Come gli altri correntisti, ho ricevuto da Annalisa Areni, “Head of Client Strategies” della UniCredit S.p.A., una lettera che annunciava, dal 21 novembre 2022, la chiusura della filiale bancaria di Coazze. Oh, no! In realtà la “brutta parola” nella lettera non compare mai. Confidenzialmente comunica che “Cambiamo indirizzo, ma la nostra attenzione per te resta” e che “Ti aspettiamo nella nuova sede”. Peccato che la “nuova” sede sia semplicemente quella esistente da decenni a Giaveno e che per avere “l’attenzione” della banca i coazzesi debbano fare chilometri e spostarsi in un altro comune. Però la banca, “senza nulla chiedere”, si farà carico di tutte le formalità del trasferimento di tutti i rapporti. Come se questo non fosse un dovere, ma un piacere che la banca fa ai propri clienti. Sottolinea infine che sta investendo nei canali digitali e se proprio si vuole un contatto umano si potrà fare “in modo semplice e veloce” prenotando un appuntamento tramite internet o un’app sul telefonino. Me li vedo gli ottantenni coazzesi che, tra un salto di gioia e l’altro, si collegano al servizio Ubook. Oltre alla parola “chiusura”, ce n’è un’altra che manca nella lettera, “bancomat”. Anche se funzionante a singhiozzo, e quindi inaffidabile, sarebbe un servizio utile, ma nella lettera nessun accenno, nessun impegno.
Una morte annunciata
La chiusura della filiale di Coazze non ha colto nessuno di sorpresa, anche perché da anni c’erano i segnali del disimpegno e se i locali non fossero stati di proprietà forse la banca avrebbe chiuso prima. Impensabile vent’anni fa che la banca potesse chiudere, anzi a Coazze nel 1997, lì vicino, aveva aperto una filiale anche Intesa Sanpaolo, che non è mai decollata e ha chiuso nel 2016. Quando qualche anno fa ad agosto la filiale Unicredit ha chiuso, per ferie dei dipendenti la versione ufficiale, ho capito che la scelta era fatta. Se chiudi quando c’è più lavoro … Poi riduci gli orari di cassa e di apertura, poi lasci che un bancomat inaffidabile induca a servirsi da altre parti, poi dici che i prelievi sono troppo pochi e non c’è margine per metterne due in modo da alleviare il disagio, poi chiudi la cassa e fai solo più consulenza due mattine alla settimana. Insomma al malato hanno amputato un pezzo dopo l’altro finché è sparito. Consola poco non essere soli, da quando le Casse di Risparmio si sono sradicate dal territorio per confluire in colossi del credito, la strada è stata tracciata, potatura delle sedi meno redditizie e tanto internet banking.
L’inizio sembra una favola
La Cassa di Risparmio di Torino, che allora era la capitale del Regno di Sardegna, fu fondata nel 1827 con finalità filantropiche. Nonostante lo scopo filantropico della Cassa, riconosciuta “ente morale” nel 1853, fosse stato ribadito a più riprese dai suoi amministratori, la possibilità di devolvere parte degli utili in beneficenza è contemplata per la prima volta solo nello Statuto del 1891, che così recita all’art. 66: “Gli utili che, prelevate le spese, si ritraggono annualmente dalla gestione della Cassa verranno applicati per 2/3 almeno ad aumentare il fondo della riserva: ogni rimanente potrà dall’Amministrazione essere destinato sia ad estendere il benefizio della Cassa verso i depositanti, sia a promuovere od aiutare altre istituzioni giovevoli delle classi lavoratrici, sia infine ad altri scopi di pubblica beneficenza od assistenza”.
Nonostante lo scopo filantropico della Cassa, riconosciuta “ente morale” nel 1853, fosse stato ribadito a più riprese dai suoi amministratori, la possibilità di devolvere parte degli utili in beneficenza è contemplata per la prima volta solo nello Statuto del 1891, che così recita all’art. 66: “Gli utili che, prelevate le spese, si ritraggono annualmente dalla gestione della Cassa verranno applicati per 2/3 almeno ad aumentare il fondo della riserva: ogni rimanente potrà dall’Amministrazione essere destinato sia ad estendere il benefizio della Cassa verso i depositanti, sia a promuovere od aiutare altre istituzioni giovevoli delle classi lavoratrici, sia infine ad altri scopi di pubblica beneficenza od assistenza”.
Quello statuto, elaborato da Ferrero di Cambiano, segna uno dei momenti importanti della storia della Cassa. Fu approvato dopo l’emanazione della prima legge organica dello stato italiano sulle casse di risparmio del 1888, che regolava lo stato giuridico delle casse riconoscendo loro un carattere “sui generis”, sia di istituto di credito sia di ente morale. Alle spalle di quella legge e di quella definizione vi erano stati anni di contenzioso. Particolarmente interessanti le motivazioni con cui nel 1882 l’amministrazione della Cassa di Torino si era opposta al disegno di legge del ministro Berti che prevedeva che i due decimi degli utili netti annuali fossero impiegati per la creazione di una Cassa nazionale di pensione per la vecchiaia. Si ribadiva l’autonomia e la natura di opera pia della Cassa e quindi i vantaggi che essa procurava, grazie anche allo “spirito filantropico di chi l’amministra”, non dovevano “venir deviati a favore di altro Istituto”. “Né vale il dissimulare che la clientela delle casse di risparmio è guidata da sentimenti di confidenza, di abitudini, da conoscenza di usi e di persone esclusivamente locali, e poco forse le sorriderebbe, e certo non varrebbe ad aumentarle quella fiducia ed il conseguente amor di risparmio, l’apprendere che una parte delle sue economie venga distratta per cose di interesse generale”.
