Che dolore l’Addolorata sempre chiusa, che si lascia vedere solo in foto.

Nel corso dell’Ottocento Giaveno vive un vero e proprio slancio filantropico. La spinta illuministica alla pubblica utilità e quella restauratrice post napoleonica inducono antichi nobili, nuovi ricchi borghesi e sacerdoti sensibili a dotare il paese di strutture scolastiche e assistenziali, che rispondano alle esigenze dei tempi nuovi e anche ai traumi sociali che lo sviluppo industriale sta producendo. Al potenziamento dell’ospedale fanno eco l’Opera del Sacro Cuore e l’Istituto dei Poveri Vecchi, mentre alle scuole elementari comunali si aggiungono gli istituti di Maria Ausiliatrice e del Pacchiotti. Queste istituzioni si affermano nella seconda metà del secolo, ma la prima iniziativa socio assistenziale risale al 1836, è l’Istituto Maria Addolorata, concepito per “proteggere, educare e assistere le ragazze in difficoltà”, che qui potevano “ritirarsi” per sfuggire ai pericoli del mondo. Erano chiamate “ritiròire” o “le blöve“, dal colore blu della loro mantella. L’iniziativa del teologo Giacinto Valetti ebbe un notevole successo e Pio Rolla non lesinò lodi alla qualità dell’insegnamento. Con l’affermarsi dei servizi sociali pubblici quello che era in fondo un orfanatrofio perse rilevanza e negli Anni Settanta del Novecento l’assistenza si rivolse a una nuova categoria di fragilità sociale, gli anziani. Chiusa la casa di riposo, dal 2003 quello che per i giavenesi è semplicemente il “Ritir” ospitò la Croce Rossa locale. Dal 2016 è chiuso, in attesa di un sostanziale recupero. Chiusa e difficilmente visitabile è anche la novecentesca Cappella dedicata a Maria Addolorata, che prospetta su via Pacchiotti la sua facciata neogotica.

L’ingresso della cappella dell’Addolorata. Il bel portone è sormontato dall’affresco di Federico Siffredi. La Madonna Addolorata vi è ritratta in un aspetto ricorrente della sua iconografia, “la Pietà”, china ad abbracciare il Figlio morto., in armonia con la cornice ogivale in cui è inserita.
Cartolina d’epoca (Collezione Carlo Giacone). La chiesa è sempre uguale, tutto il resto no. Via Avigliana è ora via Pacchiotti, i terreni del Ritiro sono diventati parcheggio e negozi. Anche il traffico è cambiato, non solo per il tipo di automobili, ma per l’intensità.

Mater dolorosa

I Titoli mariani sono attributi che vengono utilizzati nel culto cristiano a Maria, madre di Gesù Cristo, per specificarne le caratteristiche o invocarne il nome. Tali titoli si sono affermati nei millenni sulla base delle definizioni date dai Padri della Chiesa.

Uno di questi si riferisce alla Madre di Dio “Addolorata” per la morte del Figlio, I simboli che spesso identificano la “Mater dolorosa” sono:

  • il volto ovale, inclinato e rivolto a cielo, occhi grandi, guance solcate dalle lacrime;
  • il vestito viola o nero. A volte rosso (simbolo della maternità presso gli Ebrei) con velo blu evocativo del Cielo.
  • il fazzoletto in mano;
  • mani giunte con dita intrecciate,
  • meno frequentemente, la Vergine ha in mano la corona di spine;

L’appellativo di Madonna dei sette dolori si accompagna alla immagine di Maria trafitta da una, cinque o sette spade conficcate nel cuore, a volte evidenziato con sopra una fiamma. I sette dolori per alcuni si riferiscono ai tre chiodi, alla lancia e ai momenti (Crocifissione, Deposizione, Sepoltura) più dolorosi della Passione. Per altri i dolori sono sette perché nella Bibbia questo è il numero dell’abbondanza, ma anche della penitenza e dell’espiazione.

Infatti si considerano anche immagini dell’Addolorata: le Pietà, le Madonne Piangenti, e le scene della Crocifissione, Deposizione e Sepoltura con la presenza di Maria.

