Avrebbe cento anni Giulio Nicoletta, una delle personalità più significative della Resistenza in Val Sangone, comandante della “Sergio De Vitis”, la 43° Divisione Autonoma Val Sangone. Lo hanno ricordato nella semplice cerimonia tenutasi presso la Cappella della Divisione Campana. Oltre alle autorità e alla presidente dell’ANPI locale Lilliana Giai Basté, erano presenti il figlio Enrico e alcuni parenti dei partigiani tumulati accanto a lui presso l’austero edificio in mattoni che chiude a sud il cimitero di Giaveno. Sono stati ricordati i nomi dei partigiani e una lettera di Giulio Nicoletta che ringraziava la gente della Val Sangone per l’indispensabile aiuto fornito alla Resistenza. Dello stesso tenore il breve intervento del figlio, prima della deposizione dei fiori sotto la lapide del comandante partigiano.
Fin dagli Anni Ottanta ho avuto modo di conoscere Giulio Nicoletta, di conversare con lui, di averlo prezioso testimone nelle ricerche svolte nell’ambito della scuola. Conservo con orgoglio una sua dedica in calce al libro di Gianni Oliva “La Resistenza alle porte di Torino” e lo ricordo come una persona di forte personalità, ma moderata. Dotato della capacità di mediazione necessaria per tenere insieme le molte anime della Resistenza in valle e per gestire momenti delicati. Delicato fu sempre il ruolo dei partigiani, dovevano combattere, ma anche evitare le feroci rappresaglie sulla popolazione civile con cui i nazifascisti rispondevano alle sconfitte. Ricordava con grande dolore i fatti di Cumiana, dove la volontà di vendetta anticipò quella di mediazione, con soddisfazione la liberazione degli ostaggi di Trana, con indignazione i massacri di civili indegni di un esercito. Una sola volta la sua mediazione mi deluse. Quando venne assegnata la medaglia d’argento al valor militare per attività partigiana. Si pensava andasse alla Comunità Montana Val Sangone, ma bisognava assegnarla ad un ente già esistente allora, un comune. La scelta di Nicoletta fu decisiva per assegnarla a Giaveno e da coazzese rimasi deluso. In seguito ho capito quale fosse il suo intento, assegnarla a Giaveno era l’unico modo per dare alla medaglia una dimensione di valle.
Giulio Nicoletta, 1921 – 2009
Era nato a Crotone il 21 agosto del 1921, il padre era un dipendente delle Ferrovie. La formazione di Giulio e dei suoi fratelli è quella della quasi totalità dei giovani cresciuti durante il fascismo: balilla, avanguardista, premilitare. Sono giovani che vedono nel fascismo la realizzazione dello stato e della nazione; lo strumento politico e istituzionale che dovrebbe realizzare la modernizzazione del sud. Dopo il liceo Giulio intraprende gli studi di giurisprudenza, interrotti per svolgere il servizio militare. Viene assegnato come sottotenente di complemento al 1° Reggimento carristi di Vercelli e inviato a Beinasco, al comando di un reparto addetto allo sgombero delle macerie e degli impianti della Fiat Mirafiori bombardata. “In quel periodo -ricorda- mi sono accorto che la società fascista si sgretolava, che i miti della mia formazione giovanile erano infranti”. Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre entra subito nella Resistenza, costituendo una banda partigiana nella zona di Bruino (TO). Giulio Nicoletta è dunque fra i primi a salire sui monti di Coazze per combattere il nazifascismo, subito raggiunto anche dal fratello Franco, brigadiere della Guardia di finanza reduce dai Balcani. Ferito in combattimento contro i nazifascisti a Trana (TO), nel gennaio del 1944, Nicoletta, con i suoi uomini, entra a far parte della 43ma Divisione autonoma “Sergio De Vitis” ed assume ben presto ruoli di alta responsabilità e di comando. È sempre al centro, direttamente o indirettamente, di quasi tutti gli episodi-chiave della Resistenza locale, compresi quelli più sanguinosi e tragici. I suoi tentativi di mediazione non riescono ad evitare l’eccidio di Cumiana il 3 aprile 1944, mentre durante il rastrellamento del 10 maggio riesce a sganciarsi senza troppe perdite dall’assedio nazifascista alla Palazzina Sertorio. Nel giugno del 1944, viene scelto, per la sua autorevolezza e la sua capacità di mediare i conflitti interni, come comandante partigiano di tutta la valle. La sua mediazione dopo l’assalto alla Polveriera di Sangano riuscirà a salvare gli ostaggi di Trana. Come comandante della 43° Divisione “Sergio De Vitis”, una formazione che si definisce autonoma ma che in realtà raccoglie brigate di diverso orientamento politico, partecipa alla liberazione di Torino. Nel dopoguerra resterà in città e diventerà dirigente della Ceat. Decorato con la medaglia d’argento, sarà uno dei più consapevoli ed assidui custodi delle memorie partigiane della Val Sangone, svolgendo un’intensa opera per mantenere viva la memoria della Resistenza. È morto a Torino il 23 giugno 2009 e, per sua espressa volontà, è stato tumulato nel Sacrario dei Caduti del Cimitero di Giaveno. Il 31 ottobre 2015 alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, che aveva in precedenza visita l’Ossario di Forno, gli è stata intitolata la scuola media di Coazze.