La fierezza degli spadonari di Venaus

Venaus 2020 spadonari veri e finti

La prima volta che ho filmato gli Spadonari di Venaus è stato il 3 febbraio 1985. Un’esperienza che ricordo bene. Dal Moncenisio scendeva il favonio (il phon) caldo e fastidioso. Io cercavo una postazione rialzata e per fortuna ho trovato un signore disponibile, in una casa di fronte alla chiesa. Una di quelle bruciate dall’l’incendio di due anni prima, ancora da finire, ma con un balcone perfetto per la mia telecamera, che a quel tempo era veramente pesante e ingombrante. Ricordo anche che a un certo punto stava finendo la batteria e quel signore gentile mi ha fatto allacciare alla corrente di casa. La bellezza e l’emozione della danza ho cercato poi di descriverla nell’articolo di “Luna nuova” che riporto qui a lato. È stata un’edizione caratterizzata da un doppio cambio della guardia, di padre in figlio per mantenere viva la tradizione. Una tradizione che affonda le radici nelle feste pagane propiziatorie per la fertilità dei campi e la ripresa della vita dopo la pausa invernale. Una tradizione che il cristianesimo ha adattato ai propri riti. Sembra che anche la Candelora, la festa delle candele del 2 febbraio, che celebra la presentazione al tempio di Gesù quaranta giorni dopo la nascita, sia nata come espiazione dei Lupercalia, lo sfrenato carnevale pagano.

Tra i filmati della danza che si possono trovare in rete, propongo quello realizzato dagli alunni delle scuole di Venaus una decina di anni fa. Dalla vestizione dello spadonaro all’emulazione finale del bambino c’è tutta la consapevolezza del rito e la continuità della tradizione.

Questa immagine compendia quasi tutta la simbologia tradizionale che accompagna San Biagio: il vestito da vescovo e il pastorale, la palma del martirio tenuta in mano accanto al pettine per cardare la lana con cui fu martirizzato. Accanto il bambino che sta per soffocare per la lisca di pesce in gola. Esso è tradizionalmente rappresentato in braccio alla madre. Mancano le candele incrociate, che sono spesso presenti in altre raffigurazioni del Santo. Il rito della benedizione della gola con le candele incrociate potrebbe essere dovuto alla vicinanza con la festa della Candelora, 2 febbraio, che ricorda la Presentazione al Tempio di Gesù dopo i 40 giorni dalla nascita e la purificazione di Maria. Ancora recentemente era tradizione che le puerpere andassero in chiesa a farsi benedire. Michele Rege racconta la sua esperienza sia su FB che su Valsangone Network in distribuzione gratuita.

La tradizione presenta San Biagio come vescovo armeno (è un santo anche per la Chiesa Ortodossa) martirizzato sotto Licinio nel 316 d:C. Profughi armeni portarono le reliquie in Italia nell’VIII secolo e il culto si diffuse rapidamente, come protettore contro le malattie della gola. Avrebbe guarito un bambino che stava per morire per una lisca di pesce conficcata in gola. A questo atto risale il rito della “benedizione della gola”, compiuto con due candele incrociate.

Rito che quest’anno causa Covid non avverrà individualmente ma collettivamente: “Si eviti la benedizione data singolarmente al fedele con le tradizionali candele incrociate sotto la gola … Il celebrante, stando davanti all’altare, con le candele incrociate pronunci una sola volta su tutti i presenti, la tradizionale formula tracciando un segno di croce: “ Per intercessione di San Biagio, vescovo e martire, il Signore Vi liberi dal male della gola e da ogni altro male. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”