“X agosto”, la croce che Pascoli dovrà portare

L’uccisione del padre Ruggero il 10 agosto 1867 piomba come un fulmine sulla vita di Giovanni Pascoli e dei suoi familiari e li precipita dal Paradiso di una vita agiata e tranquilla, protetta dall’autorevolezza del capofamiglia, nell’inferno della dispersione, della miseria e dei lutti. “Il fanciullino” Giovanni si aggrapperà alla poesia per rimanere nel paradiso dell’infanzia contadina e della famiglia patriarcale. Ma il “professor” Pascoli userà ogni mezzo per ottenere almeno giustizia, per punire il colpevole della morte del padre. Ancora oggi molte ombre aleggiano sull’episodio, ma la famiglia Pascoli era arrivata alla convinzione di averlo individuato (La cavallina storna) e alla frustrazione di non vederlo punito. La coincidenza della morte del padre con la ricorrenza di San Lorenzo e la notte delle stelle cadenti, suggerisce a Pascoli la poesia X agosto e l’immagine suggestiva del “pianto di stelle”. Metafora che accomuna l’atteggiamento del poeta e del Cielo di fronte alla tragica morte di un innocente, si piange di dolore, ma si è impotenti di fronte al male e all’ingiustizia.

X agosto, poesia di Giovanni Pascoli, con evidenze retoriche e strutturali.
Versione scaricabile in PDF per una più comoda lettura della poesia e dell’analisi. X agosto è una delle poesie più note di Giovanni Pascoli e fu pubblicata per la prima volta sulla rivista  “Il Marzocco” il 9 agosto 1896, poi nella quarta edizione di Myricae (1897). Ascolto della poesia letta da Alberto Lupo.

La produzione poetica di Pascoli è basata sul simbolismo e nella poesia X agosto il simbolismo non è solo sotteso, è cercato, ostentato. L’uccisione del padre Ruggero il giorno di San Lorenzo distrugge Giovanni e la sua famiglia, lo scaccia dall’Eden di un’infanzia felice e lo proietta, adolescente dodicenne, nella vita adulta, lo mette di fronte al male. Se il sacrificio di Cristo, qui palesemente evocato, doveva servire a ridare all’uomo il paradiso perduto, il sacrificio imposto a due vittime innocenti precipita il poeta nell’inferno della consapevolezza che sono il male e l’ingiustizia a regnare sugli uomini, persi in un mondo senza logica.

Il dolore del poeta diventa il dolore di tutti. Un mondo in cui può accadere un fatto come questo deve essere governato dal male, un male che colpisce in modo assurdo e ingiusto. Un male che il “Cielo” (maiuscolo nell’ultima strofa) tollera, guarda da lontano, senza saper intervenire se non col “pianto di stelle”. Che si percepisce più che come partecipazione al dolore, come segnale di impotenza.

Il simbolo che sottende la struttura e il messaggio della poesia è la CROCE. Fin dal titolo, dove la data dell’omicidio è resa col numero romano, di fatto una X, sostanzialmente una croce.

Le strofe, quartine di decasillabi e novenari a rima alternata, disegnano la figura retorica del chiasmo o incrocio, la prima e l’ultima contestualizzano la doppia vicenda, della rondine e dell’uomo, nella notte delle stelle cadenti.

Le strofe intermedie stabiliscono uno stretto, ostentato paragone tra due morti innocenti e assurde. Una rondine che porta del cibo ai piccoli, un padre che porta due bambole alle figlie: l’espressione “l’uccisero” esplode come una fucilata, inaspettata, letale, senza una spiegazione.

La somiglianza delle due morti viene ulteriormente evidenziata dal chiasmo tra  tetto – nido, nido – casa.  Uguale è la protesta delle due vittime, tendono/additano il cibo e il regalo che portavano ai figli, come a dire che stavano svolgendo un compito naturale,  un gesto d’amore e di bontà. Ma chi dovrebbe accogliere la protesta (cielo) è lontano.

La croce è il simbolo del sacrificio di un innocente, Cristo, per redimere l’umanità dal male. Evidente è il collegamento che fa il Poeta tra la morte di Gesù, quella della rondine ( cadde tra spini”,  “è là come in croce) e quella del padre: “disse: Perdono”, come Cristo che in croce pronuncia queste parole “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Vangelo di Luca, 23,34).

In realtà l’insistenza sulle similitudini tra queste vicende serve a Pascoli per rovesciarne il significato e denunciarne l’inutilità. Cristo, vittima consapevole del disegno divino di redenzione dell’umanità, compie un sacrificio inutile agli occhi del Poeta, perché la Terra resta un “atomo opaco del male”. Un nulla nell’immensità dell’universo, ma forse per questo il cielo, che pure la avvolge (“concavo”), lo fa da lontano, sereno ed eterno, spandendo sulle vittime innocenti del male terreno soltanto “un pianto di stelle”, che suona più come sfogo della propria impotenza contro il male, che come partecipazione al dolore e volontà di giustizia.  La rondine che tende il verme, l’uomo che mostra le bambole, se non vendetta, sicuramente chiedono giustizia al cospetto di … (Dio?). Usando la maiuscola per il “Cielo” che piange, Pascoli sembra suggerire che un’entità superiore regge l’universo, ma il suo sostanziale distacco, la sua impotenza di fronte al male evoca fortemente la “Natura”, che Leopardi accusava di una colpa ancor più grave, l’indifferenza al dolore degli uomini.

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