Come nasce una “sàtula”

Eraldo Ruffino è andato “in pensione” dopo aver formato per tanti anni, con la moglie Adriana Fantoni, la coppia di maschere del carnevale coazzese: “lu véi e la véii”. Ma il loro impegno per difendere e promuovere le tradizioni locali, che li ha portati nelle scuole a insegnare antichi mestieri e giochi d’un tempo e li ha visti organizzare anche quest’anno il “pane della carità”, prosegue convinto.

Grazie alla disponibilità e all’abilità di Eraldo, ho potuto registrare le varie fasi di “nascita” di una sàtula, la trottola di legno, che in passato era l’unico giocattolo ammesso durante la Quaresima.

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Nel suo laboratorio privato ho visto un ramo d’ulivo, modellato con lo scalpello dalle sue sapienti mani, trasformarsi a poco a poco nel cono panciuto e scanalato, che un cordino e mani esperte possono far girare a lungo sul rampone d’acciaio brunito. Tra vorticar di trucioli e profumo di legno ho apprezzato la sapienza artigiana che compie gesti di grande precisione con la disinvoltura data dall’abitudine. Senza bisogno di righelli o computer lo scalpello ha inciso con millimetrica misura il legno rotante, finché è emersa la nota forma, il giocattolo di tante sfide infantili, che però nei rari momenti in cui è tornato recentemente in auge ha coinvolto anche gli adulti in epici tornei, alimentati da una sana rivalità campanilistica.

Si parte da un ramo d’ulivo scortecciato, da sgrossare sul trapano con lo scalpello.
Dal cilindro di legno emerge la tipica forma della sàtula.
Si cambia il mandrino per innestare la punta per forare il vertice della sàtula, in cui infilare il rampone metallico.
Senza prendere le misure, a occhio ma con mano ferma, si praticano alla giusta distanza le scanalature in cui inserire il cordino in fase di preparazione al lancio.
Con la carta abrasiva e la cera di carrubo si liscia e lucida la superficie della sàtula.
La sàtula è finita, si può lasciare la base se si usa come soprammobile, per usarla da lancio si recide il piedistallo e si lascia solo un pezzetto sporgente, il “pìcu”.

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