“Réisièire o ressiajri”, a Coazze come a Viù, assi nel segare le assi.

Con i costi dei combustibili e del gas che salgono al cielo, chi possiede un pezzo di bosco è spesso tornato a far legna, avvantaggiato da strumenti che rendono meno faticoso di una volta un lavoro che rimane pericoloso. Pur avendo a disposizione attrezzi meno elaborati la manutenzione dei boschi era molto curata in passato. Oltre a fornire legna da ardere, il legname veniva usato per le carbonaie e non era raro trasformarlo artigianalmente in assi. Operazione quest’ultima che richiedeva abilità e precisione, oltre alla solita immancabile fatica. Propongo il confronto tra due descrizioni della trasformazione dei tronchi in assi, a Coazze e a Viù. Risalgono agli anni Ottanta, sono molto tecniche, con puntuale nomenclatura in patuà. Sono brani che dimostrano che qualche crinale di montagna non bastava a cancellare l’identità culturale e a nascondere la comune matrice linguistica francoprovenzale di parlate solo apparentemente diverse.

Sega per tagliare le assi dai tronchi, la lama centrale è perpendicolare al telaio.

I Réisièire di Coazze

Fin verso gli anni 50, quando la montagna era ancora popolata, non era raro, specialmente alla domenica, incontrare nei boschi o nei pressi delle borgate gruppetti di uomini intenti a segare grossi tronchi per ricavarne assi necessarie peri lavori di falegnameria o per costruire balconi e solai. Trasportare quei tronchi alle segherie era quasi impossibile, data la distanza e la mancanza di strade carrozzabili; bisognava aggiustarsi sul posto. Com’è noto, allora vivevano tutti più o meno nelle stesse condizioni economiche ed era buona usanza aiutarsi a vicenda, soprattutto nei lavori che richiedevano l`intervento di numerose persone, quali erano per l’appunto trasportare tronchi a forza di braccia e segarli. Vi erano anche uomini che facevano il lavoro a pagamento, ma questi venivano richiesti dai falegnami o da coloro che avevano bisogno di tale manodopera per lungo tempo, come ad esempio chi intendeva preparare le assi per la costruzione di una casa nuova. Lu réisièire disponeva di questi attrezzi: l’api da réisièire (l’ascia del segatore); la lignòla (la cordicella); la rési (la sega); la lima (la lima); l’antravùr (la licciaiola). L’ascia ha il taglio molto largo e serve per scarè li biùń (squadrare i tronchi). La lignóla è di lana per essere facilmente imbevuta di acqua colorata in rosso e termina con un piombo di forma sferica. La lama della sega molto larga e lunga, è montata al centro di un telaio di legno a forma rettangolare ed ha i denti molto ricurvi, per tagliare solo quando si tira verso il basso e per non trovare resistenza quando si spinge in alto. Il telaio è sormontato dalla mantë (manico) a doppia impugnatura, mentre sotto ha quattro ciaviè (cavicchi). La lima serve per limare i denti e renderli taglienti e l’antravùr per torcere i denti, operazione che permette alla sega di farsi strada nel legno. Pochi erano quelli che sapevano mulè (limare) e antravé alla perfezione ed erano ricercatissimi, perché con una sega ben funzionante si faceva meno fatica a lavorare. Per segare i tronchi bisognava preparare una èirà (piccolo spiazzo pianeggiante) dove veniva sistemato lu cavalët (il cavalletto), un trave orizzontale con biforcazione poggiante sulla riva e l’altra estremità allungantesi verso l’interno dello spiazzo e sorretta da un robusto puntello al centro e due piccoli ai lati per tenerlo fermo. Il tronco, dopo essere stato squadrato con l’ascia, si stendeva sul cavalletto, si piombava in testa e al centro da dove si iniziava a misurare lo spessore delle assi, facendo ogni volta col coltello in’ossci (una tacca). Poi si bagnava la lignòla nel colore rosso, si teneva ben tesa nel senso della lunghezza del tronco tra un’ossci e l’altra e si faceva battere per segnare la linea del taglio. Questa operazione richiedeva molta precisione, dovendo essere la piombatura e le misurazioni perfette. Lu bìùń (il tronco) steso sul cavalletto, sporgente per metà oltre la testa del medesimo, con la metà posteriore ben fissata con corde e le linee di taglio verticali perfettamente a piombo, era pronto per essere segato. Un uomo si sistemava in piedi sopra il tronco, reggeva e guidava la sega dall’alto tenendola impugnata per la mantë, mentre altri due uomini la manovravano dal basso, impugnando le ciaviè. Si doveva avere la massima cura nel tenere la lama perfettamente a piombo per seguire le linee del taglio. Effettuati tutti i tagli fino alla metà del tronco, questo veniva girato, fissato al cavalletto con le stesse operazioni di prima e quindi segato nell’altra metà. Quando si segavano i tronchi di larice bisognava versare nel taglio dell’acqua per impedire alla resina di impastarsi con la segatura e ostacolare o arrestare lo scorrimento della lama. Il lavoro du réisièire era molto faticoso e richiedeva una certa abilità, non solo nel saper preparare i tronchi, ma anche nel saper tirare e spingere la sega con colpi ben calcolati e in perfetta armonia tra i tre réisièire.

