“Quelli dell’elicottero “205” sono morti tutti!” – Perché?

Ho orientato l’articolo commemorativo dei 30 anni dalla morte di Marco Matta in Croazia sulla sua figura e sul ricordo che, anche grazie alla dedizione della sua famiglia e in particolare del papà Mario, permane nei luoghi che l’hanno visto vivere – Sangano, il Pascal di Giaveno, Casarsa – e che purtroppo l’hanno visto morire – Podrute – assieme ai compagni, sull’elicottero attaccato proditoriamente dall’aviazione serba.

Piloti e specialisti dell’Heli-team italiano in Jugoslavia.

Mentre mi documentavo sui libri e su internet, ricorreva un interrogativo: perché? I dettagli ricostruiti dell’episodio non lasciano dubbi sulle responsabilità, ma sulla lucidità mentale di chi ha concepito un’azione simile si. Perciò è inutile cercare risposte logiche nella follia della guerra e quella dei Balcani è stata tale. Un impasto di lotte etniche e religiose ha prodotto nel cuore dell’Europa, a cinquant’anni dalla Shoah nazista, un massacro fratricida e nuovi tentativi di genocidio.

Con alcuni alunni nel 2008 (13 anni dopo la fine della guerra civile) ho avuto occasione di vedere gli edifici di Mostar e della bella Sarajevo ancora sbocconcellati dalle cannonate, di sentire testimoni sconvolti non riuscire a spiegarsi come d’improvviso il vicino di pianerottolo fosse diventato un nemico da eliminare, di viaggiare nella povertà di una terra martoriata, di unirmi alla catena di ritagli di stoffa colorata e ricamata di nomi, che le donne di Srebrenica continuano a svolgere davanti alle nostre coscienze ogni 11 del mese.

Ogni 11 del mese le donne di Srebrenica si ritrovano per commemorare le vittime del massacro dell’11 luglio 1995 e per ricordare al mondo che ancora sono in attesa di sapere che fine hanno fatto i loro cari. Delle 7800 vittime, ma si parla di 10000, la maggior parte è ancora da identificare, circa 1300 riposano nel Memoriale di Potocari.
Il gruppo di lavoro del Pascal che ha vinto il concorso di storia contemporanea della Regione Piemonte ed ha partecipato al viaggio in Bosnia nel 2008. Deposizione di una corona d’alloro al memoriale di Potocari, dedicato alle vittime di Srebrenica.

Nomi che sono sepolti sotto migliaia di cippi verdi, come i resti anonimi dei loro figli e mariti. Chi progetta la cancellazione di un popolo, può anche ordinare a dei caccia armati di missili di abbattere degli elicotteri inermi e di ammazzare chi è al servizio dell’Europa neutrale e della pace. Due elicotteri bianchi, i contrassegni CEE diventano un bersaglio. Abbatterli in Croazia non lontano dalla capitale Zagabria e poi incolpare i croati. Vengono i brividi a pensare che se l’equipaggio del secondo elicottero non fosse miracolosamente scampato, divenendo un testimone inoppugnabile, l’episodio avrebbe potuto sortire l’effetto voluto dagli alti comandi serbi. E invece è accaduto il contrario, si è ritorto contro chi lo ha freddamente pianificato, ha accelerato il processo di indipendenza croato. Non sono morti invano, per la Croazia i cinque dell’elicottero “205” sono degli eroi, come lo sono per l’Italia. Ma, come cantava De André, chi li amava sognava il ritorno di soldati vivi, non di eroi morti.

La ricerca ha prodotto una relazione scritta e un CD. Per farsi un’idea delle vicende delle guerre civili jugoslave potete consultare questo PDF.

Nel volume “L’Aviazione dell’Esercito Italiano nella Missione Europea di Osservazione in Yugoslavia, 1.10.1991 – 30.7.1993”, edito nel 2000, viene dedicata una particolare attenzione all’abbattimento dell’elicottero  AB 205 EC 305 Euro 001 e alla morte dei cinque uomini di equipaggio nel cielo di Podrute in Croazia.

La ricostruzione è un atto di accusa contro la Serbia. Due elicotteri italiani della missione CEE, con piano di volo presentato all’ATC di Belgrado, rientrano da una missione a Kaposvar in Ungheria. Alle 13,25 ripartono con destinazione Zagabria per riunirsi definitivamente al resto della Sezione elicotteri.

