Giaveno: fiera bagnata, fiera mutilata

A Giaveno si sa che ogni occasione è buona per riempire strade e piazze di bancarelle e venditori, ma l’unico appuntamento veramente storico e tradizionale quest’anno è saltato. Il perché lo sanno tutti: la pioggia tanto attesa è arrivata: abbondante, continua, benefica. Ma le piazze deserte di gente e piene solo di pioggia e di rivoli d’acqua, che scorrono tra gli sparuti banchi, certificano una causa più nascosta: la fiera non c’è perché da tempo non è più una fiera, è solo uno dei tanti mercati, fotocopia di quello settimanale.

Piazza Molines, mai così vuota.

La fiera tradizionale, che il primo lunedì di maggio e di ottobre, si teneva con qualsiasi tempo era funzionale al ritmo di vita contadino. Seguiva di una settimana quella di Pinerolo, che faceva da previsione meteorologica, si diceva che se pioveva a Pinerolo avrebbe fatto bello a Giaveno e viceversa. Ma quasi ogni grosso paese aveva la sua fiera autunnale o primaverile, perché due erano le vere stagioni del mondo contadino: quella estiva e quella invernale e le fiere erano l’occasione per commercializzare i prodotti e le bestie e stipulare i contratti agricoli.

“Fare San Martino”

Un’espressione oggi incomprensibile a molti, ma tristemente nota un tempo e che fa parte degli aneddoti risorgimentali attribuiti a Vittorio Emanuele II. Siamo nel 1859, durante la II Guerra d’Indipendenza. Mentre Napoleone III combatte a Solferino la più sanguinosa battaglia del Risorgimento, a San Martino i piemontesi sono in difficoltà e incrociando i soldati della brigata “Aosta” il re li incita dicendo: “Fieuj, o pioma San Martin o foma San Martin” – Figlioli, o prendiamo/conquistiamo San Martino o facciamo San Martino/ci ritiriamo, perdiamo la battaglia”. E tutti capiscono cosa vuol dire. Ai primi di novembre, quando cade San Martino, finiva la stagione dei lavori agricoli e scadevano i contratti di affitto e di mezzadria. Se non venivano rinnovati bisognava andarsene, traslocare, cercarsi un’altra casa e un altro lavoro. In tutto l’arco alpino e nell’area padana “fare San Martino” significava traslocare.

La battaglia di San Martino, di Michele Cammarano, 1883. A destra dell’albero Vittorio Emanuele II a cavallo incita i fanti piemontesi.

Le fiere non erano solo festa, ma lavoro e si tenevano in giorni feriali. E si tenevano con qualsiasi tempo, indispensabili per vendere i proventi dei raccolti e per acquistare attrezzi, abiti, bestiame. Oggi che il modo di lavorare, anche degli agricoltori e degli allevatori, è cambiato, non si aspetta più la fiera per vendere e comprare. Non a caso da anni sono scomparsi i venditori di animali e di mezzi agricoli e le rare bancarelle di attrezzi si confondono con quelle di cineserie e cover di telefonini. Nessuno si preoccupa, quello che si sarebbe acquistato in fiera si acquisterà in uno dei tanti mercati e mercatini che pullulano nel calendario giavenese.

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