La statua che fa da ancona all’altare della cappella ha alcuni dei tratti tipici dell’Addolorata, il volto triste e chino, la spada nel cuore e una rosa di 7 spade infisse nel cuore evidenziato. (Particolare da una foto di Liliana Goncean)

Aperta in questi giorni grazie all’interessamento di Michele Rege, la chiesa rivela interessanti decorazioni, per lo più opera di Federico Siffredi, ma anche segni di decadimento e preoccupanti infiltrazioni d’acqua. Le immagini che propongo spero sollecitino l’interessamento dei giavenesi, che, se potessero visitare la chiesa abitualmente, sarebbero stimolati a impegnarsi di più per salvaguardare un’altra tessera preziosa e nascosta del patrimonio artistico cittadino.

Pareti scrostate e preoccupanti infiltrazioni dal tetto suggeriscono di intervenire tempestivamente per salvaguardare la cappella.

Federico Siffredi (1861-1920)

Una ampia biografia del pittore dell’Addolorata di Giaveno è stata tratteggiata da Anna Paladini nel numero di giugno 2022 della Rivista di Studi Piemontesi, vol.51.

Federico Siffredi, 1861 – 1920

Federico Siffredi, pittore d’arte sacra torinese è attivo in Piemonte tra l’Ottocento e il Novecento. Partendo da una panoramica dell’arte sacra dell’epoca, l’autrice si sofferma poi su Siffredi: bambino di umili origini, fu educato da un’istituzione straordinaria a Torino: il Collegio degli Artigianelli. Il Collegio forniva istruzione e formazione in arti e mestieri ai giovani poveri ed era strettamente legato alla figura di San Leonardo Murialdo. Al Collegio Siffredi fu allievo e poi assistente del pittore accademico Enrico Reffo. L’articolo presenta alcuni dei progetti su cui hanno lavorato insieme – dall’arredo di interni di San Dalmazzo a Torino alle prestigiose commissioni di Giaveno e Pinerolo – e si chiude con un focus sulla maturità artistica di Siffredi, quando intorno al 1914 lasciò il vecchio maestro per lavorare agli affreschi delle chiese di Favria e Rocca Canavese. Il pittore trascorse i suoi ultimi anni a Prazzo e Paschero di Stroppo, nel cuneese. I diari e le lettere ritrovati negli archivi parrocchiali risalenti a quegli anni ci danno le testimonianze più vive e commoventi della sua vita e ci aiutano a tracciare una genesi dettagliata delle opere di Siffredi. Il confronto analitico tra Federico Siffredi ed Enrico Reffo – sul piano umano, professionale e stilistico – evidenzia somiglianze e differenze e traccia il profilo del perfetto pittore cristiano nella Torino del primo Novecento. La scuola di pittura di Reffo ha segnato in modo indelebile la carriera di Siffredi, dall’approccio accademico e dal rapporto con la modella, all’eclettismo nell’ispirarsi a fonti diverse, all’uso della nuova tecnica fotografica e al riutilizzo di bozze preparatorie per diverse opere. 

L’interno della cappella è decorato dal Siffredi con immagini proposte a gruppi di tre, come sempre il pittore crea solenni figure, santi dignitosi, attento ciascuno al proprio ruolo. Nel trittico della controfacciata sono raffigurati San Giuseppe Cottolengo, San Felice e San Giacinto. (Foto di Roberto Pallard)



Nel presbiterio e nell’abside le nervature e i contrasti cromatici dell’impianto neogotico si affollano fino ad evocare la ridondanza del barocco. Più sobrie le pareti laterali, rivestite in basso dalle tele cucite e ricamate dalle “ritiròire”, e decorate in alto dai trittici del Siffredi, intervallati dalle formelle della Via Crucis, simili a quelle della Cappella Valletti. (Fotografia di Liliana Goncean)

Nel transetto di destra una porta collegava la chiesa al “Ritiro” vero e proprio e consentiva alle ospiti di assistere alla Messa discretamente appartate. A fianco dell’altare si apre la porta della sacrestia.
A fianco del transetto opposto è stata aperta, un po’ brutalmente, una finestra che dà sulla nicchia della Madonna di Lourdes. Qui è conservata una pietra di tale grotta. (Fotografia di Roberto Pallard)

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