Sessant’anni fa un caccia supersonico si schiantò presso il monte Robinet.

Avevo nove anni, ma ricordo ancora l’immenso boato. Era il 31 luglio 1961, giocavo in cortile a Sangonetto, uscirono tutti domandandosi cosa era successo.  Un terremoto, una bomba …. Solo nel pomeriggio si diffuse la notizia, un aereo, un caccia americano si era schiantato contro le nostre montagne, a Punta Loson, non lontano dal Monte Robinet. Il corpo del pilota, il tenente Robert Lindeman  venne sbranato dallo scoppio, migliaia di frammenti metallici salirono  in cielo come un tragico fuoco d’artificio per poi cadere sparpagliati nei pressi del lago Soprano, in Val Sangone, e del Lago Rouen in Val Chisone.  A distanza di anni se ne trovavano e trovano ancora. Vicino alla Punta Loson (Garbinët, nel patois locale, per il sasso piramidale, collocato in un’insellatura, che assomiglia ad una gerla rovesciata) a 2645 metri sul livello del mare, una lapide ricorda il pilota americano caduto.

Nella bella fotografia di Stefano De Rosa si vede la catena di montagne che chiude ad ovest la Val Sangone. Il caccia americano si è schiantato pochi metri sotto Punta Loson.

Sul periodico intersezionale del CAI “Muntagne noste” nel 2016 Luisa Maletto ha presentato una dettagliata ricostruzione dell’incidente, che vi ripropongo integralmente. L’articolo era corredato di interessanti fotografie:

Il sibilo di un reattore, uno schianto, una densa cortina di fumo e… un silenzio spettrale… Ecco ciò che percepì ed impaurì un gruppo di novizi dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Rivalta nella tarda mattinata del 31 luglio 1961 nel corso di un’escursione dalla cima Rocciavrè a Forno di Coazze. Si trattava di un mortale incidente aereo. Era un caccia americano, un F-100D Super Sabre, partito dalla base di Aviano, in provincia di Udine, in volo di addestramento sulla frontiera italo-francese. Ai comandi solo un ufficiale, il tenente Robert Lindeman, di 26 anni, originario del Connecticut e da tre mesi ad Aviano con il 353° squadrone da caccia dell’U.S. Air Force. Da Aviano si era diretto verso Milano, poi su Torino per puntare sulle Alpi francesi e dirigersi verso Chambery. Da lì avrebbe dovuto deviare su Grenoble, per poi tornare alla base americana. Secondo la ricostruzione del fatto il pilota segnalò il suo passaggio su Torino a 10.000 metri di quota e poi nulla. Le ipotesi sulle cause furono molte, ma probabilmente un errore di rotta o un’avaria al motore portarono lo sfortunato pilota a sfracellarsi contro la parte superiore dei canaloni che solcano la parete est della Punta Loson (Garbinët, nel patois locale, m 2645), a circa un centinaio di metri sotto la vetta. Dal momento che cinquantaquattro anni fa non c’erano i cellulari, le ricerche iniziarono solo in tarda serata, all’arrivo del gruppo a Forno di Coazze, prima località collegata con una rete telefonica. Ma nel frattempo anche gli abitanti della zona si erano allertati per il gran frastuono udito. Erano soprattutto pastori, intenti al lavoro dei campi. In particolare Ignazio Lussiana che in quell’anno aveva monticato all’Alpe della Balma. Messo in allarme dal boato dello schianto e dalla serie di esplosioni di minore intensità che erano seguite all’impatto, il pastore aveva raggiunto sollecitamente la zona dei laghi, ma al suo arrivo era stato accolto da una fitta nebbia. Rita Ruffino, diventata poi moglie di Albino, uno dei figli di Ignazio, aveva visto sorvolare l’aereo a bassissima quota, ormai avvolto dalle fiamme. In quel momento era intenta alla raccolta dell’erba in un luogo particolarmente scosceso del solitario Vallone del Rocciavrè, adiacente (verso Nord) a quello della Balma. E siccome l’impatto dell’aereo contro la roccia aveva provocato un’abbondante caduta di massi, la giovane Rita, colta dal panico, era fuggita. Dunque, da una raccolta di notizie frammentarie giunte da diverse persone le prime pattuglie di soccorso guidate da Gianfranco Giai Arcota, fondatore della stazione del Soccorso Alpino Valsangone e formate da Carabinieri, Alpini e alpinisti del Centro Soccorso del CAI riuscirono a partire in serata. Da Roreto Chisone si unirono anche gli Alpini del Battaglione Pinerolo e i Carabinieri della Compagnia di Pinerolo. L’avvicinamento al luogo dell’incidente durò quasi tutta la notte. Gli uomini del soccorso speravano di trovare ancora in vita il pilota che, forse rendendosi conto del pericolo, avrebbe potuto gettarsi con il paracadute, sganciando il seggiolino eiettabile. Poteva essere ferito ed in chissà quale zona impervia dei monti… Purtroppo verso l’alba agli occhi dei soccorritori apparve uno scenario apocalittico con migliaia di rottami sparsi un po’ ovunque. Videro anche un paracadute, non si sa se di salvataggio o di arresto dell’aeromobile appeso sulle rocce. Erano giunti ai piedi della Punta Luʃùń, sorvolata da stormi di corvi. Raccontò il tenente dei Carabinieri Sudano, a cui era stata affidata la direzione delle ricerche: “Il terreno era sconvolto, rocce bruciacchiate, di fronte a noi per centinaia di metri migliaia di relitti di ogni specie”. Iniziarono a frugare fra i rottami per ricomporre il corpo del pilota. Nel frattempo era giunto in elicottero a Forno di Coazze anche il capitano Andrew Patten, capo della squadriglia a cui apparteneva il tenente Lindeman. Accanto alla salma un momento di grande commozione tradì il capitano che subito si riprese e dette ordini per il ricupero dei rottami del velivolo, utili per stabilire le cause dell’incidente. Dai primi risultati sembra che il pilota volasse fuori della rotta assegnatagli ed ad una quota più bassa di quella da tenere. La causa, perciò, potrebbe imputarsi ad un’avaria del motore o ad un guasto degli strumenti. Ma qualsiasi fosse stata, il giovane pilota lasciò a Mirtle Beach, nella Carolina del Sud, due bimbi e la moglie in attesa del terzo figlio… A distanza di cinquantaquattro anni, alcuni testimoni oculari ricordano che negli anni successivi all’incidente si diffuse una specie di corsa al recupero dei frammenti dei resti della carlinga e dell’equipaggiamento dell’aereo da parte di escursionisti e semplici curiosi. “Ancora oggi”, rievoca Livio Lussiana già presidente del CAI Giaveno, “attraversando le pietraie del Vallone di Rouen, può capitare di imbattersi in qualche reperto. Al riparo di un grande masso posto a breve distanza dalla sponda occidentale del Lago Soprano (Lai Damun) sono accumulati alcuni rottami di discrete dimensioni; su uno di essi mani pietose hanno tracciato la scritta: “Bye bye in the sky, Bob, riposa in pace”. Luisa Maletto

