Verso l’8 marzo – A 11 anni mi hanno affittata in Francia

Barconi stracolmi, un groviglio di uomini, ragazze, donne incinte, bambini sballottati dalle onde. È l’ultimo tratto di una via crucis fatta di estorsioni, violenze, umiliazioni. A volte mi domando perché affrontano tutto questo, se non sarebbe meglio per loro cercare comunque di sopravvivere nelle terre d’origine. Ma credo anche che per loro la tremenda alternativa sia tra rischiare la morte per un sogno o morire per le guerre e la fame nei loro paesi.  

Portare dei bambini e delle bambine attraverso le montagne, “affittarli” a degli sconosciuti per dei mesi. Mi domando oggi cosa accadrebbe. Denunce e mostri in prima pagina. Credo che cent’anni fa questa pratica fosse non solo tollerata, ma diventata una consuetudine perché l’alternativa era una miseria ancora peggiore, era morir di fame. Che dal Piemonte si emigrasse in Francia a centinaia è risaputo, però si pensa che emigrassero giovanotti ambiziosi, padri di famiglia necessitati o anche intere famiglie. E invece migravano, stagionalmente, anche centinaia di bambini, portati dai genitori ai “mercati” d’Oltralpe, affittati per fare i pastori, abbandonati per l’intera stagione e poi attesi per i pochi soldi che riuscivano a portare.

Sulle-strade-di-Parigi – Storia degli emigranti delle Valli di Susa e Sangone nella capitale di Francia – I giavenesi di Chevreuse, Giorgio Jannon, Gescom, 2007

Non sembra possibile, ma la testimonianza di Elisabetta, raccolta da Nuto Revelli ne “L’anello forte”, non lascia dubbi. Guardando indietro dai suoi ottant’anni sembra quasi accettare come normale questa esperienza, ma quando definisce “mercato delle bestie” quello in cui venivano esposti bambini e bambine per essere scelti affiora il segno che l’umiliante esperienza ha comunque lasciato.

 

A 11 anni mi hanno affittata in Francia

Elisabetta Centenero, nata a Centenera di Stroppo nel 1898, intervistata nel 1978.

Noi di casa eravamo undici figli, ma ne erano morti da piccoli, di vivi cinque sorelle e tre fratelli. […]. “Mangiavu bun e gram” … Tante “triƒules” (patate) mangiavamo, ci chiamavano “i triƒulier de Sentenier”. […].

A nove anni mi hanno affittata a San Michele di Prazzo. Andavo al pascolo a tre o quattro vacche. Mi davano un pezzo di pane e di formaggio nel sacco, ed alla sera quando tornavo giù “an guvemavu co del disné che ƒasíu lurs”, mi facevano trovare la scodella piena nel letto, erano bravi. Sì, nel letto, perché così si era mantenuta calda la roba da mangiare. Mi davano trentacinque lire di paga da Pasqua ai Santi. […]. Sempre su per la montagna, e vestita come vestivano l poveri, mutandine niente, solo la sottanina e le calze, e sotto nuda. Non avevamo la possibilità di comprare roba da sotto, mancavano i soldi. […].

A undici anni mi hanno affittata in Francia, a Barcelonnette. Mi ha accompagnata mio padre, si passava dal Sutrun, c’era un passaggio brutto, largo meno di un metro, lo spazio appena da mettere un piede. Dall’alto scendevamo a Larcio (Larche) poi a Cundamina (Condamine) e si arrivava a Barcelonnette dove c’era il mercato sulla piazza, “‘l mercà ‘dle bestie”, e lì c’erano gli uomini e le donne che avevano bisogno dei pastori e c’eravamo noi bambini pronti ad affittarci. Eravamo almeno un centinaio, tutti con il padre o la madre che ci accompagnava. Il primo anno avevo quattro asini da guardare di quattro padroni diversi, due vacche, e sei capre. Andavo su in alto pascolo, partivo al mattino presto e tornavo alla sera. Mi addormentavo dalla stanchezza, e quando mi svegliavo avevo perduto tutte le bestie, ah quanti pianti che ho fatto, partivo di corsa a cercarle.

Poi, quando ero più grandina, con le mie sorelle Valentina e Maria, ho incominciato ad andare a Hyères. Partivamo in gruppo, ragazze e ragazzi, partivamo contenti. Eh, io preferivo andare in Francia che affittarmi nella mia valle, guadagnavo di più, mi regalavano magari anche un grembiulino, ed anche nel mangiare stavamo meglio …  c’era la lontananza, la solitudine, ma si viveva meglio di qui. … Qui la maggior parte delle famiglie vivevano di sacrifici … Qui quasi tutte le ragazze vendevano i capelli. Oh, non mi faceva pena vendere i capelli. Li vendevamo per comprarci una vesta. … Una volta ho preso la stoffa di tre veste tanto avevo i capelli lunghi. Erano castani, il colore dei capelli faceva il prezzo.

Un gregge di pecore passa la dogana a Larche

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