Cordero di Pamparato, fedele al re, tradito e impiccato dai nazifascisti

La sera del 17 agosto 1944 quattro partigiani vengono impiccati a Giaveno al balcone di casa Giai Via, all’inizio di via della Stazione (l’attuale viale Regina Elena). Tra questi Felice Cordero di Pamparato, comandante partigiano e figura di spicco della Resistenza in valle. È un marchese la cui formazione culturale e militare ricalca il percorso classico dell’aristocrazia piemontese e sabauda. Aveva studiato al Real Collegio di Moncalieri, quindi aveva frequentato l’Accademia di Artiglieria e la Scuola di applicazione. Ufficiale di artiglieria in servizio permanente effettivo, nel 1943, col grado di tenente, era stato inviato in Sicilia ed impiegato in prima linea contro le forze statunitensi del generale Patton. In agosto era tornato al nord, dopo l’8 settembre, si era rifugiato in Svizzera, ma, all’inizio del 1944, era rientrato in Italia, spinto dal desiderio di rivedere la famiglia, e il figlio Francesco appena nato, e da un profondo lealismo monarchico che gli derivava anche dall’educazione familiare e dalla cultura d’accademia militare. La scelta della Val Sangone nasce da legami parentali: il marchese aveva infatti sposato Luciana Rivoira, figlia di un noto avvocato sfollato a Coazze. La sua militanza partigiana inizia nel mese di febbraio 1944, nella banda di Criscuolo e Asteggiano (“Nino Carlo”), con il nome di battaglia di “Campana”. Dalla primavera all’agosto di quell’anno, comanda una banda partigiana (la Banda “Campana”, poi Brigata “Campana”). Il Pamparato dimostra coraggio e mette al servizio della Resistenza le sue notevoli competenze militari. I suoi accesi sentimenti monarchici suscitano rispetto per la profonda coerenza dell’uomo.

Felice Cordero di Pamparato (3 giugno 1919 – 17 agosto 1944) era figlio del marchese Stanislao e di Angela Massimino.
A Coazze, di fronte all’asilo Prever sorge la villa dell’avvocato Rivoira. Dal matrimonio della figlia Luciana col marchese Felice era nato Francesco nel 1943. Il desiderio di rivederli aveva spinto il marchese a rientrare in Italia dalla Svizzera dove si era rifugiato dopo l’armistizio delll’8 settembre.

Un eroe tradito

Il 16 agosto 1944 è in corso in Val Sangone l’ennesimo rastrellamento. Reparti delle brigate nere «Ettore Muti» e «Ather Capelli» scendono nel vallone della Maddalena provenendo dal colle del Bes e dall’Aquila e stabiliscono il quartier generale a Giaveno: per due giorni presidiano la vallata, limitandosi ad azioni di intimidazione verso i civili (trentacinque ostaggi a Coazze, rilasciati dopo qualche ora, una cinquantina a Giaveno).  Si tratta verosimilmente di truppe in fase di addestramento, poco determinate ed inesperte, che riescono però a catturare uno dei capi partigiani più prestigiosi. Il podestà di Giaveno, Giuseppe Zanolli, ha riportato nel suo diario le vicende che hanno portato alla cattura del Campana ed è convinto che vi sia stata una delazione:

“Campana“, il tenente di artiglieria Felice Cordero Marchese di Pamparato è stato arrestato ieri sera alle ore 17.30 in località Mollar dei Franchi da un reparto di tedeschi e di italiani montati su di un camion e scortato da un autocarro e un’autoblinda. Il modo con cui è stato arrestato lascia dubbi si tratti di spionaggio. Un camion scortato da una autoblinda e carro armato (quello che é giunto ieri sera col partigiano) é salito fino a Mollar dei Franchi. La salita per quel colle non é facilmente accessibile per forte declivio e la strada inadatta ai mezzi meccanici, finora mai nessuno si é azzardato a salirvi con un camion. Gli uomini del camion cantavano “Bandiera Rossa” ed il Pamparato che ha il rifugio nei dintorni udendo tale canto si avvicina al carro colla intenzione di sgridarli perché non vuol sentire tali canti né altri di altro partito. Purtroppo é un po’ miope e pur vedendo gli uomini che montavano il carro non si accorse che erano nemici per cui gridò: “A che banda appartenete?” In un momento fu circondato e arrestato e ben conosciuto dal comandante, un certo capitano di artiglieria che con lui aveva fatto il corso di applicazione a Torino. Il mio dubbio lo si può chiamare realtà. Il mio arresto e la cattura del Pamparato è opera sua, e lo proverebbero due fatti.

