Tempo di almanacchi, ma non per Leopardi

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

L’operetta si colloca nella fase che Walter Binni ha definito “della poetica eroica”. Dopo essere approdato al pessimismo cosmico e aver accettato di convivere con “l’arido vero”, Giacomo Leopardi entra in una fase agonistica contro la Natura, ma anche contro il “secol superbo e sciocco” in cui si trova a vivere. Eroe incompreso con la logica e l’ironia smantella l’ottimismo per “le magnifiche sorti e progressive” dell’umanità in cui credono i suoi contemporanei. Se più tardi nella “Ginestra” la contrapposizione polemica sfocerà anche in un messaggio propositivo, di coalizione dell’“umana compagnia” contro la Natura,  vera nemica e vera colpevole dell’infelice condizione umana, nelle operette scritte nel 1832 c’è posto solo per il sarcasmo. Leopardi non riesce a comprendere la felicità altrui e nel Dialogo di Tristano e di un amico, dopo un finto pentimento e un ironico “Credo”, afferma di non poter accettare come gli altri uomini, l’infelicità del proprio destino e di “desiderare la morte, e desiderarla sopra ogni cosa”. Non a caso questa operetta suggella la raccolta edita nel 1834.

Nell’altra operetta del 1832, il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, Leopardi sceglie un atteggiamento più leggero e disponibile, apparentemente meno filosofico. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalla brevità e dall’alternanza dialettica del testo, scandito dall’incalzare del ragionamento leopardiano.

 La formazione illuministica di Leopardi mal tollera l’astrologia. Vede negli almanacchi, che si stavano proprio allora diffondendo, un veicolo non di cultura, ma di ignoranza e superstizione. La scena ricorda quelle tratteggiate nella Quiete dopo la tempesta e nel Sabato del villaggio, un incontro di strada, due personaggi che si scambiano battute rapide, per ribadire il concetto già fortemente presente nelle poesie citate: la felicità non esiste se non in negativo, come sollievo per la fine di un dolore o di un’angoscia o come aspettativa di un futuro migliore. Come il sabato offre al “presepe” recanatese l’aspettativa di una domenica felice, così Il venditore di almanacchi offre illusioni di un anno migliore, che l’analisi storica e spietatamente razionale del passeggere-Leopardi svela false e mai realizzate finora. Non si può nemmeno parlare di contrasto dialettico, all’incalzare logico il venditore quasi non oppone resistenza, s’infila in un vicolo cieco e può uscirne solo accettando l’appiglio del passeggere: “l’anno nuovo incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e principierà la vita felice”. È un’affermazione che non ha nessun collegamento logico col ragionamento precedente, spiazza lo stesso venditore che risponde con un dubbioso “speriamo”, ma che è perfettamente in linea col nuovo atteggiamento di Leopardi verso gli uomini suoi contemporanei, un misto di ironia e commiserazione, perché, come osserva Fubini “che nonostante tutto gli uomini sperino, è per lui un fatto che non può essere spiegato”. L’acquisto finale dell’almanacco non è assolutamente un cedimento all’illusione altrui, semmai un gesto di pietà verso chi non capisce. Come nella “Ginestra”, quando di fronte all’orgogliosa stupidità della “mortal prole infelice” afferma che “Non so se il riso o la pietà prevale”. Nell’operetta nel passeggere Leopardi prevale la pietà che si estende dal venditore a chi questi almanacchi li compra, fiducioso in un anno migliore.

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Ignoranti e illusi

Sulla contraddizione degli uomini che vorrebbero tornar giovani e rivivere una vita, che però non sia la stessa, Leopardi aveva già riflettuto nello Zibaldone. Non c’è dubbio che lo spunto per questa operetta scritta nel 1832, probabilmente a Firenze, si trovi nella nota dello  Zibaldone  datata 1 luglio 1827: “Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la vita passata, con patto di rifarla né più né meno quale la prima volta. L’ho dimandato anco sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e piuttosto che accettarlo, tutti (e così io a me stesso) mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età, che per se medesimo sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s’ignora quel che della vita resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato più male che bene; e che se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è per ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la qual illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti” (Zib., I, 1118-119).

Venditore di almanacchiPasseggere
Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?Almanacchi per l’anno nuovo?
Si signore.Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Oh illustrissimo si, certo.Come quest’anno passato?
Più più assai.Come quello di là?
Più più, illustrissimo.Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Signor no, non mi piacerebbe.Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Saranno vent’anni, illustrissimo.A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Io? non saprei.  Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
No in verità, illustrissimo.E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Cotesto si sa.  Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Cotesto non vorrei.  Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Lo credo cotesto.  Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Signor no davvero, non tornerei.Oh che vita vorreste voi dunque?
Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Appunto.  Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Speriamo.Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.Ecco trenta soldi.
Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. 

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere nelle Operette Morali di Giacomo Leopardi – 1832

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