Questo numero integrale di MUNTAGNE NOSTE e le altre pubblicazioni della sezione CAI Giaveno sono consultabili sul sito dell’associazione.
L’aereo dell’incidente, il caccia supersonico americano F-100D Super Sabre
Un altro aereo era precipitato in zona, il 29 giugno 1943 un Savoia-Marchetti è caduto presso il Colle della Roussa (2017 m.). Questo il rottame dell’aereo vicino al Lago Rouen, in Val Chisone. Foto tratta dalla pagina Facebook di Roure.
Elio Pane ed il papà
accanto ai resti dell’aereo. (Foto tratta dall’articolo di Muntagne Noste)

Commenti e ricordi

Marisa Usseglio Savoia – Questo l’ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie. Giocavo con due miei amici vicini di casa alla borgata Viretta dove abitavo , eravamo nei prati sotto casa, quando all’improvviso la sagoma di questo aereo ,con un rumore assordante ,arrivò sulle nostre teste, sembrava rasentasse la cima dei castagni. Era già molto basso e diretto verso le montagne. Io e i miei amici in preda al panico , avevamo sei anni, scappammo e ci rifugiammo in un fienile in mezzo alla borgata, le nostre mamme ci chiamavano a gran voce, noi non riuscivamo a rispondere, ricordo solo che per la paura tremavamo. Questo ricordo è ancora vivo dopo tanti anni.

Marisa Parini – Proprio così, io allora avevo 10 anni, ero con Ada e Lucia dei Cervelli, che purtroppo non ci sono più, ma nella mente mi e rimasta quella brutta giornata. Io e le mie amiche giocavamo fuori la scuola di Cervelli e abbiamo visto davanti ai nostri occhi passare quell’aereo e come dice lei faceva un rumore che ci siamo coperti le orecchie e abbiamo poi saputo l’accaduto. Ogni tanto ci penso anche perché se pur bambine avevamo capito quello che è poi successo.

Donatella Alessi – Ricordo molto bene questo tragico episodio . Ero in vacanza a Villaretto e ho visto passare i militari che trasportavano i resti dell’aviatore . Ero una ragazzina, ma è un ricordo indelebile.

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