Trascrizione dell’articolo di LUNA NUOVA n. 11 del 4 giugno 1983, rubrica Ciose bis-ciose.

Articolo della rubrica “Ciose bis-ciose” pubblicato su LUNA NUOVA n.11 del 4 giugno 1983. Non è firmato, ma per la specificità tecnica potrebbe essere di Bruno Tessa o di Ennio Baronetto.
Questo disegno, tratto dal libro “C’era una volta a Viù”, pag. 104, propone lo schema di azione dei segantini, privilegiando la sistemazione del tronco da segare.

I ressiajri di Viù

 “Bion e schiapon” si potevano anche tagliare in senso longitudinale; il primo e l’ultimo pezzo con la corteccia da una parte erano detti “ël cone”, i pezzi centrali erano detti “ël stòppe” (le assi). Per togliere la corteccia si usava la “piòla dolòiri” con lama lunga cm 40 e larga cm 30 all’estremità libera e manico lungo 68 cm; era anche usata per “dolà” (squadrare) un po’ i tronchi perché stessero su di un “cavalòt” (cavalletto) su cui si posavano per segarli. Il “cavalòt” (Tav. XIV) era costituito da “in bion dolà quader” (un tronco squadrato) posto su un terreno in pendenza con un’estremità conficcata nel terreno e “ciargià” (caricato) con pietre per evitare che faccia “aussileva” (si sbilanci in avanti); a 15 cm dall’altra estremità erano incastrati due sostegni detti “crave” lunghi 179-180 cm e con diametro di 15-20 cm e ben conficcati nel terreno. Sul cavalletto si poneva il tronco da segare, “dolà” (squadrato) sui due lati orizzontali, legato con corde o “ghiòtte” (catene in ferro) e con due “cugn” (cunei) di legno sotto di esso per “tirandalo” (tenerlo ben fermo); era posto in modo che sporgesse dal cavalletto per circa metà della sua lunghezza e distasse da terra circa 2 m o comunque non meno dell’altezza di un uomo. Sulla sezione del tronco con la “lignòla” (filo) di lana bagnata nel “migno” (polvere rossa) “ as marcavo li tai dël stoppe ” (si segnavano i tagli verticali delle assi). I due “ressiajri” (boscaioli) si disponevano così: uno saliva sul “bion” e teneva il manico superiore della sega, l’altro rimaneva a terra e teneva il manico inferiore della sega. Segavano azionando verticalmente la sega e seguendo i segni fatti con il “migno”; procedevano verso il centro del tronco segando a “stoppe” (assi) tutta la parte di esso sporgente dal cavalletto, poi lo giravano di 180°, lo rilegavano e lo segavano anche da questa parte sino a incontrare i tagli precedenti. … “Li ressiajri” (i boscaioli) vendevano la legna non solo a negozianti fuori di Viù o per uso di combustibile, ma anche a “li minusié” (i falegnami), “li sebré” (i fabbricanti di secchi), “li tornior” (tornitori), “li  socolé” (i fabbricanti di zoccoli).

Tratto da C’era una volta a Viù, Pag. 103

Due segantini all’opera.

Commenti e ricordi

Marisa Usseglio Savoia Bellissima descrizione di un lavoro faticosissimo, ho sentito da mio padre quei termini, come “scarè” li biun ” togliere la corteccia, forse nella scelta si doveva evitare un tronco con nodi, la parte che si poteva utilizzare bene era la prima parte dell’albero, “fina ‘n ti parur“, mio padre aveva avuto la necessità di procurarsi degli assi per montare un’armatura di un muro che era franato per fortuna aveva già la resia elettrica, ma il procedimento di segnatura fu lo stesso.

Giovanni Versino Mio padre Angelo ai suoi tempi aveva fatto lu Reisieire, la sega non so più che fine ha fatto, ma l’ascia ce l’ho ancora.

Salvo Serraino Poco meno di una cinquantina di anni fa, usavo quella sega con mio padre, lui sopra ed io sotto,; All’occorrenza , dividevamo in due un tronco di castagno e poi ne ricavava una scala a pioli, che serviva in campagna.

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