“Rosa fresca aulentissima” e le “Martine”

2 gennaio 2020 L’ultima “vià”, prima del Covid, All’evento promosso dall’Ecomuseo dell’Alta Val Sangone hanno collaborato il gruppo AIB Coazze e l’ospitante famiglia Lussiana di Borgata Fornello.
Foto tratte dal gruppo FB “Racconti e ricordi della Val Sangone”
Pinin du Freinài e Livio d’Gheva a la vià

Cantè (in coazzese ciantè) Martina” era una delle tradizioni più antiche e diffuse per Carnevale. Forse per questo ne esistono  diverse versioni, anche se l’impianto è sostanzialmente simile. Si tratta di un “contrasto” dialogato tra dei ragazzi, all’aperto, che desiderano entrare per far festa,  e delle ragazze restìe. E’ un genere di antica e nobile origine. Quando in terza superiore si inizia la letteratura italiana, uno dei primi testi che si studia (si studiava?) è “Rosa fresca aulentissima”, che è proprio un “contrasto”. Un giullare corteggia una ragazza che, in casa, contrasta le sue proposte sviluppando un dialogo che ha momenti tesi, fino allo scioglimento finale quando il pretendente si impegna a sposarla. Dario Fo in “Mistero buffo” sosteneva che l’autore, Cielo d’Alcamo,  fosse un giullare, altri osservano che nella poesia, accanto ad espressioni volgari, vi sono passaggi metrici raffinati con uso di figure retoriche quali l’adynaton e le coblas capfinidas e propendono per un poeta della corte di Federico II di Svevia, che abbia voluto motteggiare un giullare. Chi fosse interessato alla questione trova un documentato approfondimento in http://marcellotartaglia.blogspot.com/p/articoli.html

Il nome

Martina non è il riferimento a una protagonista femminile, che non c’è, ma alla data del 30 gennaio, festa di Santa Martina, martire sotto l’imperatore Alessandro Severo. Forse era il giorno canonico per cantarla, anche se era usuale farlo durante tutto il Carnevale.

Le varianti

L’esistenza di molte varianti del testo si potrebbe spiegare con la lunga tradizione e l’ampia diffusione. Ma credo che la ragione sia dovuta alla “situazione” in cui si sviluppa il canto. Nel clima scherzoso del Carnevale tirare per le lunghe la canzone, aggiungendo passaggi a volte poco contestuali, era un modo per tenere fuori al freddo i ragazzi più a lungo. Il confronto tra la versione ottocentesca, solo in dialetto e stringata, e quelle di Coazze e Traves evidenzia proprio il proliferare di inserti, spesso in italiano e non sempre ben inseriti nel dialogo.

Lo schema su cui viene costruito il contrasto è comunque molto simile nelle tre versioni, che divergono soprattutto nel finale. Diversamente da “Rosa fresca aulentissima” il matrimonio non è lo sbocco naturale delle schermaglie amorose. Nella versione coazzese ad esempio i ragazzi si rivolgono alle “mariòire” (ragazze da marito), ma il loro scopo è solo di entrare per bere e “fare l’amor”, a Traves nel finale la ragazza accenna un “mi voglio maridar” che cade nel vuoto.  Addirittura nella versione di Strambino  le ragazze rifiutano la proposta di matrimonio: “maridoumse nen/ che ‘l mari coumanda”. L’istituzione del matrimonio era allora molto più forte di adesso, ma il Carnevale rovescia le parti e consente di dire con ironia anche una triste verità. Confronto tra le varianti di Strambino, Coazze e Traves.