“Pinòta, Càrlu e l’Angelìna da Sènsa”

Busto di “Càrlu da Sènsa”, immagine tratta da “Racconti e ricordi della Val Sangone, tratti dall’omonimo gruppo Facebook, curati da Michele Rege, Edizioni Echos, 2016. Nel racconto di Carla Rege vi sono le dettagliate gesta di Carlo Oliva e il testo del “tiletto” che, da vivo, aveva fatto affiggere.

Un tempo a Coazze, e nei piccoli paesi in genere, artigiani e commercianti erano istituzioni. Non si diceva vado in ferramenta o dal panettiere o dal macellaio, ma da Ugo, da Oscar, da Cirìc o Cécu. Come un regno il negozio passava di padre in figlio, e il re aveva la sua corte. Ricordo che mio padre aveva ereditato la panetteria da suo padre e che nel “pastìń”  i clienti passavano i pomeriggi ad aggiornare il gazzettino e i cacciatori, a parole, facevano strage di selvaggina. Questo avveniva soprattutto nelle botteghe artigiane, dove si poteva lavorare e chiacchierare contemporaneamente. Ma anche far la spesa era un’occasione di socializzazione, non si entrava e usciva di corsa dai negozi di un tempo. Uno dei negozi simbolo di Coazze era sicuramente la “Sènsa” all’imbocco di via Selvaggio. Avviato dalla “Pinòta da Sènsa” nel 1907, passò nel 1935 al figlio, Carlo Oliva, che automaticamente, come i re, ereditò il titolo e divenne “Càrlu da Sènsa”. Visto che nel negozio si vendeva di tutto, ma il nome derivava dalla licenza di tabaccaio, e che a quel tempo uno “stranòm” non si negava a nessuno, era chiamato anche “Tabàch”.

L’articolo di Ennio Baronetto è stato pubblicato sull’allora quindicinale “Luna Nuova” n.2 del 26 gennaio 1985 nella rubrica “Ciòse bis-ciòse”.

Sensale deriva da una voce araba e significa “mediatore, venditore”. A fine Ottocento la professione venne codificata e tra l’altro divenne sinonimo di concessionario di vendita per lo Stato, quindi di generi di monopolio. Si usava anche il termine “privativa“, nel senso di esclusiva. Oggi è subentrato il termine rivendita.

Le sue gesta sono state ampiamente riportate nel gruppo Facebook “Racconti e ricordi della Val Sangone” e nel relativo primo libro curato da Michele Rege. Come un re non accettava limitazioni ed ogni occasione era buona per gesta clamorose, forse ispirate dal motto del vicino campanile. Una volta andò oltre intitolandosi da vivo, con tanto di targa, lo slargo che faceva da parcheggio al negozio in quanto “eroe e martire” e sempre da vivo gli eressero un busto con tanto di data di morte. Insofferente, non rispettò neanche quella e se ne andò diversi anni prima. Lasciando la conduzione del negozio a quella che forse era stata per diversi anni la vera martire delle sue intemperanze, la moglie Angelina, che proseguì l’attività con sua sorella Giuanìńa. Nel gennaio del 1986 andò in pensione e, in mancanza di eredi, cedette ad altri il negozio. Dopo alterne vicende la “sensa” ha chiuso qualche anno fa. Ennio Baronetto in occasione del pensionamento di Angelina le aveva dedicato su “Luna Nuova” un simpatico e un po’ triste articolo  di commiato. Al centro campeggia la sua foto, che la immortala così come me la vedo ancora, dritta dietro al bancone circondata dalle mille cose che vendeva.

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