Infatti per tanti anni la banca a Coazze si è identificata con chi vi lavorava:
Boero Sereno che ha aperto la filiale negli Anni Venti vicino al Tempio Valdese, in via Garibaldi.
Ebe Salvini e Guido Dalmasso quando la banca nel dopoguerra si è trasferita in via Matteotti,
Piero Scaglia, Candido Rosa Marin, Giovanni Maritano nella sede di Viale Italia, aperta negli Anni Settanta.
Persone che hanno anteposto alla carriera il rapporto con la gente.
Prima degli Anni Novanta, degli ampliamenti e delle fusioni, la banca era inserita nel tessuto sociale del paese, svolgeva una azione educativa, pubblicazioni come l’agenda “Casa serena” e la rivista “Piemonte Vivo” o le strenne natalizie facevano conoscere e valorizzavano il patrimonio storico e artistico locale.
Nei ricordi di Santina Rondano affiora un’immagine della banca lontana anni luce da quella attuale: “Quando frequentavo le elementari ( anni 1960/1965) mi ricordo che il 31 ottobre era la Giornata del risparmio e per l’occasione la CRT, per promuovere il risparmio, distribuiva nelle classi dei gadget ( quaderni, piccoli salvadanai); ricordo inoltre che la mia maestra Giovanna Ostorero ci portò almeno una volta a visitare la filiale dove la gentilissima Sig.ra Salvini ci spiegò cosa erano i libretti di risparmio, come si facevano i versamenti ecc.
Mi ricordo poi della “La via migliore”, giornalino per i ragazzi delle scuole elementari, edito dalle Casse di risparmio sempre con lo scopo di promuovere il risparmio, che periodicamente veniva distribuito in classe. In particolare ospitava la rubrica di Nonno Brontolone che rispondeva alle letterine dei bambini e pubblicava i temi più interessanti aventi ovviamente come argomento il risparmio. La maestra ci faceva fare tutti gli anni il tema proposto nella giornata del risparmio e ne mandava alcuni alla redazione.
Il locale della banca ospitava, oltre ai severi arredi e l’ampio bancone, una piccola biblioteca per ragazzi: mi ricordo che un pomeriggio alla settimana si poteva andare a prendere in prestito dei libri; io ci andavo abbastanza spesso, accompagnata dal mio papà, mi piaceva leggere i titoli dei libri, sfogliarne qualcuno e poi scegliere quello da portare a casa. All’epoca a Coazze non c’era una biblioteca. Altra iniziativa della CRT era una piccola borsa di studio che annualmente offriva all’alunno della scuola elementare di Coazze con la pagella più bella: consisteva in un libretto di risparmio con la somma di quindicimila lire ( io me lo aggiudicai per due anni consecutivi , in terza e in quarta). Evidentemente in quegli anni la CRT svolgeva nei piccoli paesi come Coazze una funzione sociale che andava oltre la sua mission di intermediazione del credito.
Nel 1991, in seguito alla Legge Amato, il settore bancario fu separato da quello sociale e benefico. La banca fu trasformata in Società per azioni con il nome di Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. (o in breve Banca CRT S.p.A.), dall’altro lato fu costituita la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (in breve Fondazione CRT). Nel 1997 la Banca entrò nel gruppo Unicredito. Nel 2002 la Banca CRT fu incorporata nel Credito Italiano insieme a Cariverona, a Cassamarca, alla Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, alla Cassa di Risparmio di Trieste e al Credito Romagnolo. Nello stesso tempo il Credito Italiano prese il nome attuale di UniCredit Banca. Un colosso bancario che ha tagliato le radici locali tradizionali. Come i suoi competitori cerca il profitto e l’efficienza a scapito delle filiali meno redditizie, tagliando il personale e facendo fare ai clienti su internet quel che prima facevano gli impiegati allo sportello. Una strategia che funziona, tanto che la Unicredit ha troppi soldi e sta litigando con l’Europa perché vuol dare dividendi troppo alti rispetto alle regole comunitarie. Se fossi un azionista Unicredit potrei almeno consolarmi un po’ davanti alla porta inesorabilmente chiusa della filiale di Coazze.
Commenti e ricordi
Oretta Bronzino – Ho lavorato alla Cassa di Risparmio di Torino, assunta il primo novembre 1973. Due anni ad Alpignano poi Giaveno e dal febbraio 1992 a Coazze (con Piero Scaglia e Candido Rosa Marin) fino al primo febbraio 2013. Ho vissuto tutti i cambiamenti fino alla trasformazione in Unicredito. Ora sono felicemente in pensione e quando passo per Viale Italia mi fa male vederla chiusa. Ho passato lì quasi vent’anni, ho conosciuto tante persone che ancora porto nel cuore. Persone che prima erano diffidenti, perché non mi conoscevano, poi mi hanno voluto un gran bene. Ricordo la maestra Rosanna che tutti gli anni portava i bimbi delle elementari a vedere come funzionava la banca e alcune signore che tutti i venerdì passavano a chiedermi se mi serviva qualcosa al mercato. Non mi manca il lavoro, anzi, ma il rapporto di stima e di amicizia nato in questi 20 anni sicuramente si.