1°) Prima del mio fermo ed interrogatorio avevo visto e parlato con repubblicani e tedeschi chiedendo ed intervenendo per la liberazione dei fermati e per la restituzione di molte biciclette requisite da soldati italiani e tedeschi ma nessuno – pur essendomi dichiarato podestà – ebbe a farmi la minima obiezione o domanda. Solo dopo il suo interrogatorio fui fermato.

2°) Quello del Pamparato. L’arresto eseguito da un camion, autoblinda e carro armato. Il partigiano era su un carro armato seguito da autoblinda e camion. Le parole dell’ufficiale italiano: “È un bravo ragazzo, ha detto la verità ed il servizio é andato bene”: Lo sforzo fatto dagli arrestatori per spingere tali automezzi per una strada impervia e tutte le altre circostanze. Non sono prove certe ma indizi fortissimi che hanno tutta la parvenza della verità.

Non tutti i passaggi del diario sono chiari, ma Zanolli è convinto che “il partigiano” e l’ex compagno di corso del Pamparato abbiano orchestrato la trappola, sapendo dov’era il comandante.

Giuseppe Zanolli, podestà e poi sindaco di Giaveno nel dopoguerra, è stato un ottimo mediatore tra partigiani e nazifascisti per alleviare le sofferenze della popolazione. Il suo diario è una importante fonte documentaria di quel periodo.

Al Comando dì Villa Garrone Cordero di Pamparato viene interrogato per due giorni, tra minacce e lusinghe. Don Giuseppe Marabotto riferisce che un suo ex compagno di Accademia cerca di convincerlo a tradire la causa partigiana, offrendogli l’arruolamento come ufficiale nella RSI, ma “Campana” rimane irremovibile. La sera del 17 i fascisti decidono l’esecuzione: le mani legate dietro la schiena con filo di ferro, Pamparato viene portato nella piazza della stazione e impiccato al balcone di casa Gìai Via, presso l’Albergo Centrale.  Con lui muoiono Giorgio Baraldi, Vitale Cordin e Giovanni Vigna, catturati in val Susa.  Un quinto arrestato, Giulio Corino, sarà impiccato qualche giorno dopo ad Orbassano.

I corpi rimangono appesi per tutto il giorno successivo e potranno essere rimossi e sepolti solo dopo la partenza dei rastrellatori.

Al comando della formazione di «Campana» viene chiamato il professor Guido Usseglio, che abbandona l’attività all’ospedale Molinette di Torino ed entra nella Resistenza armata, prendendo il nome di battaglia “696”.

Con quelle della riesumazione dei cadaveri, questa è una delle più macabre fotografie della Resistenza. I quattro partigiani vennero impiccati come monito alla popolazione. (Fotografia scattata di nascosto da Maria Giai Levra, fotografa)
I familiari del marchese Felice Cordero di Pamparato assistono alla posa della lapide commemorativa vicino al luogo dell’impiccagione.

Commenti e ricordi

Gianna Dodino Mia madre, Maria Giai Levra, faceva la fotografa e ha scattato di nascosto le foto degli impiccati. I partigiani le hanno sequestrato il rullino (mi son sempre chiesta dove fosse finito), ma è riuscita a salvare una foto che è in mio possesso. Quando mi viene in mano mi si rizzano i capelli. Che tristezza. Che brutta cosa.

Giovanni Rosso Ho fatto vedere a mio papà la foto degli impiccati e il balcone. Lui si ricorda perfettamente quel giorno quando andò a vederli tirare giù e caricarli su un “cartun”…erano disposti a croce con Il capo nei 4 angoli e le gambe in centro… aveva solo 8 anni!! 

Maria Cristina Ferro Ed è bene ricordare che Palazzo Campana a Torino si chiama così in onore della brigata Campana e quindi del comandante Campana. Una lapide da qualche anno ricorda le ragioni di questa intitolazione che prima erano sconosciute alla maggioranza dei torinesi.https://www.museotorino.it/…/cd3ae1253bc042ac97476f24aa…

Carla Vergnano Brutte pagine di storia, ma da non dimenticare! Un po’ più in là a sinistra della lapide di Cordero ce n’è una piccola che ricorda mio zio Candido Ostorero e il suo amico Giuseppe Maritano fucilati dai nazisti. Mio zio aveva 25 anni ed era una bella domenica di maggio.

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