PRECIPITANDO DALLA FALCONIERA

Una decina di passi più avanti, la doppia traccia di vernice bianca e rossa sul tronco di un faggio segnalava che il sentiero piegava nettamente verso sinistra. Giulia si prese un attimo di pausa. Le baite del Ciargiùr erano a portata, ma lei decise di fermarsi comunque per qualche minuto e godersi l’attimo. Ottobre con le sue giornate di tiepido sole era il mese da lei preferito per dedicarsi al trekking. Spostato leggermente lo zaino in una posizione più comoda, Giulia lasciò scivolare pigramente lo sguardo sulla volta multicolore di rami e foglie che la sovrastava, poi gettò uno sguardo verso il dosso della Falconiera. Ma la sua meta era dall’altra parte, oltre la dorsale disseminata di baite, al Roch du Ièrmu, poeticamente chiamato di recente “Bella Addormentata”, perché a chi guarda dall’Indiritto, si profila come un viso di donna dormiente. Il sentiero percorso fin’ora era quasi privo di sottobosco e i grandi alberi della vecchia foresta racchiudevano un silenzio di cui anche gli uccelli sembravano avere rispetto, un silenzio che penetrava fino in fondo all’anima. Era come stare, la sera, in una cattedrale deserta, uno di quei momenti in cui un escursionista si sente un po’ come un monaco in preghiera nel chiostro del convento. Giulia si immerse nel silenzio e nella quiete quasi irreale e fu percorsa dalla sensazione profonda di vivere un momento irripetibile; per questo il grido che si levò poco dopo produsse uno strappo così lacerante nella sua memoria da essere pressoché indelebile. Era iniziato con un gemito, che non era durato più di uno o due secondi, ma si era impresso profondamente nei suoi ricordi e sarebbe tornato mille volte nei suoi incubi. Sembrava un gemito di piacere, non molto diverso dagli “aahhh” che si sentivano frequentemente quando gli escursionisti arrivavano per la prima volta sulla cima della Falconiera e potevano contemplare il panorama della valle sottostante. Ma il gemito si era subito trasformato in lamento, passando da un “aaah” a un “oooh” e poi in un lungo “noooo” che si era andato spegnendo facendosi sempre più sordo più lontano. Qualcuno era caduto nel dirupo.

Il dosso della Falconiera, “la Falcunìri”, autunno 2017 (Foto Guido Ostorero)

Più tardi, mentre spiegava all’agente della Guardia Forestale i suoi sospetti riguardo ad Alfredo Lorusso, Giulia si rese conto che il tutto non era successo a più di pochi minuti di cammino da dove lei si trovava in quel momento. Anche questo la tormentò nei suoi incubi: se non si fosse fermata al segnavia per bere e godersi la pace del bosco, forse Arianna sarebbe ancora viva? O forse anche lei, Giulia, sarebbe stata spinta giù dal dirupo? In ogni caso, era arrivata troppo tardi. Quando l’urlo aveva sconvolto i suoi sensi e si era affacciata in lei la consapevolezza che stava succedendo qualcosa di grave. Giulia, in preda al panico, si era aggrappata con entrambe le mani al tronco del faggio e aveva perso minuti preziosi per riprendersi dallo shock. Nei suoi incubi riviveva come al rallentatore tutto quello che era successo dopo: ricordava che si era chinata per recuperare il bastone da trekking, ma l’aveva inavvertitamente calciato via e aveva dovuto recuperarlo qualche passo più avanti, e che il rumore dell’acqua nella borraccia che si muoveva nello zaino le faceva perdere l’equilibrio mentre correva sul sentiero; ricordava anche che proprio in mezzo allo stretto sentiero pressato da stenti larici c’era una ragnatela che le si era attaccata al viso e le era finita negli occhi, come se cercasse di catturarla, e le tornava in mente l’immagine di un paio di falchi che volavano in lenti cerchi sul Roch du Ièrmu, incuranti del dramma che si era svolto sotto di loro. Poi, quando era arrivata in cima, ricordava Alfredo Lorusso singhiozzante sull’orlo del burrone e soprattutto ricordava l’eco dell’urlo di Arianna, che ripeteva “aaah”, “oooh”, “noooo”, in quel preciso ordine.

Era sicura di aver sentito l’eco del grido e il fatto che quel particolare tornasse nei suoi incubi lo confermava. Quella però era la parte del racconto che aveva fatto nascere qualche dubbio all’agente della forestale, che aveva scambiato un’occhiata eloquente con il collega.

– Quando sono arrivata in cima – raccontò Giulia – lui, Alfredo, era in piedi qui. Non proprio in piedi. Si stava muovendo, avanti e indietro, come se stesse saltellando. Era agitato, camminava nervosamente. Penso di averlo proprio spaventato. Ovviamente non si aspettava che arrivasse qualcuno, di sicuro non sapeva che ero sul sentiero. Ma non mi ha detto niente di questo. Mi ha detto solo “È caduta. È caduta”.  Poi ha aggiunto “Eravamo con degli amici al rifugio Bergeretti del CAI Coazze, qualcosa l’ha fatta arrabbiare e all’improvviso mia moglie se n’è andata. L’ho vista salire verso la Falconiera e l’ho seguita percorrendo lo stretto sentiero tra i larici. Ho sentito un grido e …”. Solo in quel momento ha cominciato a piangere, è caduto in ginocchio e poi si è messo a singhiozzare, con la faccia tra le mani. Insomma è venuto fuori lo shock, no? Ma c’è un motivo per cui la sua storia non mi convince.

Giulia sta per dire all’ufficiale della Guardia Forestale qual è il particolare che spiega perché non le sembra verosimile il resoconto dell’accaduto fatto da Alfredo.

Che cosa sta per dire? Qual è il dettaglio che l’ha portata a questa conclusione?

Ciargiùr 25 ottobre 2015, Don Masera celebra la messa durante la cerimonia di inaugurazione del rifugio del CAI Coazze, intitolato a Mario Bergeretti.

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