Felice, Augusto, Sergio: bambini di Giaveno vittime di una guerra già finita   

Il sole avvampa nel cielo di luglio, fa caldo nella piana giavenese della Cascina Coccorda. Ma scorre un brivido freddo quando tra l’erba alta del ciglio della stradina spunta un cippo grigio accanto a un mazzo di fiori. Ricorda che la guerra uccide anche i bambini, messaggio di tragica attualità che lo spietato conteggio delle giovani vittime della guerra in corso in Ucraina ribadisce inesorabile. Ma la lapide di Coccorda ricorda che la guerra uccide anche quando è finita. 6 luglio 1945: Felice e Augusto, due bambini che giocano con uno strano oggetto, un’esplosione e le loro vite spariscono in una fiammata, resta solo il dolore inconsolabile dei genitori, costretti a raccogliere i brandelli dei loro figli, i brandelli delle loro vite. La sorella di Felice Bertotti vive ancora nei pressi. Aveva sei anni allora, ma una tragedia così affonda anche nel cuore di una bambina. Ora ha più di ottant’anni, è una signora minuta e curata nel vestire, cammina leggermente piegata dall’età, appoggiandosi ai bastoncini da trekking, ma ricorda, purtroppo ricorda …

Il cippo presso Cascina Coccorda, ricorda la morte di due bambini dilaniati da un ordigno trovato mentre erano al pascolo.

Ecco il dialogo che Maria Pia Rondano mi ha riferito:

      “Le case laggiù fanno parte di Coccorda?”.

      “Sì, là è Coccorda, dove si trova la lapide”.

      “L’ho vista e mi sono fermata a leggere la targa”.

      “Io sono la sorella di uno dei due bambini. Sì, sono la sorella di Felice Bertotti che aveva 10 anni, mentre l’altro bambino era Augusto Ruffino che di anni ne aveva otto”.

       “Ma lei, quanti anni aveva?”.

       “Io avevo sei anni, sono del ‘39”.

       “E si ricorda di ciò che è successo?”.

       “Certo che mi ricordo. Mio fratello e il suo amico erano appena usciti per andare a pascolare e un signore che si trovava poco più lontano li ha visti che giocavano, ma mai avrebbe pensato che giocassero con un oggetto pericoloso. A un tratto ha sentito un grande botto, come tutti nelle due borgate, si è voltato e ha visto la fiammata seguita all’esplosione. Si presume che mio fratello avesse  in mano l’ordigno e stesse trafficando con un coltellino, perché l’esplosione gli ha devastato il torace e l’addome. Era riconoscibile solamente dalla testa e dagli occhi. Si pensa che il compagno fosse dietro di lui, perché è rimasto invece completamente carbonizzato. È stato identificato per il fatto che si sapeva chi fosse il bambino in compagnia di mio fratello, altrimenti il riconoscimento sarebbe stato impossibile. Il giorno successivo, mio papà è andato nella zona del disastro a raccogliere  brandelli di carne sparsi qua e là. Per mia madre in particolare è stata una disgrazia devastante, ma è vissuta molto a lungo e ripeteva spesso che il dolore non fa morire, visto che ha continuato a vivere per tanti anni. Avevo un altro fratello e una sorella, ma mia mamma diceva che i figli sono come le dita di una mano: se si perde un dito, si può continuare a usare la mano, ma si fa più fatica. Al funerale hanno partecipato le scolaresche di Giaveno e questa cosa la ricordava molto bene Abele Bergeretti che, essendo nato nel ’33, all’epoca era già un ragazzino. Proprio Abele è venuto un giorno a cercarmi, per chiedermi se fossi d’accordo sul posizionamento di un cippo in ricordo di mio fratello e del suo amico; mi ha chiesto di parlarne con il resto della famiglia, ma io ho subito dato l’assenso senza chiedere niente a nessuno, perché ero sicura che tutti sarebbero stati d’accordo”.

        “Chissà qual era la provenienza di quell’ordigno!”.

        “Da queste parti sono passati tanti carri armati e c’erano molti partigiani che si nascondevano”.

   

Articolo comparso su La Valsusa del 29 luglio 2010 in occasione della posa del cippo presso cascina Coccorda.
Anche Luna Nuova ha dedicato un articolo all’avvenimento.

     “Anche a Provonda c’è stato un episodio simile e la vittima era lo zio di una mia amica”.

        “Difatti ogni anno sono sempre andata a Provonda per la commemorazione, che non viene fatta qui, ma lassù. Io mi chiedo sempre perché nel mondo continuino a esserci le guerre, non riesco a guardare in televisione le immagini della guerra in corso in Ucraina, non ce la faccio, perché la cosa mi fa stare male e mi ricorda una volta di più ciò che è successo qui”.


Nell’ottobre 1945 una terza vittima, un bambino presso Provonda, dilaniato da una bomba abbandonata. Articolo pubblicato su La Valsusa del 21 ottobre 2010, in occasione della posa di una lapide ricordo.

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