”L’AB 205 EC 305 EURO 001 non arriverà mai. Il volo viene interrotto da un MIG 21 dell’aviazione federale yugoslava decollato da Bihac con l’ordine di intercettare ed abbattere i due inermi elicotteri bianchi che, in volo nel terso ed azzurro cielo croato sono oramai a pochi minuti da Zagabria. Nel cielo di Varazdin alle ore 14,07 del 7 gennaio 1992 perdono la vita il Ten.Col Enzo Venturini, pilota comandante, nato a La Spezia il 1° febbraio 1941, sposato con 2 figlie; il Serg. Magg. Marco Matta, pilota nato ad Avigliana il 7 gennaio 1964, celibe e proveniente dal 55° Gr. Sqd: EM “Dragone” di Casarsa; il Mar.Ca. Fiorenzo Ramacci, specialista, nato a Viterbo il 23 agosto 1958, sposato senza figli; il Mar. Ca. Silvano Natale, specialista, nato a Riva del Garda il 27 aprile 1951, sposato con 2 figli, e il Ten. Di Vascello Jan Loup Eychenne, francese, nato il 3 aprile 1957, sposato con un figlio.

L’aereo manca il secondo bersaglio e l’AB-206 EC 633 EURO O03 che ha visto esplodere davanti a sé il 205, con una repentina manovra di scampo lascia la zona pericolosa e riesce ad atterrare in un’area poco distante. L’equipaggio incolume dà subito l’allarme. Fanno parte del fortunato ed eroico equipaggio:

il Ten. Renato Barbafiera, il Serg. Magg. William Paolucci, il Mar. Ca. Silvio Di Bernardo e il Sig. Hans Cristian Kint diplomatico a capo della delegazione belga. Seguono momenti angoscianti e terribili, ma subito le certezze prendono il posto dei dubbi e l’accaduto si delinea in tutta la sua drammaticità.

… Molte congetture e supposizioni sono e saranno fatte per spiegare l’accaduto. Noi “addetti ai lavori” tutto ci saremmo aspettati in Yugoslavia, tranne di essere abbattuti da un altro pilota. Un pilota che con cinica freddezza ha evitato le più semplici regole d’ingaggio, uccidendo uomini inermi che hanno pagato con la vita gli ideali della pace. Ma come tutti sappiamo non è facile spiegare un assassinio.”

Se non a spiegarlo, hanno provato a ricostruirlo nei dettagli e attraverso testimonianze Gigi Riva e Marco Ventura nel libro “Jugoslavia il nuovo medioevo”, dedicando all’episodio un capitolo dal titolo

I MIG ABBATTONO LA CEE

”Aspettami”, è stata l’ultima parola del sergente maggiore Marco Matta, di Torino, morto nel giorno del suo ventottesimo compleanno il 7 gennaio 1992, poco dopo le due del pomeriggio. ”Aspettami” non era per una donna, ma per Sandro Tombolesi, amico di quell’amicizia che può sorgere solo in guerra.

Spesso si ricordano dei fatti più tragici, dettagli insignificanti e Sandro ripensando a quei momenti avra per sempre davanti l’immagine di se stesso con una cinepresa in mano per filmare l’atterraggio di un elicottero che non arriverà più, l’AB 205 di Marco, di Enzo Venturini, 50 anni di Padova, tenente colonnello, di Silvano Natale, 40 anni, di Riva del Garda, maresciallo capo, di Fiorenzo Ramacci, 33 anni, di Viterbo, maresciallo capo, Jean Loup Ejchenne, 35 anni, tenente di vascello francese, osservatore Cee.

Un missile aria-aria sparato da un Mig federale lo abbatte nel cielo di Varazdin, 80 chilometri a nord-est di Zagabria, ai confini con Slovenia e Ungheria.

