Pirandello torna a Villa Prever, ospite della famiglia Tosco

Giovedì 22 luglio, come ogni anno, Luigi Pirandello torna a visitare Villa Prever. Non vi trova più l’ospitale cavalier Luigi, con cui passò belle giornate di quell’estate del 1901 con piacevoli conversari e gite nelle borgate, nella valle del Sangonetto e fino al Colle Braida, per vedere “la Valsusa immensa”. Ma la famiglia Tosco, attuale proprietaria, gestisce con amorevole cura la grande villa ottocentesca ed è altrettanto ospitale, non solo verso l’ospite illustre, ma anche nei confronti della Compagnia Linguadoc, che ormai da tanti anni allestisce nello splendido parco uno spettacolo ispirato al grande scrittore siciliano, e degli spettatori che accorrono numerosi all’appuntamento e nell’occasione possono visitare anche alcune delle sale perfettamente conservate della villa, che Pirandello immortalò in un bozzetto schematico sul suo prezioso taccuino.

Villa Tosco
Stralcio dal Taccuino di Coazze iniziato da Luigi Pirandello durante il soggiorno coazzese nell’estate del 1901. Nel Taccuino Pirandello a proposito dei possedimenti di Prever parla di un “villino a Coazze”. L’edificio, che ha cambiato vari proprietari fino ad arrivare all’attuale famiglia Tosco, è ancora oggi tradizionalmente chiamato “Villa Prever” e il termine pirandelliano  non va inteso in senso diminutivo, ma sta ad indicare una villa con una certa pretesa di stile. Ed infatti la Villa Prever è costruita in stile neogotico secondo il gusto eclettico tardo-ottocentesco. Questo particolare ha dato luogo ad un piccolo malinteso da parte dell’ottimo curatore dell’edizione critica delle Opera omnia di Pirandello, Manlio Lo Vecchio Musti, là dove è scritto che nel Taccuino c’è il disegno di un “edificio medioevale”, mentre è chiaro che si tratta di un disegno assai approssimativo del ”villino” di Prever.

“Caro Maestro”

Lo spettacolo di quest’anno ripropone il carteggio tra Luigi Pirandello e Marta Abba, la “sua” attrice, nella riduzione e interpretazione di Valerio Binasco e Giordana Faggiano. Il titolo “Caro Maestro” riprende l’incipit delle 238 lettere che Marta Abba scrive a Pirandello, parziale risposta alle sue 560. Un epistolario squilibrato che non aiuta a chiarire uno dei più ingarbugliati e chiacchierati rapporti tra personaggi famosi e non risponde alla domanda pruriginosa sui risvolti fisici di tale legame. Marta Abba solo nel 1985, a cinquant’anni dalla morte di Pirandello, donò il corposo carteggio all’Università di Princeton nel New Jersey che lo pubblicò integralmente solo nel 1994 da Mursia col titolo di “Caro Maestro, lettere a Luigi Pirandello 1926-1936”. L’attrice continuava a rimandare ogni decisione, combattuta fra il desiderio di rivelare al mondo un Pirandello intimo e ancora sconosciuto e il pudore d’infrangere il velo del riserbo sul loro rapporto: dieci anni di una relazione tra uno scrittore e una attrice. Alle appassionate invocazioni e ai languori sentimentali di Luigi Marta si sottrae  elencando questioni pratiche, soldi, attori, teatri, compagnie, date, raffreddori e viaggi, permettendosi perfino di commentare i suoi lavori teatrali. Più la passione di lui diventava delirante e teatrale più lei diventava indifferente e lontana come se avesse capito che dietro tutte quelle dimostrazioni esasperate ed esasperanti Pirandello non sapeva amare nessuno e cercava quasi in maniera maniacale un rapporto tutto di testa con se stesso e mai con una donna vera.

Marta Abba e Luigi Pirandello vissero una lunga contrastata platonica relazione.
Marta Abba (Milano 25 giugno 1900 – 24 giugno 1988)

Quando si erano incontrati nel febbraio del 1925 lei aveva 24 anni, lui 57. Pirandello aveva alle spalle vicende dolorose, la moglie Antonietta gelosissima era stata internata nel 1919 vittima delle sue ossessioni, Marta diventò la sua musa ispiratrice. Quel che Pirandello diceva della vita, che “o si vive o si scrive”, vale anche per l’amore. Nel filtro della scrittura la sua passione è sempre controllata, calato nel suo ruolo di vecchio gentiluomo e di personaggio pubblico non sa essere spregiudicato e forzare le situazioni. In tutto l’epistolario solo la frase di una lettera scritta da Pirandello a Marta nell’agosto del 1926, fa balenare la possibilità misteriosa di un rifiuto del corpo in nome di “avance” respinte proprio in una camera d’albergo di Como. La frase è questa: «Non domando più altro tempo oltre a quello che mi bisogna per finire i lavori che ancora mi restano da scrivere: senza questo dove sarei a quest’ora fin da un’atroce notte passata a Como?».  Questo unico accenno alla “atroce notte” ha scatenato incuriositi gossip, fino all’idea che allora sarebbe stata lei a provarci e lui a respingerla, lui tanto puritano da voler essere fedele alla moglie che lo accusava ingiustamente di infedeltà. Ma centinaia di altre lettere fissano il rapporto in una dimensione letteraria, Marta venera lo scrittore, è “innamorata” del drammaturgo non dell’uomo. Quando presidia la porta del suo studio e preclude il passo a chi potrebbe disturbare “il Maestro”, non lo fa per gelosia, ma per fini artistici, perché possa comporre in pace i testi tagliati su misura per lei. Lo dirà in una intervista “ Io vivo solo di teatro e per il teatro. Il resto non mi interessa se non quando può darmi un mezzo in più per esprimere un lato della verità che chiarifichi e depuri la mia sensibilità di donna”.

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