È proprio vecchia la “véii” di Coazze: ha 120 anni

In un’intervista del 1981, riportata nell’articolo di Luna Nuova che ripropongo, Giuseppe Tessa mi aveva raccontato la genesi e le prime avventure della strana maschera di Coazze, fatta di una persona che sembrano due, ideata da suo nonno omonimo nel 1902. Complicata da fare e impegnativa da portare, questa maschera è apparsa saltuariamente in seguito. Per adeguarsi alle maschere dei comuni vicini nel 1999 è poi stata sostituita da una coppia in carne ed ossa. Allo stesso modo sono spariti l’andare “in magna”, cioè mascherati, alle “vià”. Anche la “Martina” sopravvive solo nel repertorio di qualche coro, resiste un po’ di più l’”alè ań brëndu”, chiedendo “parëń d’ carlëvè?” (niente per carnevale?).    

Dal 1999 alla maschera tradizionale, a destra impersonata da Marco Rosa Marin, si è affiancata, sul modello dei carnevali vicini, una coppia di maschere, “lu vèi e la vèii“, impersonati da Eraldo Ruffino e Adriana Fantoni.

La véii, maschera di Coazze

La véii è la maschera tipica di Coazze, anche se la sua presenza nei carnevali coazzesi è stata piuttosto sporadica, forse perché il suo allestimento presentava non poche difficoltà. Difficoltà che certo non scoraggiarono all’inizio del secolo Giüspìń  d’Giantésa che, avutane l’idea, seppe trarre col suo ingegno effetti originali e curiosi da umili materiali. Per ricostruire l’origine e le vicende della véii ho intervistato l’omonimo nipote del suo inventore, Giuseppe Tessa. Al Carnevale sono legati alcuni dei momenti più originali del folklore coazzese. In questo periodo i giovani si recavano alle tradizionali veglie serali nelle stalle mascherati (alê an magna). Negli ultimi giorni di Carnevale (drié giòrn) era d’uso per i giovani “alè an brëndu”, cioè organizzarsi in comitiva, vestirsi bizzarramente e recarsi suonando e cantando Martina alle varie case, chiedendo «lu carlëvè›› cioè un dono che consisteva tradizionalmente in uova, e offrendo da bere. In quell’occasione i giovani andavano a gara nel cercare i travestimenti più originali e nel 1901 una comitiva del Selvaggio sfilò a Coazze col burìch una maschera con la testa e la coda da cavallo, costituita da due uomini (uno ritto e l’altro chinato a formare il dorso) coperti da un drappo. L’insolito animale suscitò più panico che ilarità e questo fatto colpì Giüspìń, che, ritenendo il Carnevale la festa dell’allegria e non dello spavento, si ripromise per l’anno venturo di costruire una maschera originale e gaia. Ricordandosi d’una maschera raffigurante due  persone ma portata da un uomo solo, vista a Roma durante il servizio militare, e ispirandosi ad un sapido detto coazzese “chiel-lì i pòlunt purtélu a suliéise an t’in val” (quello lì possono portarlo a soleggiarsi in un vaglio: riferito a persona ormai debole e malandata) decise di fare “la véii chi pòrtat lu véi ant’in val, o chënte i tràmiat al prése, an t’in garbìń”. Si procurò a Torino le maschere di cartapesta per i volti e preparò l’ingegnosa maschera costituita da un uomo vestito d’una gonna e infilato in una gerla che pare portata da un fantoccio raffigurante una vecchia. Il debutto della maschera ebbe un gran successo di pubblico, ma una fine tragicomica. Giüspìń e il suo amico, lu Gòrla, partirono da Ruadamonte scendendo verso il Villargrande; la gente lungo la strada manifestava il suo consenso all’originalità delle maschere offrendo ai due portatori abbondanti bevute, che crearono ben presto ad essi problemi di equilibrio. Alla Randolina qualcuno pensò poi di dar da bere ad un caprone che pascolava nei pressi e questo si mise a rincorrere il corteo. I più svelti se la squagliarono, le due maschere rimasero in balia dell’animale forse sovreccitato dal loro strano aspetto, e, vuoi il vino, vuoi per l’impaccio delle bardature, nel maldestro tentativo di sottrarsi alle sue “attenzioni”, finirono nella bealera che fiancheggiava la strada, mandando a monte la sfilata. Il giorno dopo le due maschere vennero riprese da due giovanotti (forse astemi?) che riuscirono a compiere il giro del paese, suscitando grande scalpore. L`anno dopo la vèii non venne più preparata e solo nel 1928 alcuni giovani la approntarono di nuovo, sempre sotto la guida di Giüspìń, riscuotendo un immancabile successo. Nonostante ciò la maschera non venne più allestita negli anni successivi e solo nel dopoguerra, negli anni Cinquanta, fece la sua sporadica ricomparsa nei carnevali di Torino. (Parziale trascrizione dell’articolo di Luna Nuova del 1981)

LUNA NUOVA n 4 21 febbraio 1981, articolo della rubrica Ciose bis ciose
LUNA NUOVA n.3 13 febbraio 1982, articolo della rubrica Ciose bis ciose.
Giuseppe Tessa, Giüspìń  d’Giantésa con la prima véii da lui costruita nel 1902, con gli abiti tradizionali dell’epoca, e poi divenuta la maschera tradizionale di Coazze.
Questo disegno di Santina Rondano, era inserito nella mia tesi di laurea Uno studio sociolinguistico su Coazze.
 
Accanto alla versione tradizionale, con la vecchia che porta il véi nella gerla (garbìń), venne allestita una maschera sulla base del detto “E’ vecchio e malandato, solo più capace di scaldarsi al sole nel vaglio del grano (val)” . In questa foto fornita da VIttorio Rabajoli e pubblicata nel libro “Coazze com’eravamo” e datata anni Quaranta, le due versioni sono accanto. Però il “vèi” nella gerla mi sembra Renato Giacone e quindi la foto potrebbe essere degli anni Settanta.
In questa foto del 1928, fornita da Bruna Giacone per il libro “Coazze com’eravamo“, accanto a quella tradizionale con la gerla, c’è un’altra versione della maschera, col vecchio portato a spalle, “ań caribuléta“, dalla véii.

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