Com’era è la 346, l’ultima camera di Pavese

Sa un po’ di tradizionalismo sabaudo l’Hotel Roma di Piazza Carlo Felice. Dal 1854 lo gestisce la stessa famiglia, poco è cambiato all’esterno, le necessarie ristrutturazioni all’interno. Ma una camera, la n. 346, è rimasta ferma al tragico 27 agosto del 1950. Una singola, col lettino addossato alla parete, due poltrone e un tavolino, il telefono Siemens nero a parete. Un piccolo bagno. Nulla è cambiato da quando Cesare Pavese, da poco vincitore del Premio Strega col romanzo “La luna e i falò”, se ne andò in silenzio, sommerso dal suo pessimismo, dal sentirsi svuotato e abbandonato. Una dozzina di bustine di sonnifero e un ultimo scrupolo, “Non fate troppi pettegolezzi”, scritto su quel piccolo tavolino su cui ignari clienti oggi appoggiano tablet e smartphone.

Com’era com’è l’albergo, ora hotel, Roma

Il “Roma” era ed è il classico hotel vicino a una stazione. Sorge sotto i portici di Piazza Carlo Felice, di fronte a Porta Nuova e come si vede poco è cambiato. “Albergo” si è internazionalizzato in “Hotel”, l’ingresso è più curato, ma rimane la semplicità un po’ spartana e soprattutto vi si può trovare immutata la camera 346. Viene usata, ma l’arredo è rimasto uguale, fermo al 27 agosto del 1950 quando Cesare Pavese decise di morirvi.

La stanza 346, non c’è una targa a ricordare la tragica fine di Pavese, viene data ai clienti che lo desiderano, ma l’arredo immutato resta come silenzioso omaggio al tragico epilogo di un grande scrittore.
L’albergo Roma negli Anni Cinquanta al tempo del suicidio di Cesare Pavese.
L’hotel Roma oggi.

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