Com’era la festa della Madonna del Bussone 200 anni fa

La borgata Villa fin dal nome ci racconta una storia antica. La “villa” era l’azienda agricola del tardo impero, poteva estendersi come un latifondo e a Giaveno è documentata quella della gens Gavia, da cui deriverebbe il nome della cittadina. Qui sono stati trovati nel 1979 reperti di tombe romane, qui sorge dal  Seicento la Chiesa della Madonna del Bussone. Santuario costruito sul luogo dove un contadino aveva trovato un’immagine della Vergine. Se l’era portata a casa, ma essa, secondo la tradizione, tornò più volte  nel cespuglio, “büsùŋ” in dialetto, dove era stata trovata e il miracolo indusse la popolazione a erigere la chiesa, che spicca imponente in mezzo ai campi.

La chiesa della Madonna del Bussone in una mia fotografia del 2015.
La chiesa della Madonna del Bussone nel dipinto di Antonio Nunziante a corredo del libro Stòria d’en bòt di Claudio Ruffino, edito nel 1983.

Anche la festa, che si tiene la prima domenica di settembre ha una storia antica e il privilegio di un resoconto dettagliato che risale ai primi dell’Ottocento. Il dottor Paolo Re, nel libro “Rosario Cocco o La giustizia dell’uomo e la giustizia di Dio” narra un fatto di sangue, scaturito dal vino e dalla gelosia durante la festa di Villa e culminato nella morte di quattro persone. A margine della vicenda drammatica l’autore descrive le fasi della festa di allora:

“La festa dell’otto Settembre in Villa ha del caratteristico. Nel mattino una schiera di ragazzi muniti di un cestino di fattura tonda che non serve ad altro uso, coperto da una bianca tovaglia, si recano su nel borgo da un fornaio che ebbe la commissione di confezionare la carità, specie di stiacciata di farina di frumento ingiallita con zafferano e torli d’ova. Segue la schiera dei ragazzi altra schiera di giovani ch’hanno sul petto una “cocarde”. Sono dessi che fanno le spese della festa, quotandosi di una lira per ciascuno. Quando tutto è pronto, al suono della Banda del paese, come una compagnia di soldati provetti, alla quale non manca mai il capitano, il corteo prende le mosse per portare la carità giù alla cappella della Madonna, salutato dal campanone di S. Lorenzo, passando in mezzo a due ale di curiosi borghigiani. Il corteo è così composto. Apre la marcia un enorme gallo di pane inghirlandato di fiori e di nastri portato sulla testa dal più alto fra i giovani festaioli, fiancheggiato da altri due armati di alabarde.

Il portatore del gallo della carità non è più scortato dagli alabardieri, ma dai priori della festa. (foto da Facebook)

Vengono presso i ragazzi a due a due con sotto il braccio il cestino dentro al quale portano i “caritini”. Dopo i ragazzi, viene la Banda e dopo di essa l’alfiere con un ricco “drapeau” di seta e di velluto, nel mezzo del quale è dipinta la Madonna. Il resto della gioventù, in lunga fila, impettito e allegro vien presso all’alfiere. Appena il corteo si trova fra le prime case della borgata, che noi sappiamo già che sono dei Pron e dei Giustetto, la batteria dei mortaretti, in segno di esultanza, spara i suoi quindici colpi che rintronano nelle vicine montagne, centuplicati dall’eco. Altri quindici colpi di mortaretto sono sparati quando il corteo giunge alla “muntà ‘d Petre” e la campana d’argento della cappella, ch’è a pochi passi, saluta anch’essa festosamente l’arrivo della carità di pane mal confezionato, che viene portata dentro al tempio e qui, da un sacerdote, è benedetta col cospargerla d’acqua santa, recitando la formola ch’è di rito. La “carità” viene poscia portata nella casa del sagrestano e tagliata in minuti pezzi. Durante la Messa cantata solennemente con accompagnamento dell’orchestra è distribuita ai fedeli che la conservano da un anno all’altro in casa come talismano contro le disgrazie di ogni specie.

Verso il mezzogiorno, finita la funzione religiosa, ciascuna famiglia si mette a tavola […] Soddisfatto così il ventre, cominciata l’allegria, si vogliono soddisfare anche le gambe con animate danze, che durano fino alle dieci della sera con una breve sosta in quell’ora nella quale si canta il Vespro e si dà la Benedizione. Ho visto talvolta rallegrata la festa colla corsa nel sacco, con l’albero della cuccagna e col barbaro taglio della testa al tacchino; ma tutto ciò non è di prammatica, come non sono di prammatica le risse cruenti. Mi sovvengo di qualche volata di teste di mattoni, di qualche randello che fendeva l’aria sibilando e si posava sulle spalle quadrate che si trovano soltanto nelle rusticane famiglie e di certi pugni, al confronto dei quali, la cede il calcio del mulo. Il coltello si serba in cucina, che potrebbe averne manco la massaia per pelar le rape. Dopo tutto, il giorno dopo si è più amici che prima e, vivadio, bravi i miei compatrioti!

Come da tradizione la Banda Musicale Leone XIII, anche quest’anno ha allietato la festa di Villa.

