia casa e terreni al nipote Domenico, una cospicua somma all’Asilo di Casalgrasso e dispone per le esequie ciò che si legge al punto 2 del testamento.
Al censimento del 1921 il paese di Casalgrasso risulta avere 1325 abitanti (poco meno di quelli attuali). La disposizione di donare 8 miriagrammi (80 kg) di pane ai poveri lascia immaginare quanto diffusa fosse la povertà all’epoca.


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Perché il pane? Perché il gallo?

Rispondere alla prima domanda è abbastanza facile. Anche dove il cibo quotidiano non era il pane, ma magari la polenta o minestre varie, si distribuiva il pane. Perché esso evoca la condivisione del pane fatta da Cristo nell’Ultima Cena. Perché pane e acqua sono considerati elementi minimi insostituibili per la sopravvivenza umana. Il pane è un simbolo ricorrente nei Vangeli e un celebre passo di Sant’Agostino paragona la panificazione alla formazione del cristiano: «Questo pane racconta la vostra storia. È spuntato come grano nei campi. la terra l’ha fatto nascere, la pioggia l’ha nutrito e l’ha fatto maturare in spiga. Il lavoro dell’uomo l’ha portato sull’aia, l’ha battuto, ventilato, riposto nel granaio e portato al mulino. l’ha macinato, impastato e cotto in forno. ricordatevi che questa è anche la vostra storia. Voi non esistevate e siete stati creati, vi hanno portati nell’aia del Signore, siete stati trebbiati dal lavoro dei buoi (così li chiamerei i predicatori del Vangelo). Durante l’attesa del catecumenato eravate come grano conservato nel granaio. poi vi siete messi in fila per il battesimo. Siete stati sottoposti alla mola del digiuno e degli esorcismi. Siete venuti al fonte battesimale. Siete stati impastati e siete diventati un’unica pasta. Siete stati cotti nel forno dello Spirito Santo e realmente siete divenuti il pane di Dio». Ma il pane è Cristo stesso «seminato nella Vergine, fermentato nella carne, impastato nella passione, cotto nel forno del sepolcro, condito nelle chiese che ogni giorno distribuiscono ai fedeli il cibo celeste»  (citato in M. Montanari, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Roma-Bari 1973, p. 25).

Spesso il pane della carità viene presentato in forma di gallo. Questa è una simbologia meno immediata. Il gallo è una presenza forte nel contesto della Passione di Cristo, il suo canto dà a Pietro la consapevolezza della sua fragilità umana, ma annuncia anche la Resurrezione. Soprattutto in ambito protestante il gallo è l’immagine del Risorto essendo «il primo a salutare il mattino» rimanda a quelle donne che all’alba videro la tomba vuota e annunciarono la resurrezione. Forse per questo sostituisce a volte la croce sui campanili. Del resto, ricorre anche nell’arte paleocristiana come simbolo di vita e di vigilanza. È presente anche in araldica come segno di fierezza, di vittoria e di salute. Solo quest’ultima parola si potrebbe collegare direttamente al pane della carità, sostentamento salutare.  

Un momento della distribuzione del pane della carità, fotografia di Pierluigi Amprino.
Lu pëŋ da ciarità aŋ fòrma d’giàl

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