Settant’anni fa al Mollar dei Franchi, borgata di Giaveno, c’erano ancora 128 abitanti e anche se vent’anni dopo si erano dimezzati la festa patronale di San Pietro era molto frequentata, col ballo nello spiazzo di una carbonaia presso la chiesa, la gara di bocce che richiamava tanta gente e la trattoria che offriva “merende sinòire” favolose. Le case e i cortili erano pieni di gente … e di mosche, come racconta Pinìń Barone Cordria, che qui è nato nel 1930, a Elisa Arnodo e Michele Rege: “Ora, tante case sono state ristrutturate, le persone che ci abitano sono poche e hanno tutte le comodità! Voi dovete immaginare la borgata com’era allora: in ogni cortile c’erano più famiglie e tutte per vivere avevano delle mucche. Per esempio qui eravamo due famiglie e nel bel mezzo di questo cortile c’erano due letamai. Le mosche erano un milione, ricordo la nonna in quella cucina: prima di mangiare apriva la porta e la finestra poi sbattendo un asciugamano tentava di farle uscire. Chissà quante ne abbiamo mangiate senza accorgerci! Quante non possiamo saperlo, non c’era la luce elettrica e dovevamo stare al chiaro della piccola fiammella del lume a petrolio”.
Questa borgata in posizione strategica all’imbocco della valle del Romarolo, oggi ha poca gente ma un nome ed un’etimologia altisonante. “Mollar” deriva dal latino “molaris – rialzo del terreno”. È diffuso in area francoprovenzale e indica spesso un’altura tondeggiante (curioso che anche il covone grosso di fieno si chiami “möl”) o una modesta dorsale montana. Questa spiegazione del toponimo si adatta bene sia al “Mulè” del Forno che alla zona di via dei Molè, la dorsale coazzese che si incunea tra Ollasio e Sangone, e naturalmente al cocuzzolo su cui sorge il Mollar dei Franchi. La spiegazione per la seconda parte del nome della località: “dei Franchi” (di Frëńch), è arrivata a Pinìń per tradizione orale:
“Posso dirvi cosa ho sentito raccontare da mia nonna, che a sua volta aveva appreso dai suoi vecchi: il nome deriva dal fatto che, durante uno dei tanti episodi storici che videro contrapposti il Piemonte e la Francia, un gruppo di soldati francesi si era attestato per un po’ di tempo su un pianoro sovrastante questa zona. Il posto è “Pra l’abà”.
Gli storici giavenesi, Claretta e Gerardi, hanno fatto riferimento ad altri francesi, quelli antichi. I “Franchi” di Carlo Magno, che dopo essere passati da Giaveno per evitare lo sbarramento delle Chiuse e attaccare i Longobardi alle spalle, ad Avigliana, avrebbero lasciato un contingente in zona. Questa ipotesi è supportata da altri toponimi locali, come la borgata “Fràńsa” e le sue “Préʃe”.
Non si conosce la data di origine del borgo e della vecchia chiesa sul cocuzzolo, dedicata alla Madonna della Mercede. Accanto c’era la casa del Cappellano, perché in passato la borgata aveva un cappellano fisso. L’ultimo fu Don Francesco Maritano di Cumiana. La chiesa nuova è intitolata ai Santi Pietro e Paolo. Non sono state trovate notizie certe sulla sua fondazione. Ha linee neobarocche, ma con caratteristiche tipologiche e costruttive ascrivibili a metà Ottocento. La prima testimonianza scritta risale al 1865: la cappella è indicata, nelle sue forme attuali, nella mappa cartografica del Catasto Rabbini, sotto l’intitolazione di San Pietro.