Rosario Cocco o la giustizia dell’uomo e la giustizia di Dio, di Paolo Re, Tipografia Commerciale Giaveno. Michele Barone, discendente dell’autore, ha recuperato l’antico testo e con l’aiuto di Alfredo Gerardi lo ha ricomposto e pubblicato.

 Il dottor Paolo Re nel libro “Rosario Cocco o La giustizia dell’uomo e la giustizia di Dio” racconta un dramma che all’inizio evoca la “Cavalleria rusticana” di Verga. La festa e il ballo fanno esplodere la gelosia dei contendenti della bella Filomena, Tranquillo e Ignazio che si scambiano pesanti minacce. Il dramma vero esplode quando i due, tornati amici e ricchi da una stagione in Francia, cadono nelle grinfie di Rosario Cocco, un taverniere sull’orlo della bancarotta, che allettato dai marenghi, uccide Ignazio. Tranquillo viene accusato dell’assassinio per le antiche minacce e si toglierà la vita. Rosario Cocco, scampato alla giustizia dell’uomo, uccide la moglie, che alimenta i suoi rimorsi, ma in tribunale finisce per confessare tutti i suoi delitti. L’autore asserisce che la vicenda, nelle sue linee essenziali e drammatiche, è realmente avvenuta e che la locanda di Rosario Cocco sorgeva sulla strada Avigliana – Giaveno, tra il Lago Grande e il Lago Piccolo e che la curva in cui Rosario uccide Ignazio ha preso il nome di “vir du cocu”.

Stòria d’en bòt, dramma e storia piemontese con traduzione italiana, di Claudio RUffino, dipinti di Antonio Nunziante, Comune Giaveno, 1983.

La vicenda è stata ripresa, con qualche modifica, da Claudio Ruffino, che l’ha sceneggiata nel dramma “O fij dla roa”, pubblicato nel libro “Stòria d’ëŋ bòt” col corredo di un’interessante ricerca storico-etnografica e le illustrazioni del pittore Antonio Nunziante.

La particolare inquadratura consente di apprezzare il complesso della Madonna del Bussone nel suo insieme (Fotografia di Pino Viroglio).

Madonna del Bussone

Verso Cumiana si trova la chiesa della Beata Vergine del Bussone, che emerge nel suo splendore come un miraggio nei campi verdi che la circondano. La costruzione della cappella è dovuta ad un miracolo, il cui ricordo rimane nel nome dell’edificio. “Bussone” significa infatti, in dialetto, cespuglio, ed è in un cespuglio che un contadino trovò un’immagine della Vergine. La portò a casa, ma essa tornò miracolosamente nel luogo del ritrovamento, per più volte: lo stesso luogo in cui oggi possiamo ammirare questo gioiellino del XVII secolo perché la fede popolare interpretò il fatto come un segno divino di sprone a realizzare l’edificio. Gli anni della sua costruzione sono probabilmente quelli tra il 1631 ed il 1638, dato che in un documento del vicario del cardinal Maurizio, tale Vignale, essa compare nella “Mensa del Capitolo della Collegiata con l’autorità di eleggerne gli amministratori”. La facciata fu completata negli anni immediatamente successivi, nel 1646, con l’aggiunta del porticato che caratterizza l’edificio. Sul retro della costruzione si trova l’abitazione dell’Eremita che custodiva la cappella. Nel 1693 i francesi calati dal Colle del Besso la saccheggiarono, ma l’interno, ad una sola navata, conserva l’aspetto originale con due cappelle laterali dedicate a San Filippo Neri e a Santa Teresa d’Avila. È del 1659 l’altare maggiore in legno marmorizzato con una statua di legno raffigurante la Madonna con il Bambino. In nicchie laterali sono collocate le statue di San Gioacchino e di Sant’Anna. Due grandi tele appese alle pareti del presbiterio rappresentano la Crocifissione e l’Annunciazione. Un restauro del 1721-1726 non apportò modifiche decisive. In anni recenti è stata sistemata l’area circostante e profondi lavori di restauro hanno riportato la chiesa al suo antico splendore. (Testo di Enrico Usseglio)

Chi ha partecipato alle feste recenti della borgata Villa può cogliere quali aspetti della festa hanno resistito ai due secoli trascorsi. Il gallo e il pane della carità non arrivano più in processione dal capoluogo, ma sono comunque presenti, come la Banda musicale e, naturalmente, le funzioni religiose. Per fortuna sono spariti gli episodi violenti, alimentati dal vino a cui non si era abituati e in cui volavano mattoni e bastoni. Fumi dell’alcol che sono all’origine della tragedia narrata da Paolo Re.

Un momento della Santa Messa, festa della Madonna del Bussone del 4 settembre 2022.

Per molti anni è stato montato il ballo a palchetto e si sono tenuti degli eventi collaterali, come le gare di bocce e i giochi per i bambini. Cene campagnole e lotterie sono poi occasione di socializzazione e di raccolta di fondi per mantenere la chiesa integra dal punto di vista strutturale e bella esteticamente.   

Giochi bimbi in occasione della festa della Madonna del Bussone del 1980, foto fornita da Enrico Usseglio.

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