Un secondo missile viene esploso contro l’AB 206 che vola poco dietro, in formazione, a bordo tre italiani e un belga, ma fallisce il bersaglio. Loro hanno tatto una virata per schivare la morte. Così lei è passata qualche metro più sotto ed è andata a prendersi solo alcuni faggi, nel bosco sulla collina, appena oltre il ruscello.  Loro, i sopravvissuti: Renato Barbafiera, 30 anni, di Trani, primo pilota, William Paolucci, 28 anni, di Cesenatico, secondo pilota, Silvio Di Bernardo, 34 anni, di Gemona del Friuli, meccanico, Hans Cristian Kint, 37 anni, diplomatico belga. Diventano gli implacabili detentori della verità. Fossero stati eliminati, sarebbe probabilmente iniziato il solito balletto di accuse tra serbi e croati, “siete stati voi”, “no, siete stati voi”. lnvece, dopo qualche ora di tentennamenti (“noi in quella zona non voliamo”) Belgrado è costretta ad ammettere il “tragico errore”, a sospendere il comandante dell’aviazione militare jugoslava generale Zvonko Iurjevic, ad aprire un’inchiesta con cinque incriminati, difesi solo dalla foglia di fico della supposta mancanza di autorizzazione al volo degli elicotteri. È l’ennesimo colpo all’immagine dell’Armata, che provoca la decapitazione del vertice. Il generale Kadijevic rassegna le dimissioni, ufficialmente per motivi di salute, al suo posto arriva il falco Blagoje Adzic. Il regolamento di conti interno era lo scopo delle bombe sulla Cee? Una cosi fragorosa violazione della tregua serviva per allontanare caschi blu e riconoscimento internazionale? Se quest’ultimo era il calcolo, ebbene era un calcolo sbagliato. Le cose andranno assai diversamente. Il sangue dei quattro italiani e del francese, caduti in una guerra non loro, bagna la terra di Croazia e finisce per favorirla visto che il mondo mette sotto accusa Belgrado. Sulla scacchiera della diplomazia si muovono i morti come pedine e questi sono morti “pesanti” perché di Paesi neutrali, venuti nell’illusione di portare la pace. Se c’era uno che la coltivava, questa illusione, era il tenente colonnello Enzo Venturini, già nel Libano. Bisognerebbe non averlo conosciuto per non immaginarlo col perenne sorriso sulle labbra mentre dispone, quel 7 gennaio, il viaggio di ritorno da Belgrado a Zagabria dopo una missione di “trasporto osservatori”. Dieci del mattino, partenza. Mezzogiorno, sosta a Kaposvar (Ungheria) per il rifornimento e per il cibo. Wurstel e senape per l’ultimo pranzo di Venturini, Matta, Natale, Ramacci ed Ejchenne. Allegria, Matta promette:  “È il mio compleanno, stasera a Zagabria pago da bere”. Ultima tappa. Una frazione di secondo per decidere il destino di tre vite. “Signor Kint, vuole salire sull’AB 205 che è più grande e più comodo? –  No, grazie, sto bene anche qui”. Di Bernardo a Ramacci: “Visto che sei il meccanico del 206, vuoi che ci cambiamo di posto e io vado sul 205?” Risposta: “No, fa lo stesso”.

Il 22 settembre 2002 all’inaugurazione della piazza di Sangano dedicata a Marco Matta, è intervenuto il Cap. Renato Barbafiera, pilota del l’elicottero AB 206 scampato all’aggressione a Podrute, che ha testimoniato l’accaduto.

Kaposvar, confine, Croazia. Venturini davanti, sul “205”, Barbafiera ai comandi del 206, un po’ più dietro, un po’ più alto, un po’ più a sinistra. … Barbafiera: “Pronto Zagabria? sono le 13:59, saremo lì alle 14:25”. “Ricevuto, richiamate alle 14:20”. Matta, il secondo di Venturini, via radio a Tombolesi, pure all’hotel “I”: “Siamo sopra a Varazdin, fra poco arriviamo. Stasera si fa festa”. Tombolesi: “Prendo la cinepresa e vado a filmare l’arrivo”. Matta: “Va bene, aspettami”. Più o meno nello stesso momento due Mig federali, decollati dall’aeroporto di Bihac (Bosnia) sorvolano Zagabria. Sono talmente alti che non suona nemmeno l’allarme aereo. Il meccanismo che porta al disastroso contatto è innescato. Gli elicotteri, dipinti completamente di bianco con le dodici stelle della Cee disegnate sul fianco, distinguibilissimi, chiedono l’autorizzazione ad alzarsi da 600 a 900 metri per scavalcare la collina di Ivanstica. È l’ultima manovra. Un Mig spara, colpisce l’AB 205 che esplode in volo, si spezza in due tronconi dopo una fiammata. Barbafiera: “lo l’ho visto diventare una palla di fuoco davanti a me e ho lanciato il may-day (segnale di massimo pericolo). L’avevo sulla destra, istintivamente mi sono buttato sulla sinistra e verso il basso in fase di scampo”. Paolucci: “ci sparavano anche col cannoncino, i colpi erano cadenzati. ll Mig l’ho visto solo mentre si allontanava”. Di Bernardo: “lo ho tranquillizzato Kint, il passeggero, gli ho detto di slacciare la cintura e di mettersi a correre con la testa bassa appena avessimo toccato terra”. Kint: “ll missile che è passato sotto di noi non l’ho visto, ne ho solo sentito il rumore”. Sono al suolo, corrono fino ad un casolare dove due donne, Angela e Rosa, madre e figlia, li soccorrono. C’è un telefono, il tenente Barbafiera chiama il comando: “Quelli del 205 sono morti tutti”.

Nella nuova chiesa di Podrute c’è una cappella dedicata ai 5 eroi, sotto i loro ritratti alcuni resti dell’elicottero distrutto.

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